giovedì 17 luglio 2014

Il conformismo dell’anticonformista...


di Marco Acernese (L'Intellettuale Dissidente)

Chi bela fuori dal gregge insomma, bela comunque.


Oggi il conformismo ha il piercing, e i suoi adepti sono chiamati anticonformisti. Probabilmente Gaber ci avrebbe scherzato su; quel che è certo è che il circo dei finti emancipati, con tanto di fachiri, pagliacci e donne cannone, dobbiamo sorbircelo noi. E guai a offendere. Soprattutto se il soggetto in questione è omosessuale. In tal caso si rischia di passare un brutto quarto d’ora, perché alcune categorie sono, per legge, come i morti: nihil nisi bonum. E poi, nell’epoca del relativismo etico, tutto è, appunto, relativo. Relativo, per la precisione, a ciò che impartisce l’industria monopolistica del marketing, politico e commerciale.
Al tipico signore americano pacioccone e sedentario fu fatto credere, negli anni ’50, che, per essere virile quanto il cowboy della Marlboro, dovesse abbandonarsi alla mollezza del fumo; alla moglie di detto signore fu indicata la sigaretta come unica via di emancipazione. Ai figli della coppia fu poi spiegato che per diventare adulti avrebbero dovuto anch’essi prendere a fumare, o quantomeno a bere. Giammai a studiare. Sembra di vedere uno di quei moderni quadretti familiari affissi su Facebook in bella vista, eppure il raggiro collettivo che sfrutta la necessità di accettazione sociale, oggi veicolato dal miraggio velleitario di distinzione dalla massa, va avanti da decenni. Chi bela fuori dal gregge insomma, bela comunque. Per cui non può che annichilirsi all’interno di un altro insieme di pecore, magari ancora più vasto e rumoroso di quello di partenza. L’illusione di pensare fuori dal coro è però dolce e persuasiva. E’ adatta, cioè, a imbonire qualche credulone; e siccome i creduloni sono tanti, nascono le mode.
Il conformismo ha il piercing, dicevamo. Ce l’hanno, in realtà, anche i membri di numerose tribù che vivono e prosperano a contatto con la natura. A differenza degli appartenenti a tali agglomerati umani però, l’uomo occidentale ha dovuto ingegnarsi per sopravvivere a secoli di guerre e sovraffollamento. Sarebbe stato auspicabile quindi che ciò avesse condotto a un progresso non solo tecnologico, ma anche culturale. E tuttavia l’oscena arte delle botteghe dell’orrore è esercitata con crescente frequenza e discutibile maestria, per la gioia di una pletora d’ignavi asserviti al credo del taglia e cuci corporale. Scavare nella propria carne al fine di applicarvi un corpo estraneo diviene familiare. Piercing e tatuaggi fanno da apripista alle applicazioni tecnologiche biocompatibili prossime venture sul mercato. Ciò che un tempo evocava incubi grotteschi degni di “eXistenZ” di David Cronenberg, oggi, filtrato da metallo reso estetico e da evocative quanto banali citazioni marchiate con il fuoco, desta giubilo e desiderio. Induce all’incirca la stessa gioia che suscita l’andare a un concerto. Peccato però che anche in questo caso qualche artista, per quanto valido, nel mare dell’anticonformismo conformista, ceda alla tentazione di sguazzarci. Franco Battiato si esibirà tra qualche giorno a Roma. Il prezzo dei biglietti va dai trenta agli ottanta euro. L’intero ricavato sarà devoluto in meditazione.

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