mercoledì 20 aprile 2016

Dublino, 24 aprile 1916. Un popolo mai domato. Una fiera identità. Una rivolta per affermarla...





di Maurizio Rossi


“Al momento della resa, l’insurrezione del 1916 è sembrata un fallimento, ma quello sforzo eroico e il martirio che lo ha seguito hanno infine svegliato lo spirito dormiente d’Irlanda.”
(Michael Collins)
Un popolo meno orgoglioso e meno tenace di quello irlandese non sarebbe sopravvissuto a secoli di soprusi e di angherie perpetrati con tanta metodica ferocia dall’occupazione colonialista di una potenza straniera. Alla fine avrebbe piegato la testa e riconosciuta la sconfitta, si sarebbe allora adeguato, si sarebbe sottomesso, avrebbe obtorto collo accettato la ferale logica del meglio schiavi che morti. Non però gli irlandesi.
I loro stessi antenati avevano già posto vittoria e sconfitta sullo stesso piano, ciò che aveva davvero importanza era soltanto la possibilità di poter continuare a sollevarsi e a combattere.
La strada della libertà sarebbe stata lunga e dolorosa.
In tutti questi secoli, gli irlandesi accolsero quindi con gioia e disperazione ogni occasione per farlo. Il dolore li aveva resi forti.
Pesanti politiche discriminatorie, l’utilizzo sistematico della violenza repressiva e dell’umiliazione, unite ad interventi di autentico e scientifico genocidio culturale avevano da tempo immemore caratterizzato la brutalità della dominazione britannica dell’Isola verde. Perfino lo statista italiano Camillo Benso Conte di Cavour giunse a commiserare le tristi condizioni in cui versavano gli irlandesi: Il contadino irlandese fu ridotto in uno stato selvaggio peggiore del negro delle Antille, gli era più difficile ottenere giustizia da un giudice protestante di quanto non possa oggi uno schiavo delle colonie francesi ottenerne dal magistrato della metropoli.
D’altronde, in quale altra maniera potrebbero essere definite le misure che vennero adottate con prassi chirurgica dagli inglesi per annientare l’identità di un popolo; proibendo la sua tradizione e il suo credo religioso; imponendo la sostituzione di usi e costumi con quelli dell’occupante; negando perfino il diritto ad esprimersi nella propria lingua, il gaelico, sapendo bene che la lingua è lo strumento con cui viene tramandata la cultura di un popolo; come qualificarli, se non come atti deliberati di genocidio culturale?
Scrisse nel 1920 il nazionalista irlandese Terence Mac Swiney: Quando l’Irlanda sarà completamente libera, l’Irlanda sarà tutta gaelica. Quando l’Irlanda sarà tutta gaelica, sarà completamente libera. Terence Mac Swiney morirà di fame in un carcere inglese, vittima sacrificale di uno sciopero della fame di protesta.
Più di cinquant’anni prima di Long Kesh.
Narrava una antica leggenda che la genesi della storia dell’Irlanda risiedesse in una mitica stirpe solare discesa dal cielo, che nel luogo iperboreo di Avallon aveva affinato le sue vaste conoscenze sovrannaturali che portò in Irlanda , manifestando una tale superiorità nella sapienza e nel sapere che la indusse a scontrarsi e a sconfiggere le oscure nature elementari e telluriche dei Fomori, imponendo, così, la legge olimpica e solare e una dinastia sacrale e guerriera.
Questa stirpe eroica, i cui campioni manifestavano caratteristiche riconducibili alla figura dell’Eracle dorico, era quella dei Tuatha dé Danann.
Con buona probabilità anche questa narrazione, come quasi tutte le leggende, andava a poggiare su un fondo di verità al momento in cui, con il rimando ad ancestrali origini, riconduceva i Tuatha dé Danann all’evento delle grandi migrazioni delle genti indoeuropee. In tale contesto i Gaeli, appartenenti alla vasta Koiné celta integralmente compresa nella famiglia delle stirpi di matrice indoeuropea, costituirono l’ondata che investì la parte occidentale e insulare dell’Europa sommergendo il substrato neolitico precedente.
In questa storia, dove spesso e volentieri le cronache e le narrazioni si intrecciavano con leggende, miti e ballate, gli irlandesi hanno sempre orgogliosamente attinto a piene mani. D’altronde in Irlanda i riferimenti alle origini da cui discende la loro tradizione popolare e culturale, anche quando vengono rievocati eventi storici o pseudo tali, inevitabilmente portano ad una narrazione mitica, ad una particolare manifestazione della profonda anima irlandese, dove le eventuali sottili distinzioni tra il reale e il fantastico, l’agone umano e la dimensione divina, perdono assolutamente di importanza.Ireland_007
Non per ultimo, la stessa figura dal sapore quasi mitologico di San Patrizio. Prima di lui l’Irlanda era celta e pagana, dopo di lui, rimase celta, ma cristianizzata senza però perdere la sua anima.
Il druidismo, la trasmissione sapienziale del significato degli Ogam, le narrazioni eroiche dei Clan guerrieri e lo specifico simbolismo della croce celtica si fusero sincreticamente nel cristianesimo attraverso la persona di San Patrizio e grazie alla diffusione della scrittura fecero in modo di trasmettere, in maniera integrale, la storia mitologica ed epica dell’Irlanda dando luogo alla fioritura di una ricca letteratura nazionale in speciale modo gaelica.
Eroi epici diventeranno Eroi nazionali come la leggendaria figura di Cuchulainn eroe guerriero dai tratti semidivini. Impavido, generoso e irruento, temibile in battaglia quando veniva posseduto da un sacro e terribile furore belluino.
Figura principe della tradizione letteraria irlandese e particolarmente vicina al cuore del popolo irlandese, basti pensare che a Dublino un monumento dell’artista Oliver Sheppard, voluto a ricordo degli eroi morti in occasione della Pasqua di sangue del 1916 e collocato all’interno del General Post Office – che fu il quartier generale degli insorti – raffigura proprio l’agonia dell’eroe epico Cuchulainn.
Cuchulainn, l’eroe posseduto da una sacrale psicopatia capace di misurarsi nelle prove più difficili e ben presente nel ciclo della letteratura epica dell’Ulster, seppe pienamente rappresentare tutto l’ardore e tutta la passionalità che hanno sempre contraddistinto l’irrequieta identità nazionale irlandese, manifestando al contempo una rigorosa aderenza ai principali canoni dell’universo spirituale indoeuropeo.
L’orgoglioso attaccamento identitario irlandese non avrebbe potuto fare a meno nemmeno di questi riferimenti e se la forma del riconoscimento identitario, con il tempo, apparirà sempre più rarefatta in Eire, la repubblica del Sud, continuerà invece a manifestarsi prepotentemente proprio nell’Ulster, nelle sei contee occupate del Nord.
Nel periodo precedente l’inizio della prima guerra mondiale nel Regno Unito divampava una acuta crisi istituzionale, nella quale si evidenziava come motivo centrale l’incandescente «questione irlandese».
La Gran Bretagna aveva stabilito di rinforzare le guarnigioni militari di stanza in Irlanda, ufficialmente per meglio difendere i depositi di armi e di munizioni da eventuali insurrezioni irredentiste. Oramai la situazione interna irlandese si era ancor più incancrenita nel conflitto tra nazionalisti e unionisti, un conflitto risalente ai tre secoli precedenti e che si era drammaticamente aggravato nel secolo precedente.
Gli unionisti, protestanti anglicani e presbiteriani connotati da un forte senso di appartenenza all’Impero britannico, si fronteggiavano sempre più spesso armi alla mano con i nazionalisti irlandesi, prevalentemente repubblicani e cattolici e radicali nel rivendicare l’indipendenza e la sovranità nazionale.
Nel tessuto politico del nazionalismo irlandese erano già presenti movimenti politici come l’Irish Parliamentary Party e l’Irish Republican Brotherhood, ma sarà la nascita nel 1906 di un nuovo movimento politico, il Sinn Fein, caratterizzato da un senso d’identità maggiormente marcato e da un precisa volontà di risveglio culturale gaelico a dare nuovo entusiasmo all’irredentismo nazionalista. Altresì il panorama nazionalista andava anche arricchendosi di formazioni paramilitari di autodifesa come l’Irish Citizen Army e l’Irish Volunteer Force.
Le differenze fra le due formazioni vertevano sugli orientamenti politico-sociali che le contraddistinguevano: la prima era connotata da un forte indirizzo sindacalista e reclutava principalmente tra i lavoratori salariati e i disoccupati, mentre la seconda faceva riferimento al mondo contadino e al bracciantato agricolo e aveva solidi agganci con le gerarchie ecclesiastiche cattoliche.
Anche gli unionisti protestanti non rimasero con le mani in mano e dettero vita alla loro milizia armata, l’Ulster Volunteer Force, direttamente addestrata e armata dagli ufficiali britannici.
Sarà Winston Churchill, in quegli anni primo Lord dell’Ammiragliato, tra i più duri sostenitori della necessità dell’utilizzo della forza bruta congiunta delle milizie paramilitari unioniste con l’esercito inglese per ripristinare la «legalità» in Irlanda minacciata dall’attivismo nazionalista repubblicano.
D’altronde i nazionalisti irlandesi non volevano più mordere il freno e saranno sempre più convinti dell’urgenza di dovere prendere l’iniziativa, e nel loro linguaggio «iniziativa» faceva necessariamente rima con insurrezione.
Già nel 1914, Padraigh Pearse, leader dell’Irish Republican Brotherhood, aveva annunciato agli irlandesi emigrati negli USA che: Non so quando, né come, i volontari irlandesi andranno contro l’Inghilterra, ma so che ciò avverrà un giorno, perché l’Irlanda riprenderà la nobile attività delle armi e lo si capirà quando si sentirà per le campagne il passo pesante delle legioni in marcia.
Troppe erano state le angherie che, per secoli, intere generazioni di irlandesi avevano dovuto subire e in taluni casi anche sopportare e l’avvilente risultato delle estenuanti e fallimentari trattative che i politici repubblicani avevano tentato di intavolare con gli inglesi al fine di giungere ad una piattaforma comune ragionevole e soddisfacente per entrambe le parti, sulla questione territoriale dell’Irlanda, li convinse dell’inutilità della trattativa, alla fine lesiva esclusivamente degli interessi dei patrioti irlandesi.
La pratica riformistica era ormai giunta ad un guado che non era più in grado di attraversare, l’unica opzione disponibile e ancora spendibile risiedeva nell’uso delle armi e nella rivoluzione.Ireland_008
La data della sollevazione armata venne stabilita in occasione della Pasqua del 1916.
I più irriducibili nazionalisti insorgeranno il 24 aprile a Dublino, guidati dalle carismatiche figure del poeta del risveglio gaelico Padraigh Pearse e dai leaders nazionalisti e sindacalisti Michael Collins e James Connolly, quest’ultimo introdusse nell’irredentismo identitario interessanti elementi di critica sociale che portarono alla formulazione di una piattaforma politica al contempo nazionalista e socialista.
Dettero vita all’IRA, l’Irish Republican Army – chiamata in gaelico Oglaigh na hEireann – che in breve tempo divenne l’unica, seria e organizzata formazione di combattimento del nazionalismo irlandese, strutturata in brigate e battaglioni e proclamarono la libera Repubblica d’Irlanda, il cui manifesto politico venne pubblicato sia in gaelico, sia in inglese: Uomini e donne d’Irlanda, nel nome di Dio e delle generazioni scomparse da cui essa deriva la sua antica tradizione nazionale, l’Irlanda per mezzo nostro chiama i suoi figli sotto le sue bandiere e lotta per la sua libertà(…) Noi proclamiamo il diritto del popolo irlandese al possesso della sua terra e al pieno controllo del destino dell’Irlanda, diritto sovrano e inviolabile. La lunga usurpazione di questo diritto da parte di un popolo e di un governo stranieri non lo ha estinto, né potrà mai estinguerlo se non con la distruzione del popolo irlandese. A ogni generazione il popolo irlandese ha riaffermato il suo diritto alla libertà e alla sovranità nazionale: sei volte nel corso dei tre secoli passati, lo ha affermato con le armi.(…) In quest’ora suprema la nazione irlandese deve, col suo valore e la sua disciplina, e con la prontezza dei suoi figli, a sacrificarsi per il bene comune, dimostrarsi degna dell’augusto destino cui è chiamata.
La proclamazione dell’insurrezione nazionale legittimata dai punti programmatici espressi nella Dichiarazione della Repubblica d’Irlanda rappresentò un salto di qualità per l’irredentismo irlandese e proprio per tale motivo verrà giustamente considerata una pietra miliare nella storia del movimento repubblicano e nazionalista irlandese.
Un riferimento imprescindibile per i suoi postulati ideali e le sue concrete rivendicazioni, che evidenziarono la raggiunta maturità politica nello sviluppo di una piattaforma unitaria per il nazionalismo combattente irlandese finalmente consapevole delle sue enormi potenzialità e forte della sua manifestazione identitaria: concetti come sovranità nazionale, autodeterminazione politica, sviluppo sociale autonomo e risveglio culturale gaelico, anima della tradizione popolare, saranno dal 1916 in poi granitiche architravi nel patrimonio di lotta dei patrioti irlandesi.
All’indomani della proclamazione di indipendenza le autorità di occupazione britanniche, comandate da Sir John Maxwell, proclamarono la legge marziale mettendo sotto assedio Dublino e dando inizio ad una violenta e feroce repressione fatta di esecuzioni sommarie e bagni di sangue indiscriminati.
L’inferno in versione inglese calava inesorabile sull’Irlanda.
Gli insorti resistettero per una settimana prima di venire schiacciati dall’esercito inglese preponderante in uomini e mezzi, vennero contati più di 500 morti, in maggioranza civili vittime dei cannoneggiamenti dell’artiglieria inglese.
Gli insorti furono costretti a cedere le armi e ad arrendersi. Oltre ai patrioti combattenti che si erano arresi, gli Inglesi procedettero a rastrellare e ad arrestare tutti quei patrioti considerati dalle autorità militari britanniche come nazionalisti irlandesi radicali, che avessero o meno, partecipato alla rivolta – vennero rinchiusi circa 3.500 irlandesi nella sola città di Dublino – e cominciarono a fucilare sommariamente i leaders dell’insurrezione, tra i quali figuravano i sette firmatari della Proclamazione della Repubblica: Thomas Clarke, Sean Mac Diarmada, Thomas Mac Donagh, Padraigh Pearse, Eamann Ceannt, James Connolly e Joseph Plunkett.
Lo stillicidio delle esecuzioni capitali e la brutalità repressiva del Governo britannico fecero inorridire l’opinione pubblica dell’intera Irlanda, che inizialmente aveva considerato l’insurrezione come una impresa disperata, salvo poi comprenderne la necessità politica e apprezzandone poi la generosità del gesto e del sacrificio.
Dei capi si salvarono solo Eamon De Valera che venne graziato perché dimostrò di essere in possesso della cittadinanza statunitense e Michael Collins che probabilmente non venne riconosciuto come tale e fu pertanto rimesso in libertà.
La popolazione irlandese, all’indomani della fine sanguinosa della effimera repubblica, abbracciò con rinnovato entusiasmo la causa indipendentista e riversò le proprie speranze nel giovane movimento Sinn Fein che diventerà con l’adozione di una accorta strategia il punto di riferimento di una nuova alleanza tra il nazionalismo irredentista e la Chiesa Cattolica, trascinandosi dietro anche quei settori della sinistra irlandese che, costretti dagli eventi, dovettero mutare la loro impostazione con ardenti professioni di fede nel nazionalismo e nel cattolicesimo.
Nel frattempo venne ristabilita la pax britannica in Irlanda.
Le cause del fallimento della rivoluzione furono oggetto di una attenta analisi da parte degli ambienti nazionalisti che maturarono la convinzione che il dominio britannico dovesse essere battuto, non soltanto con l’uso delle armi, ma anche sul terreno legalitario e istituzionale, ovvero quello politico ed elettorale.
Il Sinn Fein dovette attrezzarsi per potersi misurare sul campo, ampliare la fascia di consensi e impegnarsi a vincere le future consultazioni elettorali che gli inglesi avrebbero sicuramente indetto. Una campagna elettorale che si sarebbe prospettata dura e improntata sulla richiesta del rilascio dei prigionieri politici irlandesi e su rivendicazioni di carattere politico e sociale. Avvenne anche la nomina di Eamon De Valera a presidente del Sinn Fein.
Come previsto nel 1918 si svolsero le elezioni politiche che videro la schiacciante affermazione del Sinn Fein, il movimento nazionalista conquistò ben 73 seggi contro i 26 raccolti dagli unionisti protestanti. Pochi mesi dopo, nel gennaio del 1919, gli eletti nazionalisti si rifiutarono di recarsi alla Camera dei Comuni a Westminster e forti della maggioranza incontrastata conseguita nelle elezioni e del vasto sostegno popolare costituirono il Dail Eireann, ovvero il libero parlamento irlandese che come primo e significativo atto proclamava l’indipendenza dell’Irlanda dalla Gran Bretagna e nominava il governo provvisorio della Repubblica irlandese con alla guida proprio Eamon De Valera: Noi, rappresentanti eletti del Popolo Irlandese, riuniti in Assemblea nazionale: considerato che il Popolo Irlandese è di diritto un popolo libero; considerato ch’esso non ha mai cessato durante 700 anni di ripudiare l’usurpazione straniera e che l’ha più volte respinta con le armi; considerato che il Governo inglese, in questo paese, è fondato oggi, come sempre durante il passato, sulla forza e sulla frode e che si sostiene per mezzo dell’occupazione militare malgrado la volontà dichiarata del popolo; (…) ratifichiamo, in nome della Nazione irlandese, la Costituzione della Repubblica d’Irlanda e ci impegniamo, noi e i nostri cittadini, a rendere questa dichiarazione efficace con tutti i mezzi in nostro potere; (…) dichiariamo solennemente che il Governo dell’Irlanda da parte di una potenza straniera è un attentato al nostro diritto nazionale, che non tollereremo mai, ed intimiamo alle guarnigioni inglesi di evacuare il nostro paese; (…) invochiamo la benedizione divina su quest’ultima tappa della lotta che noi siamo impegnati a condurre fino alla libertà.
L’indignata e furibonda reazione della Gran Bretagna non si farà attendere.
Sarà, quindi, di nuovo guerra in Irlanda, ma sarà anche una sporca e crudele guerra.
Per due anni, tanto durò, l’esercito inglese godette di carta bianca, ogni sopruso anche il più disgustoso gli venne perdonato, ogni impunità gli venne garantita.
Fu una guerra al massacro che venne combattuta senza onore dagli inglesi, che si resero responsabili di una serie incredibile di crimini e di violenze gratuite, comprese le sadiche torture e gli innumerevoli stupri consumati.
Si trattò di una autentica pulizia etnica, consumata deliberatamente dai militari inglesi, contro l’inerme popolazione irlandese, contro donne, vecchi e bambini.
In queste atrocità si distinsero gli aguzzini dei reggimenti di Sua Maestà Black and Tans, unità militari inglesi composte da assassini, sadici e viziosi che con le loro feroci rappresaglie colpivano prevalentemente la popolazione civile; furono così disgustosamente efficienti che spesso e volentieri venivano persino encomiati, dagli ufficiali inglesi, per ogni maschio irlandese che assassinavano e per ogni donna irlandese che violentavano.
A fronte di tutto questo i combattenti dell’IRA, l’Esercito Repubblicano Irlandese, guidati da un veterano dell’indipendentismo, Michael Collins, risposero con la guerriglia e il terrorismo. Poche migliaia di combattenti dell’IRA fronteggiarono con un coraggio inaudito e con un discreto successo oltre 60.000 soldati britannici e circa 15.000 gendarmi della polizia collaborazionista unionista, la Royal Irish Constabulary.
Con spregiudicate incursioni guerrigliere condotte dalle colonne volanti e l’avvio di una campagna terroristica condotta su larga scala contro le installazioni militari, le unità combattenti dell’IRA organizzate in brigate e battaglioni riuscirono, pur pagando un elevato prezzo in perdite umane, a contenere i rastrellamenti e le rappresaglie e a infliggere duri colpi all’esercito inglese, fiaccandone il morale, nella quasi totalità del territorio irlandese.
Solamente nelle regioni del nord-est, corrispondenti alle contee di Antrim, Down, Derry, Armagh, Fermanagh e Tyrone, le operazioni dell’esercito repubblicano, purtroppo, dovettero segnare il passo, per il semplice fatto che, oltre a fronteggiare l’esercito inglese, si trovarono costretti a dovere reggere l’urto dell’offensiva scatenata dai paramilitari unionisti dell’UVF, l’Ulster Volunteer Force,  estremamente motivati, ben radicati e organizzati in quelle zone e avvantaggiati dalla protezione politica degli orangisti.
Gli unionisti lanciarono la loro milizia contro la popolazione civile cattolica, promuovendo anch’essi operazioni di pulizia etnica, dei veri pogrom contro i cattolici, considerati dagli unionisti come certi simpatizzanti dei nazionalisti.
L’obbiettivo perseguito dai paramilitari unionisti dietro indicazione strategica degli orangisti era quello di costringere, con il terrore, le famiglie cattoliche ad abbandonare definitivamente le proprie abitazioni e quei territori. All’indomani di una campagna di violenze terroristiche, condotta dall’UVF, vi furono più di ventimila profughi cattolici nella sola area di Belfast.
Pertanto, in quelle contee, l’IRA fu costretta a cambiare strategia e a concentrare i suoi sforzi nell’organizzazione della difesa dei quartieri e degli agglomerati cattolici contro le scorrerie dei paramilitari unionisti sostenuti dai reparti britannici.
La deplorevole e in fin dei conti fallimentare condotta della guerra da parte dei vertici militari britannici e le efferate violenze delle milizie unioniste produssero effetti negativi sull’opinione pubblica inglese, oltre che minare il prestigio mondiale della Gran Bretagna, anche grazie ad una accurata opera di controinformazione giornalistica avviata dalla comunità degli emigranti irlandesi che si era stanziata negli Stati Uniti.
Gli irlandesi emigrati negli USA, organizzati tra loro nella Clann na Gael, oltre che inviare denaro e armi ai combattenti irlandesi, riuscirono con iniziative di denuncia e di sensibilizzazione a coinvolgere la stampa nord-americana e di riflesso anche quella estera, in una vasta campagna che spiegasse la reale situazione in cui versava la popolazione irlandese e le sue legittime richieste di indipendenza.
Una serie di circostanze avverse che spinsero Re Giorgio V a fare pressione su il primo ministro Lloyd George affinché avviasse un negoziato con i nazionalisti per giungere alla fine delle ostilità nella forma più onorevole per la Gran Bretagna.
I negoziati giunsero a buon fine il 6/12/1921 con la firma dell’armistizio da ambo le parti, e con l’accettazione da parte del Dail Eireann di alcune condizioni, poste dal Governo inglese, che molti irlandesi giudicheranno più che umilianti: l’abbandono delle sei contee del nord-est alla Gran Bretagna e la fine delle pretese irlandesi su di esse, il riconoscimento, da parte della Gran Bretagna, di una autonoma Repubblica irlandese del sud comprendente 26 contee, vincolata però al giuramento di fedeltà alla Corona e assoggettata, come dominion, all’Impero britannico.
La firma e la ratifica dell’accordo lascerà una Irlanda di nuovo divisa, ma questa volta al suo interno, tra coloro, con alla testa Michael Collins, che riterranno, firmando il trattato, di avere fatto la scelta migliore, ovvero la «scelta del danno minore» pur di porre termine alla guerra ed essere riusciti nell’obbiettivo del conseguimento di una Repubblica irlandese riconosciuta, anche se mutilata e vincolata; e tra coloro che rifiuteranno quella che definiranno come una «elemosina inglese» alla cui testa si porrà Eamon De Valera.
Anche l’IRA e il Sinn Fein si divideranno al loro interno e sarà l’inizio di una guerra civile, una sanguinosa guerra fratricida che opporrà irlandesi ad altri irlandesi.
Il nuovo governo irlandese, guidato da Michael Collins, approverà la nuova costituzione il 16/6/1922. Il 22 giugno unità combattenti dell’IRA – preventivamente messa fuorilegge e poi ricostituitasi in clandestinità – daranno inizio alle ostilità contro il nuovo governo occupando a mano armata, a Dublino, una serie di uffici governativi.
Irlandesi dell’IRA si troveranno a dover sparare contro gli irlandesi del nuovo Esercito della Repubblica. La guerra civile irlandese conoscerà tutta quella spaventosa ferocia che sempre è stata espressione delle guerre fratricide e spesso l’esercito irlandese, pur di reprimere l’insurrezione, utilizzerà gli stessi metodi che in precedenza avevano utilizzato gli inglesi contro di loro.
Il 22 agosto Michael Collins verrà assassinato in una imboscata da un commando dell’IRA. Eamon De Valera, a nome del Comando dell’IRA, il 1/6/1923, darà l’ordine del cessate il fuoco. La guerra civile aveva ormai già fatto più di cinquemila vittime, una ferita aperta che non si rimarginerà mai più. Alcuni vertici dell’IRA non accetteranno la scelta della tregua come definitiva, e si  riserveranno di riprendere le ostilità, in un qualsiasi momento che ritenessero opportuno, contro quelli che, ormai consideravano come nemici sia interni che esterni.
Dopo il risultato delle elezioni politiche del 1923, le prime all’indomani della fine della guerra civile, il Sinn Fein rifiuterà di occupare i propri seggi in segno di protesta per la perdurante divisione della Nazione. Con il proseguimento delle polemiche politiche, continuamente rinfocolate dai ricordi della guerra civile e della repressione governativa, Eamon De Valera, nel frattempo migrato da posizioni di intransigenza politica verso sponde più accondiscendenti e legalitarie, produsse una scissione ulteriore all’interno del Sinn Fein  e nel 1926, giunse a fondare un nuovo partito pragmatico nei programmi e politicamente moderato, il Fianna Fail, con il quale vincerà le elezioni  politiche del 1932 divenendo il Primo ministro della Repubblica irlandese del Sud, l’Eire, costruendosi così l’immagine salvifica di «padre della Patria».
A nord della Repubblica rimaneva, però, sanguinante la piaga dell’occupazione inglese: le sei contee dell’Ulster erano definitivamente diventate parte integrante della Gran Bretagna. Una commissione internazionale, nel 1925, che era stata incaricata di verificare il rispetto del trattato stipulato tra inglesi e irlandesi, confermò la legittimità dei nuovi confini e approvò la separazione tra le sei contee dell’Ulster e le ventisei contee dell’Eire.

I giochi erano fatti. La guerra di liberazione sarebbe continuata nel Nord occupato.

venerdì 15 aprile 2016

NASCE CASAGGì PISA: LA DESTRA IDENTITARIA SI RADICA E LANCIA LA SFIDA AL FUTURO.






Ronin Pisa e Gioventù Nazionale aderiscono al progetto identitario: siamo l'ultimo baluardo a difesa della socialità e degli italiani
Dopo quattro anni di attività, la comunità militante Ronin Pisa, unitamente a Gioventù Nazionale - movimento giovanile di Fratelli d'Italia - danno vita a Casaggì, il progetto identitario nato dal "centro sociale di destra” fiorentino e già radicato in Toscana.
"Questa scelta è stata fatta - dichiarano i responsabili dei movimenti - con la consapevolezza che nel nostro territorio provinciale c’è il bisogno di un punto di aggregazione per le idee non conformi. Il nostro progetto militante, che può già contare sulla presenza di uno spazio fisico a Santa Croce sull'Arno e di un buon numero di attivisti, opererà in tutta la provincia di Pisa". 
"Daremo voce e corpo alle idee della destra sociale, nazionale e popolare. Una destra che sta con gli ultimi e contro i poteri forti, a fianco dei nostri connazionali dimenticati dallo Stato e dalle varie amministrazioni comunali, perlopiù formate da una sinistra anti-italiana e fallimentare, asservita alle volontà di lobby e oligarchie di potere che affamano il popolo". 
"Le nostre battaglie, che inizieranno da domani, sono tante: dalla lotta all’immigrazione clandestina alla critica di quella società multietnica che ci sta annientando; dalla priorità degli italiani nei servizi fondamentali alla difesa dei nostri operai e delle categorie più esposte al precariato e alla flessibilità; dalla difesa delle nostre imprese locali, minacciate dal capitalismo sfrenato e dalle multinazionali, alla difesa dell’ambiente; dalla tutela della famiglia naturale e della vita alla critica serrata di una società omologante che produce automi senza identità".
"Stiamo già lavorando alla creazione di attività sociali per le famiglie italiane in difficoltà economica, ma anche a tutela di tutti quei giovani che stanno perdendo il senso di appartenenza alle tradizioni e alle specificità dei nostri territori. Batteremo le scuole, arriveremo nei paesi e nei centri abitativi minori, saremo la voce degli ultimi e dei non garantiti. Sabato 11 giugno, proprio nella nostra sede di Santa Croce sull'Arno, presenteremo alla cittadinanza i nostri progetti".

domenica 3 aprile 2016

FIRENZE: SUCCESSO PER LA MANIFESTAZIONE TRICOLORE PROMOSSA DA CASAGGì IN PIAZZA STROZZI!





Firenze, la destra in piazza Strozzi per la "Manifestazione tricolore".

Dito puntato dagli organizzatori contro le politiche di Renzi, Rossi e Nardella: "la sinistra sta umiliando l'Italia e gli italiani, devono andare a casa prima che sia troppo tardi!" 

Piazza Strozzi piena di tanti giovani, ma numerosi sono anche i meno giovani che siedono sul muretto di Palazzo Strozzi, nessuna bandiera di partito, ma solo bandiere italiane: la "Manifestazione Tricolore" promossa da Casaggì e Fratelli d'Italia, insieme a CasaPound, ha portato in piazza le diverse anime della destra fiorentina che, per un giorno, hanno scelto di rinunciare ai simboli di partito per puntare, tutti insieme, il dito contro le politiche di Renzi, a Rossi e Nardella. 

Il primo a salire sul palco è Marco Scatarzi, organizzatore dell'evento e portavoce di Casaggì: "La manifestazione di oggi ha lo scopo di ribadire la centralità della Nazione, oggi privata di una propria sovranità e di un proprio destino. Il governo Renzi, tra un conflitto di interessi e un favore a qualche lobby, sta affossando le imprese, abbandonando i lavoratori e svendendo gli assi portanti della nostra economia, il tutto mentre si aprono le frontiere e si affronta il problema della denatalità consentendo l'ingresso di migliaia di clandestini. Vergognoso anche l'appoggio al TTIP, un trattato che imprime l'ennesima accelerazione mondialista all'Europa e devasta il nostro prodotto. Renzi che parla di combattere il terrorismo con la cultura è una barzelletta: le sole cose che ha fatto è stata quella di proporre lo Ius Soli ed andare a fare affari con i sauditi, primi finanziatori dell'Isis". 

Giovanni Donzelli, capogruppo di Fratelli d'Italia in consiglio regionale, si scaglia contro il governatore Rossi: "come possiamo accettare di sentire parlare ogni giorno di sanità gratuita per immigrati ed extracomunitari, quando poi ad un cittadino italiano malato, vengono chiesti 10 euro per digitalizzare i risultati delle proprie analisi?". "Rossi - continua Donzelli - almeno è coerente: dopo aver regalato milioni di Euro ai Rom, poi ci si fa i self-service insieme. Ma sono le politiche per l'immigrazione di questo paese ad essere ridicole: noi dobbiamo essere solidali ed accoglienti con chi scappa dalla guerra, ma se quando sei in Italia ti metti a fare il delinquente, perdi lo status di rifugiato e te ne torni a casa tua!". 

Conclude la "Manifestazione Tricolore" Francesco Torselli, capogruppo di Fratelli d'Italia a Palazzo Vecchio che parla di città commissariata e di un sindaco "prono al volere di Renzi e di quei poteri economici e finanziari che hanno permesso la scalata politica dell'attuale premier". "Renzi, Lotti e Carrai usano Palazzo Vecchio come fosse il salotto di casa loro - ha detto Torselli - e il sindaco eletto dai fiorentini gli fa da maggiordomo: questo è il rispetto per il voto dei cittadini che hanno questi personaggi. Arrivano a Firenze, chiamano il sindaco e gli assessori a raccolta e dettano loro la linea politica. Il dramma è che Nardella ed i suoi non fiatano neppure... Prendono appunti e fanno quello che gli viene detto". "Per non parlare dei consiglieri comunali del PD, - ha concluso il capogruppo di Fratelli d'Italia - quelli che hanno chiesto i vostri voti per governare Firenze... Non aprono mai bocca, accettano di tutto, non propongono mai mezza idea e quando lo fanno, come in occasione del Bilancio 2016, lo fanno per chiedere di dare 'case dignitose' ai Rom del Poderaccio. La prossima volta che gli incontrate e che vi chiederanno il voto, mandateli a fare campagna elettorale al Poderaccio!".