domenica 19 luglio 2015

Paolo Borsellino, una domenica di 23 anni fa' la strage di via d'Amelio...





di Mario Aldo Stilton (Secolo d'Italia)


Paolo Borsellino 23 anni dopo. 23 anni ed è ancora domenica. Perchè era domenica anche allora. Anche quel 19 luglio 1992. E siccome tutti commemorano tutto e tutti ricordano tutto, abbiamo pensato di proporre  un ricordo diverso. Senza enfasi e senza retorica. Un ricordo lontano dalle polemiche di queste ore che, probabilmente, Borsellino avrebbe liquidato con una alzata di spalle. Ricordo lontano anche dai dubbi, dalle ipotesi, dalle trame e dalle deviazioni che ci accompagnano anno dopo anno. Borsellino e i ragazzi della scorta sono morti in quella torrida domenica estiva. Torrida proprio come questa. Fatti letteralmente a pezzi da un’auto bomba parcheggiata sotto casa dell’anziana madre del magistrato. In quella via d’Amelio che ormai è nella memoria di ognuno. Quella dannata domenica Paolo Borsellino andò a pranzo in casa di Pippo Tricoli. Erano amici i due e d’estate spesso soggiornavano in villette attigue a Villagrazia di Carini. Con Tricoli, leader regionale del Msi e titolare della cattedra di Storia Contemporanea all’Ateneo di Palermo, Borsellino si frequentava sin dai tempi dell’Università e delle iniziative politiche che lo avevano visto apertamente simpatizzare per la giovane destra. La giornata, l’ultima nella vita del magistrato che insieme a Giovanni Falcone rappresenta lo Zenit dell’impegno contro ogni mafia e ogni criminalità, ci è stata tratteggiata dal ricordo semplice e pulito del figlio Manfredi e da quello addolorato dell’amico Pippo. Un ricordo che per il ragazzo odora di mare, di spiaggia e di amici; ricordo che profuma di panelle e arancini serviti in tavola nonché  dell’immancabile “comizio” che il padre Paolo regalò, “come suo solito”, alle due famiglie riunite. Ricordo triste, presagio di sventura, quello di Tricoli. Una preoccupazione taciuta alla famiglia e consegnata all’amico di sempre con lapidaria certezza: “È arrivato il tritolo per me “. Una confidenza che Pippo mai avrebbe voluto ricevere e men che meno, successivamente, esporre. Ecco, ci piace ricordarlo così Paolo Borsellino, in questa domenica di 23 anni dopo. Lontano dall’ufficialità di maniera e dall’atto dovuto. Ci piace ricordarlo insieme ad un’altro che pure ci manca tanto: insieme al suo amico Pippo Tricoli. Due esempi, per noi. Due uomini con la schiena dritta. Il nostro vero e più grande patrimoniod

sabato 11 luglio 2015

La vita di una comunità è più importante dei suoi debiti finanziari...


di Marcello Veneziani



Un asfissiante dirigismo finanziario sta soffocando la vitalità dell’economia e la sovranità degli stati europei. Il Novecento ci aveva abituato a vedere sulla scena due modelli economici contrapposti: da una parte il modello dello Stato interventista che frenava il libero mercato sotto la cappa di uno statalismo invadente, che dirigeva l’economia e stabiliva reti di protezione e vincoli, nel nome del Welfare, dell’economia sociale, se non socialista, tra programmazione e pianificazione. E dall’altra parte il modello del libero mercato che lasciava spazio all’iniziativa privata nel nome del liberismo e della deregulation, la libera circolazione di merci e capitali. Nel nuovo millennio è cresciuto in Europa, sulle ali del libero mercato e della finanza globale, un mostro sovrastatale che impone un rigido, oppressivo, minaccioso dirigismo economico. L’unica sovranità che riconosce è la sovranità del debito, il cosiddetto Debito Sovrano e l’assoluta priorità che impone agli stati e alle società è pagare i propri debiti, ridurre il deficit, tendere al pareggio di bilancio.

L’imperativo riguarda direttamente gli stati membri e la spesa pubblica ma ricade inevitabilmente sull’iniziativa privata, sulle imprese, sulle condizioni reali dell’economia di un paese. Se c’è da scegliere tra l’assetto contabile degli stati e la vita reale dei popoli, la priorità degli euro-dirigisti è assegnata senza esitazioni al primo, a scapito della seconda. Un paese può fallire, finire in default e perfino essere estromesso dall’Europa, se non ha i conti in ordine e se non rispetta i parametri imposti dal dirigismo economico europeo. Il debito sovrano assume oggi lo stesso ruolo che aveva il peccato originale: una macchia indelebile, che anche le nuove generazioni ereditano dalla nascita, una colpa assoluta e indipendente dalle volontà e dai comportamenti di ciascuno che li pone in condizione permanente di dipendenza e subalternità, tra procedure d’infrazione e minacce di sospensione ed espulsione, equivalenti tecnico-finanziari della scomunica, dell’anatema e della dannazione. Vista l’entità gigantesca del debito e la sua crescita esponenziale col tempo, che costringe non a ridurre veramente il debito ma solo a pagare gli interessi sui debiti pregressi, vista l’impossibilità di terapie radicali e definitive, non c’è alcuna uscita dal tunnel del debito, solo un percorso obbligato e scandito da tappe infinite che non consentono il recupero della libertà né il ripristino della sovranità. Debitori si nasce, si cresce e si muore.


“Il privato si è mangiato il pubblico – scrive Mario Tronti – l’economia si è mangiata la politica, la finanza si è mangiata l’economia, quindi il denaro si è mangiato lo Stato, la moneta s’è mangiata l’Europa, la globalizzazione si mangia il mondo”. Naturalmente non si tratta di seguire gli schemi complottistici e dividere l’Europa tra vittime e carnefici: ci sono state politiche dissennate che hanno ingigantito il debito e ci sono tentativi apprezzabili di risanare gli errori passati. Ma a questo punto non resta che fuoruscire dalla gabbia, rimettere in discussione la sovranità del debito e partire da altre basi, non legate alla finanza ma alla vita reale dei popoli e dell’economia, alla sovranità politica, nazionale e popolare. La crisi economica non si risolverà finché restiamo solo sul terreno dell’economia e soprattutto se restiamo dentro i dogmi e gli schemi tecno-finanziari. Lo stesso mercato finanziario appare fortemente condizionato da fattori psicologici, emotivi, meta-economici: la borsa è psicolabile e lo dimostra ogni giorno… Si tratta allora di spodestare l’Economia dal trono di Ars regia e riportarla a terra, in mezzo alle genti. Bisogna salire di un piano o scendere alle fondamenta se si vuole spezzare la china automatica che si è generata. Tocca alla politica, la grande politica che decide, non la governance, tagliare il nodo di Gordio. Per questo, con tutte le velleità, le astuzie e l’avventurismo che hanno accompagnato l’esperienza greca e le sue tifoserie nostrane, è necessario trarre un insegnamento e una previsione dal referendum: un popolo viene prima degli assetti contabili, la vita di una comunità è più importante dei suoi debiti finanziari, non è possibile cacciare dall’Europa chi fa parte della sua storia e della sua identità. Solo su queste basi si potrà rifondare l’Europa vera, viva, variegata, ricca di passato e di avvenire.

lunedì 6 luglio 2015

CASAGGì e GIOVENTÙ NAZIONALE contro la "buona scuola" di Renzi...




CASAGGì e GIOVENTÙ NAZIONALE contro la "buona scuola" di Renzi: sigillati simbolicamente tutti i provveditorati allo studio della Toscana. Il governo ruba il futuro dei giovani italiani, aziendalizza l'istruzione e non interpella gli studenti. 
Azioni simultanee a Firenze, Pisa, Siena, Empoli, Arezzo e anche nella Valdichiana e nella Valdinievole: nastri da cantiere e volantini sono stati affissi sui luoghi simbolo del "diritto allo studio": scuole, provveditorati e uffici regionali. A realizzare il tutto le sigle della destra identitaria afferenti a Casaggì, il "centro sociale di destra" attivo a Firenze e a Gioventù Nazionale, il movimento giovanile di Fratelli d'Italia.
Il governo Renzi approva il suo modello di "buona scuola" senza degnarsi di un confronto con il mondo studentesco. 
L'ennesimo passo verso lo smantellamento della scuola pubblica è compiuto, nel silenzio generale e senza dibattiti preventivi.
Il mondo della formazione si aziendalizza e il sapere diventa merce, mentendo intatti i punti deboli del comparto-scuola: strutture inadeguate, docenti impreparati e faziosi, tagli al personale, precarizzazione generale.
L'istruzione cessa di essere un diritto e diventa un prodotto da accompagnare alla massificazione in atto e al processo di riduzione dell'esistente alla logica del profitto e della produttività; un primo passo verso la creazione del consumatore di domani, privo di identità, di coscienza critica e di radici, di spunti vitali, solidali e comunitari.
Se questa è la "buona scuola", siamo fieri di essere quelli dell'ultimo banco.
Casaggì Firenze, Casaggì Empoli, Casaggì Valdichiana, Ronin Pisa, Spartacus Valdinievole, ArezzoZero, Gioventù Nazionale Toscana.

mercoledì 1 luglio 2015

Beppe Niccolai e la critica del progresso che cancella la comunità...


di Giovanni Fonghini (Barbadillo.it)

"….E poi la “cultura” del progresso illimitato, travolgente, senza legami, senza tradizioni, senza i ricordi. Che vale oggi la storia di un borgo medievale, nel rispetto di chi ci ha vissuto, parlato, camminato, prodotto cultura e fiabe per bambini? Che vale conservare un paesaggio, un fiume, un ruscello? Anche quelli sono valori della tradizione. L’uomo non è fatto solo per produrre e consumare; l’uomo è anche pianta, albero-figlio della terra, della sua terra. La città a misura d’uomo. L’uomo, il rispetto della sua complessa unicità.
A chi abita nelle “batterie” degli uomini da lavoro resta, oggi, una sola via da percorrere per conservare la stima di sé: non rimuovere dalla coscienza la vita di chi ci è accanto, di chi ci è compagno di sventura; non dimenticarlo non chiudersi nel più completo isolamento. Si abita sullo stesso pianerottolo e non ci si conosce. E si fa di tutto per evitare di conoscersi. Si chiudono con i tramezzi i balconi.
Perché? Per la paura di vedere riflessa nel vicino la propria immagine disperata, di uomini da lavoro in “batteria”. E i figli? Scendono dalle nuove zone di frontiera, le bande. Che possono fare se sono cresciuti in questa “cultura” che ha ucciso, con la memoria storica, città e territorio? Vandalismi? E come possono avere rispetto se ciò che vedono (e in cui vivono) è triste e brutto? Centinaia di migliaia di abitazioni che si distinguono solo per i numeri civici. Quei quartieri: disegnati da quale “cultura”? Da quali “architetti”? I ragazzi, oggi abituati ad essere consumatori, sfiorano l’angoscia, la noia per sazietà di stimoli. Via la Patria, via la religione, via le ideologie, via ogni fede. Via ogni autorità, tutto è permesso. Viva la città senza bandiere, senza altari, senza idee, senza politica vera. Si scatenano i demoni. Questa è la cultura fondante sorta per edificare la città senza Dio. La città senza inibizioni, la città dove si può tutto. Ed ecco l’infelicità, la noia, il collasso totale. Come si esce da questa crisi metapolitica, da questa crisi di religione? Occorre ritrovarsi, tornare a stare insieme. Tornare ad un modo di vivere che dia senso alla vita.
Superare la vacanza della Storia che ci ha portato alla perdita di identità. Tornare Comunità. Tornare “memoria”.
Alcuni giorni fa un amico su Facebook mi proponeva questo brano tratto da un discorso del 1985 di Beppe Niccolai, politico e parlamentare missino. Con questo amico ho spesso grande sintonia di vedute, a dispetto dei nostri diversi, per non dire opposti, percorsi politici di gioventù. Beppe Niccolai fu un grande uomo politico, che della storia e della tradizione italiana seppe fare seme fertile per elaborare analisi politiche estremamente lucide e, con il senno di poi, molto avanti rispetto ai suoi tempi. Era un uomo libero, non aveva paura a schierarsi fuori dal coro e dai luoghi comuni di cui era intrisa la politica di allora. Seppe guadagnarsi il rispetto di chi era su posizioni diverse dalle sue, come Leonardo Sciascia che in un’intervista della tv francese ebbe parole di apprezzamento per la sua relazione di minoranza quale componente della commissione parlamentare antimafia. Il brano di cui sopra è di 30 anni fa circa, ma se lo leggiamo alla luce degli accadimenti attuali è evidente quanto le sue parole risultino addirittura profetiche. Viene tratteggiato un mondo, un ambiente, un territorio devastati – penso in modo particolare a quando scrive “Che vale conservare un paesaggio, un fiume, un ruscello?” – e un individuo alienato perché deprivato della sua identità e della sua essenza umana. Mi si perdoni l’accostamento ma a me viene da pensare al tema dell’ecologia. Si potrebbe dire che l’ecologia, intesa nel senso di uno sfruttamento più equo ed equilibrato delle risorse naturali, debba fare rima con la giustizia sociale. Lo sfruttamento rapace e indiscriminato, nel nome del business elevato a nuovo idolo dei giorni nostri, delle risorse della terra si lega in maniera indissolubile alle ingiustizie sociali sempre più macroscopiche. Quando ero bambino alcuni di quelle ingiustizie avrebbero detto che gridavano vendetta al cospetto di Dio. Ma se si parla di ecologia non posso non pensare ad un altro grande maestro di pensiero e di azione, Rutilio Sermonti, scomparso pochi giorni fa. Si è giustamente scritto molto di lui; senza fare torto alle molte cose eccellenti che ho letto il mio spirito romantico mi ha portato a scegliere questo ritratto .