venerdì 20 marzo 2015

Socialismo, Tradizione, Nazione...


di Federico Pulcinelli (Ereticamente.net)

Lo scenario internazionale è in forte movimento. Guerre, scontri, conquiste occupazioni perdite di territorio si susseguono dal Medio Oriente fino l’Europa Orientale. Suona come una constatazione banale, alla portata di “tutti”, ma oltre ciò ci sono osservazioni più sottili. Questo stato di cose non è solo il serio rischio per una nuova “polveriera” su scala mondiale, ma può anche essere l’humus per nuove alleanze e nuovi “impasti” ideali.

Il tempo nel quale ci troviamo a vivere sta divenendo sempre più veloce. Più di 25 anni sono trascorsi dal crollo del Muro di Berlino, e “La Fine della storia” del politologo statunitense Francis Fukuyama non solo non è avvenuta, ma oggi la storia sta imprimendo una brusca accelerata verso un nuovo ed interessantissimo percorso.

Tutte le vecchie classificazioni, gli antichi discrimini della politica divengono desueti e anacronistici. “Destra” e “Sinistra” con la dipartita delle ideologie e dei “blocchi” politici di esse espressione, entrano sempre più nello status di paragrafo dei libri di storia e con il disincantamento sociale e la loro progressiva perdita di identità e diversificazione, si vanno a confondere l’una con l’altra. Lasciando una grande indecisione difronte il problema di categorizzare ciò che sia di “Destra” e ciò che sia di “Sinistra”.

Più di un venticinquennio, come detto, è passato dalla distruzione del muro che divideva politicamente e fisicamente non solo l’Europa, ma anche tutto il mondo in due parti, almeno formalmente, l’una agli antipodi dell’altra. Una emblema del capitalismo, il così detto “mondo libero”, capeggiata dagli U.S.A.; l’altra “il paradiso del proletariato” sotto l’ombrello dell’U.R.S.S.. La guerra, “fredda” “calda” o quella che sia, l’hanno vinta gli americani. Ma attenzione a cantare vittoria. Perché la potenza oltreatlantico è la prima che maledice quel 9 novembre del 1989. Lo fa, soprattutto, oggi alla vista di quello che sta accadendo, del “forte terremoto” che scuote la scacchiera internazionale. Fin quando è esisto il “Muro” ed il Blocco Sovietico, l’America aveva un nemico da contrapporre al globo sotto la sua sfera di dominio, un “nemico” contro cui rinsaldare i ranghi. Caduto “l’impero del male”, ammainata la bandiera rossa sul Cremlino, il nemico non c’era più. E anni di assenza di un pericolo pressante, hanno reso i capi di “Casa Washington” spavaldi, avidi. Troppo, fin troppo, sicuri di loro! Tanto da credere che bastasse muovere guerra, conquistare intere porzioni di territorio, per stroncare chiunque avesse messo in dubbio il dominio americano. Ma la spocchia, in particolare modo in politica estera e militare, si paga a caro prezzo nel lungo andare. Oggi gli U.S.A. cercano disperatamente un “nemico”, un avversario con cui tornare nuovamente a rinsaldare i ranghi. Dopo una cieca geopolitica e geostrategia, le tante roccaforti del suo “vasto impero” stano cedendo sotto i suoi occhi. Che fare allora? Giocarsi il tutto per tutto: perché solo questo ad essa e rimasto. Nazioni, popoli che fino ad oggi erano rimasti nell’ultimo posto nel “concerto delle nazioni”, Paesi che qualche decennio fa venivano additati come “Terzo Mondo”, si stanno ergendo decisi a cambiare “le carte in tavola”. Pronti a far valere la loro voce.

“Trovare il nemico” questo il leitmotiv americano. E qui la martellante propaganda contro il terrorismo islamico da una parte e le “pericolose nazioni” conquistatrici, “l’asse del male”, dell’altra. Una classificazione la seconda, dove la Russia dei nostri giorni gioca un ruolo fondamentale tra gli “spauracchi” agitati dagli americani.

L’organizzazione dei due diversi schieramenti, quello dell’Occidente e quello delle forze nascenti, sta avvenendo su basi strategiche, geopolitiche e militari. Ma è ancora assente il dato più saliente, quello che informa i grandi scontri epocali. Manca, ancora, una profonda separazione ideologica a questi fronti contrapposti.

Se non altro, ne è privo per il momento il più giovane fra i due contendenti mondiali.
L’Occidente sotto l’aspetto di “visioni del mondo” non ha nulla di nuovo. Ovvero la sua ideologia è la stessa che si porta appreso dallo scontro con la “vecchia” U.R.S.S.. Capitalismo, liberismo, progressismo, mondialismo, queste sono le linee guida che distinguono l’essenza occidentale con a capo l’America. Nelle forme e nei slogan molto probabilmente “evoluti”, e più “agguerriti” nella concezione dell’individuo e de suoi legami e delle sue forme associative e comunitarie. Esempio, scontato ma emblematico, la sempre maggiore denaturalizzazione e destrutturalizzazione del concetto di “famiglia” nel civilizzato binomio di “Europa – America”. Ma, comunque, nulla di nuovo sotto il sole. Un agglomerato di stati, nazioni monolitiche: non esprimono differenze complesse le une con le altre. Ciò che si può riscontrare, i canoni di vita, a New York è facilmente ritrovabile a Milano quanto a Londra. Una lunga striscia di terra, separata dall’oceano, differenziata nel suo interno solo dai molti nomi dei vari stati, ma profondamente omologata e compatta nello spirito. Una “Piramide” nella cui punta massima stanziano gli U.S.A. e sotto di essa a scalare i suoi tanti feudi. Si potrebbe pensare ad una moderna forma d’Impero. Invece no: ne è se mai la sua faccia oscura. L’Impero è una costruzione, se vogliamo, si “Piramidale”. Ma con una profonda differenza che ne informa tutta la struttura rispetto al “tipo” di quello americano. Nell’Impero come teoria classica, sussistono delle diversità complesse tra le terre, o parti, che lo compongono. Non solo formali, superficiali, come nell’Occidente di oggi giorno, ma profonde e sostanziali, e che ne costituiscono la ricchezza. Specificità queste che si riassumono in un’unica guida, in un unico potere. Un vero e proprio corpo dove ogni diverso organo collabora al funzionamento dello stesso, con al vertice massimo la testa e dietro di essa l’anima che da senso al tutto.

Da quest’altra parte un nascente fronte eterogeneo, dove convivono terre e popoli diversissimi. Non solo per il puro dato geografico, ma per diverse specificità etniche, culturali, tradizionali e, soprattutto, politiche! Di questo ne fanno parte, o almeno tentano, fra i tanti: la Russia, varie nazioni dell’America Latina, la Cina, la Corea del Nord, la Sira, l’Iran. Non vi è ancora una visione univoca. Vi sono tante idee quante le nazioni che compongono questo assetto antioccidentale. Sono presenti il Comunismo Juche della Corea del Nord; il Socialismo del XXI secolo dei “frizzanti” paesi dell’America Latina; il Tradizionalismo dell’Iran e quello rinascente dell’odierna Russia. Tutti uniti questi popoli per la difesa delle loro nazioni dalla forte America.
Volendo fare una summa ideologica di tutto ciò, si potrebbe racchiudere l’insieme nel trinomio: “Socialismo, Tradizione, Nazione”.
Come detto non un unico paradigma, bensì un’alleanza di Paesi con diverse espressioni ideali. Ma un’idealità unica ci vuole! I grandi corpi alla lunga ne abbisognano, soprattutto se chiamati alla guerra. Alla lunga dovranno esprimere quali canoni e quali distanze vorranno andare a contrappore all’avverso.

In sostanza se si rimane mera coesione contingente di più corpi diversi, c’è il rischio che prima o poi si vacilli nel duro impatto con i colpi di un nemico compatto. Che si creino durante la marcia interessi e obbiettivi diversi che poi sfaldino il tutto. Bisogna divenire corpo organico! E il corpo organico, così come per l’Impero, all’apice ha un solo concetto che racchiude i molti. Un ideale che faccia da traino.

Ma se una siffatta eterogena alleanza, potesse essere nella sua originaria pluralità il magma giusto per un nuovo paradigma?

L’epoca che ci attraversa necessità di nuovi fini, di diversi obbiettivi, di originali propositi. I fatti sociali e internazionali sono molto più creativi e sensibili del semplice sentire degli uomini, anzi è un fatto che i primi determinano i secondi. La prima guerra mondiale è stato questo. Senza il suo scoppio e il diverso posizionamento di forze in campo non sarebbero morti i vecchi dogmi, e non sarebbero nati i nuovi che avrebbero fatto da terreno di scontro nella seconda guerra mondiale.
Dunque i “fatti”, i “nuovi scenari”. Questa nascente alleanza tra Socialismo, Tradizione e Nazione, ora solo su base materialistica di difesa o attacco verso un nemico comune, potrebbe essere il preludio di un’ideale sintesi, connubio, un nuovo connubio!, tra queste tre differenti ideologie per partorirne una! E creare nuove passioni che vadano a declinare anche nel politico per costituire nuove categorie politiche.

Del resto alla fine del primo conflitto mondiale una simile sintesi vi era stata. E pioniera su tutti fu l’Italia. Certo è che il socialismo in più parti sta ritornando prepotentemente sulla scena, e con accostamenti al profondo senso nazionale. Nel Donbass, per fare un esempio, alcuni “volontari europei” hanno affermato di combattere per il “Socialismo europeo”. Riproporre anche in Italia una formula aggiornata di questa idea, prendendo e facendovi confluire i nomi più altisonanti della nostra storia nazionale, dai protosocialisti militari del Risorgimento ai sindacalisti rivoluzionari che dettero il sangue per la causa irredentista e che furono l’humus culturale da cui ebbe il suo primo vagito il Fascismo, passando per le intuizioni tricolori di Craxi? Forse. Ciò che è lampante oggi è che si abbisogna di una nuova “idea forza” che sappia ricreare le grandi passioni della lotta. Le grandi affermazioni e le grandi negazioni.

Socialismo, Tradizione, Nazione potranno avere la forza necessaria per rispondere a questo bisogno di nuova linfa ideale? Il Socialismo nella sua diramazione più vera cioè quella di “comunità”, volontà sociale di uno gruppo di individui simili per etnia, cultura e quindi intimamente legati da principi, credi, fede religiosa che nei secoli si sono trasmessi creando un’unica Tradizione. Indefessamente innamorati del proprio suolo natio, della propria Nazione, per guardare poi oggi, nel nostro contesto continentale, alla più grande nazione che racchiude le tutte: la Grande Europa. Se tutto ciò possa diventare il nuovo fulcro da cui far ripartire diversi steccati ideologici, non è dato saperlo per il momento. Ma sicuramente una coesione simile ha già in se la scintilla che preannuncia il fuoco.


mercoledì 18 marzo 2015

Conciliazione nazionale: una speranza lontana...


di Carlo Cesare Montani (da EreticaMente.net)


Il caso del Cap. Paride Mori ucciso quattro volte
Sono trascorsi 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ma in Italia i tempi di una conclamata riconciliazione sono stati ulteriormente rinviati alle calende greche, sull’altare di un’intolleranza anacronistica e talvolta faziosa. Viene da chiedersi quali siano le motivazioni di questo  triste primato che appartiene al bel Paese, mentre in altri casi l’eclisse della ragione è stata superata da tempo.
L’ultimo esempio della pervicace volontà di perseverare nelle divisioni, in primo luogo etico – politiche, proviene dall’applicazione della Legge 30 marzo 2004 n. 92, che era stata approvata con voto quasi unanime, in un commendevole spirito conciliativo, per istituire il “Giorno del Ricordo” del grande Esodo giuliano, istriano e dalmata, e dei Martiri delle Foibe od altrimenti massacrati dai partigiani comunisti di Tito: secondo le stime più autorevoli, tra cui quella di Luigi Papo, almeno 16 mila Vittime, la cui esatta quantificazione è peraltro impossibile, anche per la permanente carenza collaborativa, dapprima jugoslava, e poi slovena e croata.
A dieci anni dall’entrata in vigore di quella Legge, che prevede, fra l’altro, il riconoscimento di una Medaglia in onore dei Caduti, si dà il caso che, dopo oltre mille conferimenti, qualcuno abbia sollevato dubbi sulla concessione della Medaglia stessa in memoria del Cap. Paride Mori, un  Bersagliere Volontario dell’Ottavo Reggimento “Manara”: quel che è peggio, chiedendo  la revoca del provvedimento, con un atto in cui non sarebbe difficile ravvisare gli estremi dell’eccesso di potere e della violazione di legge.
Giova precisare che le condizioni richieste dal legislatore per concedere la Medaglia ed il relativo Attestato stabiliscono che i fatti si debbano essere verificati nelle zone del confine orientale tra l’otto settembre 1943 e il dieci febbraio 1947 (con qualche eccezione); e che il Caduto non sia morto nel corso di un combattimento, ma a seguito di violenze imputabili all’invasore ed occupatore slavo (infoibamenti, fucilazioni, annegamenti, lapidazioni, torture). La Legge n. 92, più specificamente, non ha fatto discriminazioni fra civili e militari, né tanto meno fra le appartenenze alle varie Armi (Esercito, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, e via dicendo).Mori a Tolmino225
Eppure, si è dato il caso che la Medaglia in “metallo vile” (ma importante simbolo della Repubblica Italiana che ricorda) conferita a Paride Mori, massacrato dai partigiani nell’Alta Valle dell’Isonzo (18 febbraio 1944) mentre si recava a rapporto nel “sidecar” condotto dal suo motociclista, anch’egli Caduto nell’imboscata e Vittima di analoghe sevizie persino sui cadaveri, sia stata posta in discussione, con relativa richiesta di revoca.  
Paride Mori aveva espresso, assieme a tanti suoi Bersaglieri dell’Ottavo Reggimento, l’impegno di un nobile Volontariato accorrendo, in condizioni a dir poco impari, all’ultima difesa della Venezia Giulia, mentre altri gettavano le armi e si davano alla macchia; originario della provincia di Parma, dove certi nervi sono ancora scoperti, senza dire che la città emiliana, unica in Italia, conserva tuttora due luoghi pubblici intitolati al Maresciallo Tito, pur considerato “infoibatore ed assassino” anche in una vecchia sentenza della Giustizia italiana che assolse con formula piena il giornalista Silvano Drago, Direttore di “Difesa Adriatica”, dall’accusa di vilipendio.
A sostegno della richiesta di revoca non si è guardato per il sottile, affermando il falso: non è vero che Mori fosse alle dipendenze della Wehrmacht, e non è vero che la Medaglia non fosse dovuta perché le spoglie mortali del Caduto non furono infoibate (caso mai, tale informazione dimostra l’ignoranza forse voluta della Legge n. 92, estesa – come detto – a tutte le Vittime dei partigiani di Tito, a prescindere dal tipo di supplizio).
Ed allora, è mai possibile che a Paride Mori si voglia revocare una semplice concessione “senza assegno” voluta dal legislatore italiano con  encomiabile voto plebiscitario davvero “bipartisan”? Non sarebbe, a ben vedere, una sorta di surreale perversione ideologica?
 La verità è che il potere esecutivo della nuova Italia, sempre più decisa a “fare” ma evidentemente anche a “disfare”, sta perdendo una buona occasione per non cedere alle suggestioni di una piazza, come quella emiliana, dove taluni paralogismi sono duri a morire, anche a  70 anni dai fatti. La revoca di un conferimento secondo legge potrebbe essere statuita per decreto soltanto se ricorressero esigenze di necessità ed urgenza, nella fattispecie inesistenti; quindi, l’atto sarebbe pesantemente viziato sul piano della legittimità, tanto più che la decisione di concedere la Medaglia a Paride Mori era stata assunta, previa istruttoria, a cura dell’apposita attenta Commissione istituita proprio alla Presidenza del Consiglio, nell’ambito dei poteri decisionali regolarmente esercitati per dieci anni (la sola eccezione mai formulata è stata quella relativa allo stesso Mori).
L’Istituto per la Storia della Resistenza, con tutto il rispetto, non può delegittimare il potere conferito alla Commissione, ed annullare i poteri del Governo. Soprattutto, non deve offendere la memoria dei Bersaglieri del “Grande Ottavo” e la nobile purezza di un sacrificio esaltato da una celebre affermazione: “Non vogliamo il cambio” !
Tornando al caso di Paride Mori per quanto concerne il merito, vale la pena di sottolineare che, suo malgrado, è come se fosse stato ucciso una quarta volta: dopo il delitto compiuto dai partigiani, è stato Vittima degli italiani quando la sua Medaglia d’Argento al Valore non venne riconosciuta perché conferita dalle Forze Armate della RSI; quando il Comune nativo di Traversetolo (Parma) gli ha negato una semplice citazione nella toponomastica cittadina, ed ora, addirittura, con la pretesa un atto governativo imposto dall’esterno.
Le conclusioni sono improntate ad una grande amarezza: a parte il caso personale di Mori, la conciliazione nazionale costituisce una meta lontana, alle soglie dell’utopia.
Soli motivi di conforto (assieme alla cittadinanza onoraria di Trieste recentemente conferita al “Grande Ottavo” nel corso di una toccante cerimonia) sono i valori espressi dalla Bandiera tricolore alla cui ombra il Cap. Mori ed i suoi invitti Bersaglieri riposano nel Sacrario Militare di Bari, ricordando a tutti un messaggio di fede e suscita motivi di rinnovate speranze in ogni cuore limpido.

martedì 17 marzo 2015

Dolce&Gabbana a favore della famiglia: scatta attacco della lobby gay...



(ilgiornale.it) – Dopo il caso Barilla, ecco il caso Dolce e Gabbana. I due stilisti, in questi giorni, hanno difeso la famiglia tradizionale e subito sono stati attaccati su più fronti.
Ma l’attacco più violento è venuto dalla comunità Lgbt che ha invitato al boicotaggio del celebre brand: “A decidere di sferrare l’attacco più meschino alla comunità Lgbt, dalle colonne di Panorama,ricalcando il linguaggio ascientifico e ingannevole dei crociati antigay, sono proprio Domenico Dolce e Stefano Gabbana, coloro che più hanno ricevuto dalla stessa comunità alla quale devono fama e benessere economico. Tanto più, dunque, è insopportabile e doloroso questo attacco intestino“.
E dalle parole la comunità Lgbt passa subito ai fatti: “Così come Dolce e Gabbana sono stati liberi di scegliere eticamente di impostare politica aziendale e fama personale sulla scia della discriminazione; noi dobbiamo sentirci liberi di scegliere di farci consumatori etici, acquistando da chi sceglie la politica dell’inclusione e restituisce i frutti della propria fama, in primis, alla propria comunità, prendendo parte alla battaglia universale per l’estensione dei privilegi eterosessuali secondo il principio d’uguaglianza e per la promozione dei diritti umani“.

Quindi l’iniziativa contro gli stilisti: “Invitiamo dunque tutti i presidenti delle associazioni Lgbt nazionali e locali a valutare serenamente l’ipotesi di una nuova campagna di boicottaggio e a unirsi a noi. Invitiamo tutti voi al boicottaggio del marchio D&G. Utilizzate l’ashtag #BoycottDolceGabbana“.

martedì 10 marzo 2015

Silenzio e solitudine...

di Renè Guènon



(aurhelio.it) – Fra gli Indiani dell’America del Nord, e in tutte le tribù senza eccezione, esiste, oltre ai riti di vario genere che hanno carattere collettivo, la pratica di un’adorazione solitaria e silenziosa, ritenuta la più profonda e quella di ordine più elevato. I riti collettivi hanno sempre infatti, in una certa misura, qualcosa di relativamente esteriore; diciamo in una certa misura perché al riguardo si deve naturalmente, qui come in ogni altra tradizione, fare una differenza fra i riti che si possono definire essoterici, ovvero quelli ai quali tutti partecipano indistintamente, e i riti iniziatici. E’ chiaro d’altronde che, lungi dall’escludere quei riti o di opporvisi in una maniera qualsiasi, l’adorazione in questione vi si sovrappone soltanto come appartenente in certo qual modo a un altro ordine; ed è anche lecito pensare che, per essere veramente efficace e produrre risultati reali, essa debba presupporre l’iniziazione come una condizione necessaria. A proposito di questa adorazione, si é talvolta parlato di “preghiera”, ma ciò é evidentemente inesatto, perché non c’e alcuna richiesta, di qualsivoglia natura; le preghiere formulate generalmente in canti rituali possono soltanto essere rivolte alle diverse manifestazioni divine, e vedremo che qui si tratta in realtà di tutt’altra cosa. Sarebbe certo molto più giusto parlare di “incantesimo”, prendendo la parola nel significato che abbiamo definito altrove; si potrebbe anche dire che é una “invocazione”, intendendola in un senso esattamente paragonabile a quello del “dhikr” nella tradizione islamica, ma precisando che é essenzialmente un’invocazione silenziosa e tutta interiore. Ecco ciò che in proposito scrive C. Eastman: “L’adorazione del Grande Mistero era silenziosa, solitaria, senza complicazione interiore; era silenziosa perché ogni discorso é necessariamente debole e imperfetto, quindi le anime dei nostri antenati raggiungevano Dio in un’adorazione senza parole; era solitaria perché essi pensavano che Dio è più vicino a noi nella solitudine, e non c’erano preti per fare da intermediari fra l’uomo e il Creatore “. Infatti non ci possono essere intermediari in questo caso, poiché quell’adorazione tende a stabilire una comunicazione diretta con il Principio supremo, designato qui come il “Grande Mistero “. Non soltanto é unicamente nel silenzio e grazie ad esso che si può ottenere questa comunicazione – perché il “Grande Mistero” è al di la di ogni forma ed espressione – ma il silenzio stesso “é il Grande Mistero”; come bisogna intendere esattamente quest’affermazione? Innanzitutto, si può ricordare in proposito che il vero “mistero” è essenzialmente ed esclusivamente l’inesprimibile, che evidentemente può essere rappresentato solo dal silenzio; inoltre, poiché il “Grande Mistero” è il non-manifestato, il silenzio stesso, che è propriamente uno stato di non-manifestazione, è quindi come una partecipazione o una conformità alla natura del Principio supremo. D’altra parte, il silenzio, riferito al Principio, è, si potrebbe dire, il Verbo non proferito; perciò “il silenzio sacro è la voce del Grande Spirito”, in quanto questo é identificato al Principio stesso; e tale voce, la quale corrisponde alla modalità principiale del suono che la tradizione indù designa come “parâ” o non-manifestata, è la risposta al richiamo dell’essere in adorazione: richiamo e risposta ugualmente silenziosi, essendo entrambi un’aspirazione e un’illuminazione puramente interiori. Perché sia cosi, è necessario che il silenzio sia in realtà qualcosa di più che la semplice assenza di ogni parola o di ogni discorso, sia pure formulati in maniera del tutto mentale; infatti, per gli Indiani quel silenzio é essenzialmente “il perfetto equilibrio delle tre parti dell’essere”, ossia di ciò che nella terminologia occidentale può essere designato come lo spirito, l’anima e il corpo, perché l’essere intero, in tutti gli elementi che lo compongono, deve partecipare all’adorazione affinché si possa ottenere un risultato pienamente valido. La necessità di questa condizione di equilibrio é facile da comprendere, perché l’equilibrio é, nella manifestazione stessa, come l’immagine o il riflesso dell’indistinzione principiale del non-manifestato, indistinzione che é rappresentata anche dal silenzio, sicché non c’é affatto da meravigliarsi dell’assimilazione cosi stabilita fra quest’ultimo e l’equilibrio. Quanto alla solitudine, é opportuno osservare innanzitutto che la sua associazione con il silenzio é in certo qual modo normale e persino necessaria, e che, anche in presenza di altri esseri, chi crea in sé il silenzio perfetto si isola necessariamente da essi; del resto, silenzio e solitudine sono anche entrambi impliciti nel significato del termine sanscrito “mauna”, che nella tradizione indù è indubbiamente quello che si applica con maggiore precisione a uno stato come quello di cui stiamo parlando. La molteplicità, essendo inerente alla manifestazione e via via accentuandosi, si può dire, a mano a mano che si scende a gradi viepiù inferiori di questa, allontana dunque necessariamente dal non-manifestato; quindi l’essere che vuole mettersi in comunicazione con il Principio deve prima di tutto fare l’unità in se stesso, per quanto possibile, mediante l’armonizzazione e l’equilibrio di tutti i suoi elementi, e nel medesimo tempo deve anche isolarsi da ogni molteplicità esterna a lui. Realizzata cosi l’unificazione, anche se è ancora relativa nella maggior parte dei casi, essa nondimeno rappresenta, secondo le effettive possibilità dell’essere, una certa conformità alla “non-dualità” del Principio; e, al limite superiore, l’isolamento assume il significato del termine sanscrito “kaivalya”, il quale, esprimendo al contempo le idee di perfezione e di totalità, quando ha tutta la pienezza del suo contenuto semantico arriva a designare lo stato assoluto e incondizionato, quello dell’essere che ha raggiunto la Liberazione Finale. A un grado molto meno elevato di questo, e che appartiene ancora soltanto alle fasi preliminari della realizzazione, si può far osservare ciò: la dove c’e necessariamente dispersione, la solitudine, in quanto si oppone alla molteplicità e coincide con una certa unità, è essenzialmente concentrazione; ed é noto quale importanza sia effettivamente data alla concentrazione da tutte le dottrine tradizionali senza eccezione, in quanto mezzo e condizione indispensabile di ogni realizzazione. Ci sembra poco utile insistere ulteriormente su quest’ultimo punto, ma c’è un’altra conseguenza sulla quale vogliamo ancora richiamare più in particolare l’attenzione prima di concludere: il metodo in questione, proprio perché si oppone a ogni dispersione delle potenze dell’essere, esclude lo sviluppo separato e più o meno disordinato dell’uno o dell’altro dei suoi elementi, e soprattutto quello degli elementi psichici coltivati in certo qual modo per se stessi, sviluppo che é sempre contrario all’armonia e all’equilibrio dell’insieme. Per gli Indiani, secondo Paul Coze, “sembra che, per sviluppare l’”orenda”(insieme delle diverse modalità della forza psichica), intermediario fra il materiale e lo spirituale, si debba prima di tutto dominare la materia e tendere al divino’; ciò equivale in definitiva a dire che essi non ritengono legittimo affrontare la sfera psichica se non“dall’alto”, in quanto i risultati di quest’ordine sono ottenuti soltanto in maniera accessoria e come “in sovrappiù”, il che é infatti il solo mezzo per evitarne i pericoli; e, aggiungeremmo noi, ciò é certamente quanto più distante possibile dalla volgare “magia” che è stata loro troppo spesso attribuita, e che è anche l’unica cosa che in loro hanno creduto di vedere osservatori profani e superficiali, senza dubbio perché essi stessi non avevano la minima idea di che cosa potesse essere la vera spiritualità.

mercoledì 4 marzo 2015

I terroristi non sono soltanto quelli che piazzano le bombe...


da Azione Tradizionale



Il discorso di Cristina Kirchner all’ONU del settembre 2014 è stato storico, coraggioso e di esempio.
La presidente argentina, in poco più di venti minuti, ha puntato il dito contro USA e ISRAELE in maniera formidabile:
“Non dovete neanche osare a cercare di portare qui sul suolo argentino le vostre guerre, i vostri missili, la distruzione (Israele che bombarda Gaza…) (…) non dovete inventarvi false minacce dell’ISIS contro di me per farmi prendere sciocche decisioni belligeranti (contro Assad in Siria…) (..) e non dovete portare le vostre diatribe dentro la diplomazia argentina (accordo Argentina-Iran su attentato AMIA”.


Ricordiamo tutti il default argentino del 2001, a seguito di quella bancarotta l’Argentina ristrutturò il suo debito per 191 mld di dollari, dilazionando le scadenze dei bond al 2005 e 2010, senza ricorrere alle draculesche politiche di austerity del FMI (“Preferisco avere un’inflazione alta e vedere il drastico calo di disoccupazione e povertà, lavoro e produttività in costante crescita e un popolo molto ma molto più felice di prima, piuttosto che avere l’inflazione al 3% come in Italia, dove c’è depressione, avvilimento e l’esistenza delle persone non conta più nulla”, le famose parole pronunciate solo qualche anno fa da Cristina Kirchner, parole frutto di mirabili riforme in ambito sociale, ecco le più importanti:

a) moratoria tributaria e riduzione delle tasse sui prodotti agricoli, legalizzazione entro i parametri di legge dei lavoratori in nero, detassazione dei capitali in entrata dall’estero;

b) piano di sviluppo delle infrastrutture legate alle imprese per 21 miliardi di dollari;

c) assegno familiare, medaglia FAO per la lotta contro la fame).

Il 92,4% dei creditori sottoscrisse l’accordo con il governo di Buenos Aires. Tranne alcuni fondi statunitensi: l’Aurelius Capital Management, il Blue Angel e l’NML Capital controllato dal famelico hedge fund Elliott Management Corporation, creatura del noto miliardario, nonché speculatore, statunitense Paul Singer. Sono noti come “fondi avvoltoi”, non a caso.
 Nel 2008 comprarono i bond argentini a prezzi irrisori per 1,3 mld di dollari da investitori che volevano disfarsene ad ogni costo. Operazione speculativa? Evidentemente no. Gli scopi dovevano essere ben altri.

Nel 2012 il giudice federale di New York, Thomas Griesa, diede ragione a questi fondi ed ingiunse il governo argentino di ripagare i bond al loro valore nominale.
Il 26 giugno 2014 la Corte Suprema degli USA convalidò la sentenza, definita da Martin Wolf, commentatore di punta del Financial Times “estorsione sponsorizzata dalla giustizia Usa”.
Il che significa che se ottenessero il pagamento di 1,3 mld di dollari più 200 mln di dollari di interessi, in sei anni avrebbero un profitto pari al 1680%!!
E allora ecco che i media mondiali annunciarono l’imminente default argentino! Bancarotta ancora una volta.

Questa volta però nessun moto di piazza, nessuna ira popolare (nonostante indicatori economici al momento in ribasso) l’Argentina si unì orgogliosamente contro la prepotenza USA che vuole sottometterne la sovranità economica (dal 2005 l’Argentina ha sempre rispettato i termini di pagamento del suo debito).

Due giorni dopo, il 28 giugno, Buenos Aires depositò presso la Bank of New York-Mellon ben $593 mln a pagamento dei possessori di bond che a suo tempo avevano sottoscritto l’accordo. L’intera cifra fu successivamente posta sotto sequestro del giudice Griesa per darla in pasto ai “fondi avvoltoi”.

Nello stesso periodo, veniva ospitata in America Latina una delegazione di personaggi di alto rango: i capi di stato dei paesi facenti parte dei BRICS (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa, coniato dalla Goldman Sachs nel 2001 per il loro avere niente in comune se non l’essere grossi ed in via di sviluppo), convenuti per il loro VI vertice del 15 luglio in quel di Fortaleza del Brasile. Il presidente cinese Xi Jinping, in visita a Buenos Aires, annunciava che la Banca Centrale Cinese aveva emesso uno swap monetario da $11 mld a favore dell’Argentina.

Il presidente russo Vladimir Putin, sia a Buenos Aires che nel vertice BRICS di Fortaleza, aveva dichiarato che occorreva una nuova architettura economica e finanziaria a livello globale.

La presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner chiedeva anch’ella la creazione di un nuovo ordine finanziario globale che permetta uno sviluppo economico sostenibile.

Dunque, sembra che la partita sui bond argentini entrasse nel più ampio e più turbolento scenario geopolitico delle istituzioni finanziarie internazionali.

Infatti, a settant’anni dagli accordi del luglio 1944 a Bretton Woods che crearono la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario, i BRICS hanno lanciato le loro due istituzioni finanziarie: la New Development Bank per finanziare infrastrutture e progetti di sviluppo sostenibile e la Contingent Reserve Arrangement per soccorrere i paesi membri in difficoltà finanziarie.
Ragion per cui, l’Argentina non è in default.
Ma i “fondi avvoltoi” restano tali.

Le nuove istituzioni dei BRICS sono attese al varco della competizione globale, con tutti i rischi del caso, visti i nemici che si ritrovano.
 Adesso facciamoci una domanda, perché i canali internazionali (sempre solerti a sottolineare subdolamente l’inflazione alle stelle e il rischio di un secondo default) hanno sospeso le trasmissioni in diretta ed hanno fermato la traduzione del discorso della Kirchner in un’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York?
La risposta è semplice, Cristina Fernandez de Kirchner ha oltrepassato la linea rossa degli USA e dei loro alleati! I punti principali del discorso della signora Kirchner, postato sui social network:
“Da presidente dell’Argentina, essere attaccata dalle lobby criminali finanziarie legate ai ‘fondi avvoltoio’ è per me solo un onore”.

«L’Argentina è un paese che è disposto a pagare e ha la capacità di pagare. E pagherà il suo debito, nonostante la “molestia” dei fondi avvoltoio. Gli Stati Uniti vogliono sgretolare la ristrutturazione del nostro debito, vogliono un ritorno al passato, quando l’Argentina era in ginocchio e supplicava prestiti a tassi esorbitanti. E se per fare ciò devono passare sopra la sovranità e le norme di diritto internazionale, loro non hanno alcun problema: distruggono tutto come fanno ovunque nel mondo».
«Ci siamo riuniti qui circa un anno fa, quando veniva qualificato come terrorista il regime del presidente Bashar al-Assad in Siria e voi tutti (rivolta ai rappresentanti dei paesi occidentali) appoggiavate le forze ribelli in Siria, quelle che voi stessi qualificavate come “rivoluzionari” per la democrazia. Oggi ci riuniamo per sradicare questi rivoluzionari che si sono rivelati essere dei terroristi. Noi ci siamo riuniti oggi per adottare una risoluzione internazionale che incrimini e combatta l’ISIS, mentre sappiamo che questa organizzazione ha ottenuto l’appoggio di paesi ben conosciuti e che sono gli attuali alleati di alcuni dei grandi stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Cosa direte adesso dei combattenti della libertà contro il Governo legittimo della Siria che ora sterminano persone, compiono crimini indicibili ed atti terroristici? Cosa direte di coloro che oggi compongono l’ISIS che erano i Freedom Fighters (combattenti per la libertà) nella guerra contro Assad in Siria? Questo è un problema: le grandi potenze cambiano troppo facilmente il concetto di amico e nemico, terroristi e non terroristi, e dobbiamo chiarire che non possiamo continuare a usare le posizioni politiche o geopolitiche internazionali per risolvere questioni di potere. Fino a quando ciò accadrà, che il valore del voto dei cinque membri permanenti è più forte rispetto ad altri membri delle Nazioni Unite, non si risolverà niente e ogni anno faremo gli stessi discorsi».

“In passato avete inserito Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroriste, mentre si tratta di un grande partito riconosciuto in Libano!”.

“Voi avete accusato l’Iran di essere dietro l’esplosione che aveva come obiettivo l’ambasciata israeliana a Buenos Aires nel 1994, quando le indagini argentine non sono riuscite a dimostrare il coinvolgimento dell’Iran” (Chissà come mai proprio negli ultimi mesi le indagini hanno subito un’impennata improvvisa… Il procuratore federale Alberto Nisman ha accusato il coinvolgimento del governo argentino, contestandogli di aver aiutato l’Iran in cambio di favori economici, specie in ambito petrolifero. Il presidente bolivariano Ugo Morales lo ha definito un “colpo di stato giudiziario” atto a far cadere la Kirchner, in Sudamerica abbiamo decine di esempi identici e sappiamo bene chi pilota certe manovre. Per accelerare questo golpe ci si è inventato il colpo a sorpresa: nel gennaio 2015 il procuratore Nisman è stato ritrovato morto – lo hanno suicidato? – ed ovviamente il passo successivo è stato l’incriminazione della Presidenta per aver ostacolato la giustizia. Dovrebbe far riflettere come il primo giornalista a scrivere delle presunte responsabilità della Kirchner, Damian Pachter, sia riparato in Israele dicendo di sentirsi minacciato in Argentina. I rapporti fra la Casa Rosada e i “vecchi padroni” sono ai minimi termini, la Kirchner ha imposto che nessun esponente governativo presenziasse alla marcia di Parigi dopo gli attentati di gennaio, sta per nascere una nuova agenzia di intelligence, la AFI, in difesa del popolo, delle istituzioni nazionali argentine e slegata dai vincoli che il vecchio SIDE aveva con CIA e Mossad e solo qualche giorno fa il ministro degli esteri Timerman, ebreo, ha inviato un comunicato ufficiale al suo pari israeliano nel quale pretende che lo stato ebraico si astenga dall’uso del territorio argentino come “teatro delle sue operazioni di interesse geopolitico. Israele si deve limitare, sul suolo argentino, a rispettare le norme e i comportamenti previsti dalle leggi locali e nazionali”).

“Voi avete adottato una risoluzione contro Al Qaeda dopo gli attacchi dell’11 settembre. Paesi come l’Iraq e l’Afghanistan sono stati profanati e i loro abitanti uccisi, mentre, entrambi i paesi, stanno ancora soffrendo il terrorismo!”.

“Avete dimostrato dopo la guerra israeliana contro Gaza, che Israele ha commesso un disastro orribile e causato la morte di molti civili palestinesi, ma la vostra attenzione è diretta a quanti razzi hanno colpito Israele che non hanno provocato né danni né vittime!”.
“I terroristi non sono soltanto quelli che piazzano bombe, ma esistono anche terroristi economici che sconvolgono l’economia dei paesi, causando fame, miseria e povertà. Il mio paese non vende o produce armi, ma noi siamo un paese che produce energia, che ha il petrolio. Dovete capire e riconoscere quali sono gli elementi più idonei per combattere il terrorismo” (riferendosi ai finanziamenti ricevuti dall’ISIS).


“Per favore, se mi succede qualcosa, e lo dico veramente sul serio, che nessuno guardi al Medio Oriente. Guardate a Nord per favore. Non vengano da noi a creare la storiella dell’ISIS che cerca di uccidermi”.

lunedì 2 marzo 2015

E' IL MOMENTO DI SCHIERARSI!



Sabato 14 marzo, saremo in piazza per dire basta al governo Renzi e all'Amministrazione Rossi, per un'altra Italia e un'altra Toscana.

Sta nascendo un fronte identitario e sovranista, attento alle esigenze sociali del Popolo e voglioso di riprendere in mano le redini di una Nazione. E' il momento di schierarsi.

SABATO 14 MARZO
PRESIDIO TRICOLORE
PIAZZA SANTA CROCE IN FOSSABANDA ORE 18
PISA
interventi, manifestazione, proposte