mercoledì 18 marzo 2015

Conciliazione nazionale: una speranza lontana...


di Carlo Cesare Montani (da EreticaMente.net)


Il caso del Cap. Paride Mori ucciso quattro volte
Sono trascorsi 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ma in Italia i tempi di una conclamata riconciliazione sono stati ulteriormente rinviati alle calende greche, sull’altare di un’intolleranza anacronistica e talvolta faziosa. Viene da chiedersi quali siano le motivazioni di questo  triste primato che appartiene al bel Paese, mentre in altri casi l’eclisse della ragione è stata superata da tempo.
L’ultimo esempio della pervicace volontà di perseverare nelle divisioni, in primo luogo etico – politiche, proviene dall’applicazione della Legge 30 marzo 2004 n. 92, che era stata approvata con voto quasi unanime, in un commendevole spirito conciliativo, per istituire il “Giorno del Ricordo” del grande Esodo giuliano, istriano e dalmata, e dei Martiri delle Foibe od altrimenti massacrati dai partigiani comunisti di Tito: secondo le stime più autorevoli, tra cui quella di Luigi Papo, almeno 16 mila Vittime, la cui esatta quantificazione è peraltro impossibile, anche per la permanente carenza collaborativa, dapprima jugoslava, e poi slovena e croata.
A dieci anni dall’entrata in vigore di quella Legge, che prevede, fra l’altro, il riconoscimento di una Medaglia in onore dei Caduti, si dà il caso che, dopo oltre mille conferimenti, qualcuno abbia sollevato dubbi sulla concessione della Medaglia stessa in memoria del Cap. Paride Mori, un  Bersagliere Volontario dell’Ottavo Reggimento “Manara”: quel che è peggio, chiedendo  la revoca del provvedimento, con un atto in cui non sarebbe difficile ravvisare gli estremi dell’eccesso di potere e della violazione di legge.
Giova precisare che le condizioni richieste dal legislatore per concedere la Medaglia ed il relativo Attestato stabiliscono che i fatti si debbano essere verificati nelle zone del confine orientale tra l’otto settembre 1943 e il dieci febbraio 1947 (con qualche eccezione); e che il Caduto non sia morto nel corso di un combattimento, ma a seguito di violenze imputabili all’invasore ed occupatore slavo (infoibamenti, fucilazioni, annegamenti, lapidazioni, torture). La Legge n. 92, più specificamente, non ha fatto discriminazioni fra civili e militari, né tanto meno fra le appartenenze alle varie Armi (Esercito, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, e via dicendo).Mori a Tolmino225
Eppure, si è dato il caso che la Medaglia in “metallo vile” (ma importante simbolo della Repubblica Italiana che ricorda) conferita a Paride Mori, massacrato dai partigiani nell’Alta Valle dell’Isonzo (18 febbraio 1944) mentre si recava a rapporto nel “sidecar” condotto dal suo motociclista, anch’egli Caduto nell’imboscata e Vittima di analoghe sevizie persino sui cadaveri, sia stata posta in discussione, con relativa richiesta di revoca.  
Paride Mori aveva espresso, assieme a tanti suoi Bersaglieri dell’Ottavo Reggimento, l’impegno di un nobile Volontariato accorrendo, in condizioni a dir poco impari, all’ultima difesa della Venezia Giulia, mentre altri gettavano le armi e si davano alla macchia; originario della provincia di Parma, dove certi nervi sono ancora scoperti, senza dire che la città emiliana, unica in Italia, conserva tuttora due luoghi pubblici intitolati al Maresciallo Tito, pur considerato “infoibatore ed assassino” anche in una vecchia sentenza della Giustizia italiana che assolse con formula piena il giornalista Silvano Drago, Direttore di “Difesa Adriatica”, dall’accusa di vilipendio.
A sostegno della richiesta di revoca non si è guardato per il sottile, affermando il falso: non è vero che Mori fosse alle dipendenze della Wehrmacht, e non è vero che la Medaglia non fosse dovuta perché le spoglie mortali del Caduto non furono infoibate (caso mai, tale informazione dimostra l’ignoranza forse voluta della Legge n. 92, estesa – come detto – a tutte le Vittime dei partigiani di Tito, a prescindere dal tipo di supplizio).
Ed allora, è mai possibile che a Paride Mori si voglia revocare una semplice concessione “senza assegno” voluta dal legislatore italiano con  encomiabile voto plebiscitario davvero “bipartisan”? Non sarebbe, a ben vedere, una sorta di surreale perversione ideologica?
 La verità è che il potere esecutivo della nuova Italia, sempre più decisa a “fare” ma evidentemente anche a “disfare”, sta perdendo una buona occasione per non cedere alle suggestioni di una piazza, come quella emiliana, dove taluni paralogismi sono duri a morire, anche a  70 anni dai fatti. La revoca di un conferimento secondo legge potrebbe essere statuita per decreto soltanto se ricorressero esigenze di necessità ed urgenza, nella fattispecie inesistenti; quindi, l’atto sarebbe pesantemente viziato sul piano della legittimità, tanto più che la decisione di concedere la Medaglia a Paride Mori era stata assunta, previa istruttoria, a cura dell’apposita attenta Commissione istituita proprio alla Presidenza del Consiglio, nell’ambito dei poteri decisionali regolarmente esercitati per dieci anni (la sola eccezione mai formulata è stata quella relativa allo stesso Mori).
L’Istituto per la Storia della Resistenza, con tutto il rispetto, non può delegittimare il potere conferito alla Commissione, ed annullare i poteri del Governo. Soprattutto, non deve offendere la memoria dei Bersaglieri del “Grande Ottavo” e la nobile purezza di un sacrificio esaltato da una celebre affermazione: “Non vogliamo il cambio” !
Tornando al caso di Paride Mori per quanto concerne il merito, vale la pena di sottolineare che, suo malgrado, è come se fosse stato ucciso una quarta volta: dopo il delitto compiuto dai partigiani, è stato Vittima degli italiani quando la sua Medaglia d’Argento al Valore non venne riconosciuta perché conferita dalle Forze Armate della RSI; quando il Comune nativo di Traversetolo (Parma) gli ha negato una semplice citazione nella toponomastica cittadina, ed ora, addirittura, con la pretesa un atto governativo imposto dall’esterno.
Le conclusioni sono improntate ad una grande amarezza: a parte il caso personale di Mori, la conciliazione nazionale costituisce una meta lontana, alle soglie dell’utopia.
Soli motivi di conforto (assieme alla cittadinanza onoraria di Trieste recentemente conferita al “Grande Ottavo” nel corso di una toccante cerimonia) sono i valori espressi dalla Bandiera tricolore alla cui ombra il Cap. Mori ed i suoi invitti Bersaglieri riposano nel Sacrario Militare di Bari, ricordando a tutti un messaggio di fede e suscita motivi di rinnovate speranze in ogni cuore limpido.

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