mercoledì 1 luglio 2015

Beppe Niccolai e la critica del progresso che cancella la comunità...


di Giovanni Fonghini (Barbadillo.it)

"….E poi la “cultura” del progresso illimitato, travolgente, senza legami, senza tradizioni, senza i ricordi. Che vale oggi la storia di un borgo medievale, nel rispetto di chi ci ha vissuto, parlato, camminato, prodotto cultura e fiabe per bambini? Che vale conservare un paesaggio, un fiume, un ruscello? Anche quelli sono valori della tradizione. L’uomo non è fatto solo per produrre e consumare; l’uomo è anche pianta, albero-figlio della terra, della sua terra. La città a misura d’uomo. L’uomo, il rispetto della sua complessa unicità.
A chi abita nelle “batterie” degli uomini da lavoro resta, oggi, una sola via da percorrere per conservare la stima di sé: non rimuovere dalla coscienza la vita di chi ci è accanto, di chi ci è compagno di sventura; non dimenticarlo non chiudersi nel più completo isolamento. Si abita sullo stesso pianerottolo e non ci si conosce. E si fa di tutto per evitare di conoscersi. Si chiudono con i tramezzi i balconi.
Perché? Per la paura di vedere riflessa nel vicino la propria immagine disperata, di uomini da lavoro in “batteria”. E i figli? Scendono dalle nuove zone di frontiera, le bande. Che possono fare se sono cresciuti in questa “cultura” che ha ucciso, con la memoria storica, città e territorio? Vandalismi? E come possono avere rispetto se ciò che vedono (e in cui vivono) è triste e brutto? Centinaia di migliaia di abitazioni che si distinguono solo per i numeri civici. Quei quartieri: disegnati da quale “cultura”? Da quali “architetti”? I ragazzi, oggi abituati ad essere consumatori, sfiorano l’angoscia, la noia per sazietà di stimoli. Via la Patria, via la religione, via le ideologie, via ogni fede. Via ogni autorità, tutto è permesso. Viva la città senza bandiere, senza altari, senza idee, senza politica vera. Si scatenano i demoni. Questa è la cultura fondante sorta per edificare la città senza Dio. La città senza inibizioni, la città dove si può tutto. Ed ecco l’infelicità, la noia, il collasso totale. Come si esce da questa crisi metapolitica, da questa crisi di religione? Occorre ritrovarsi, tornare a stare insieme. Tornare ad un modo di vivere che dia senso alla vita.
Superare la vacanza della Storia che ci ha portato alla perdita di identità. Tornare Comunità. Tornare “memoria”.
Alcuni giorni fa un amico su Facebook mi proponeva questo brano tratto da un discorso del 1985 di Beppe Niccolai, politico e parlamentare missino. Con questo amico ho spesso grande sintonia di vedute, a dispetto dei nostri diversi, per non dire opposti, percorsi politici di gioventù. Beppe Niccolai fu un grande uomo politico, che della storia e della tradizione italiana seppe fare seme fertile per elaborare analisi politiche estremamente lucide e, con il senno di poi, molto avanti rispetto ai suoi tempi. Era un uomo libero, non aveva paura a schierarsi fuori dal coro e dai luoghi comuni di cui era intrisa la politica di allora. Seppe guadagnarsi il rispetto di chi era su posizioni diverse dalle sue, come Leonardo Sciascia che in un’intervista della tv francese ebbe parole di apprezzamento per la sua relazione di minoranza quale componente della commissione parlamentare antimafia. Il brano di cui sopra è di 30 anni fa circa, ma se lo leggiamo alla luce degli accadimenti attuali è evidente quanto le sue parole risultino addirittura profetiche. Viene tratteggiato un mondo, un ambiente, un territorio devastati – penso in modo particolare a quando scrive “Che vale conservare un paesaggio, un fiume, un ruscello?” – e un individuo alienato perché deprivato della sua identità e della sua essenza umana. Mi si perdoni l’accostamento ma a me viene da pensare al tema dell’ecologia. Si potrebbe dire che l’ecologia, intesa nel senso di uno sfruttamento più equo ed equilibrato delle risorse naturali, debba fare rima con la giustizia sociale. Lo sfruttamento rapace e indiscriminato, nel nome del business elevato a nuovo idolo dei giorni nostri, delle risorse della terra si lega in maniera indissolubile alle ingiustizie sociali sempre più macroscopiche. Quando ero bambino alcuni di quelle ingiustizie avrebbero detto che gridavano vendetta al cospetto di Dio. Ma se si parla di ecologia non posso non pensare ad un altro grande maestro di pensiero e di azione, Rutilio Sermonti, scomparso pochi giorni fa. Si è giustamente scritto molto di lui; senza fare torto alle molte cose eccellenti che ho letto il mio spirito romantico mi ha portato a scegliere questo ritratto .

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