sabato 31 ottobre 2015

STOP GENDER!




Nella notte fra giovedì e venerdì, i militanti di Ronin Scuole, movimento studentesco di Ronin Pisa hanno affisso, su cancelli e portoni di alcune scuole elementari e medie di Pisa, volantini di protesta contro la cosiddetta “Teoria Gender”.
La Riforma voluta dal governo Renzi, nonostante le raccomandazioni e le minacce del Ministro Giannini, apre la strada alla diffusione nelle scuole della teoria gender. Quest’ultima, ormai affermata in molti paesi occidentali, è un’ideologia che fonda la propria essenza sulla convinzione che non esistano uomini e donne, ma comportamenti sociali in grado di stabilire – a piacimento – l’identità sessuale della persona.
Questo attacco alla sessualità e ai suoi generi – maschile e femminile – è una manipolazione dell’essere umano e della sua natura, una mutazione antropologica che viene promossa dalle grandi lobby con un bombardamento mediatico e culturale. Negli ultimi anni abbiamo assistito al tentativo, già in atto, di far scomparire i termini “madre” e “padre” dall’utilizzo quotidiano per convertirli nei più anonimi e politicamente corretti “genitore 1” e “genitore 2”: sono stati proprio alcuni istituti a cancellare queste parole dalla propria modulistica e dai libretti delle giustificazioni o a diffondere nelle scuole elementari le fiabe gay.
Lo scopo ultimo di questo folle progetto è la creazione di un uomo senza identità, amorfo e resettato, manipolabile e fluido, una pedina di quell’omologazione assoluta fondata sul pensiero unico e allineato. È un attacco al cuore della nostra civiltà e del suo pilastro storico: quella famiglia che rappresenta la prima cellula comunitaria della società”.
“Il comma 16 del testo della “Buona scuola” in nome della lotta alla discriminazione, rimanda alla legge 119 del 2013 che, a sua volta, fa riferimento alla Convenzione di Istanbul e al decreto legge n.93. Il testo non si riferisce alla nozione classica di “sesso biologico”, ma al concetto di “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti” e di “superamento degli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne o uomini mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”, oltre all’assoluta necessità di “promuovere una adeguata formazione non solo alle superiori, ma fin “dalla scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”.
Ribellarsi a questa follia è un dovere etico.

venerdì 23 ottobre 2015

Sindacalismo e Rivoluzione: in memoria di Filippo Corridoni...






di Mario M. Merlino

 Il 23 ottobre del 1915 si va all’assalto del monte San Michele, dove gli austro-ungarici hanno approntato temibili difese, scavando la roccia per i cannoni e le mitragliatrici, srotolando il filo spinato. L’Alto Comando italiano, come del resto quello di tutti gli altri Paesi in guerra, è ancorato alle strategie risalenti a Napoleone e di tutto l’Ottocento, ammassare cioè truppe e aprirsi un varco tra le linee avversarie… con soddisfazione estrema delle raffiche della mitragliatrice, simile al gioco di buttar giù il più gran numero di birilli, dei cavalli di Frisia su cui stendere, panni stesi ad asciugare, il grigioverde dei fanti. Una carneficina di corpi straziati di membra e di sangue sparsi, irriconoscibili.
   Trincea delle Frasche, 32° reggimento, brigata Siena. Cade – e il suo corpo non sarà identificato -, volontario, Filippo Corridoni, già interventista, già figura ardita e nota del sindacalismo rivoluzionario, classe 1887 (era nato il 19 agosto a Pausula, in provincia di Macerata, che da lui prenderà nome di Corridonia. Nel 1905 si era trasferito a Milano per essere in prima fila nelle lotte operaie, malato di tubercolosi, esistenza grama e ardente, gli stenti, la prigione). L’Arcangelo, come sarà ricordato. Da una delle sue ultime lettere: ‘Io rimarrò sempre il Don Chisciotte del sovversivismo; ma un Hidalgo senza ingegno pieno soltanto di fede. Morirò in una buca, contro una roccia o nella corsa di un assalto ma se potrò cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora’…
   Nei mesi antecedenti l’entrata in guerra dell’Italia, della neutralità, egli si trova nel carcere di San Vittore a scontare la pena per l’ennesima manifestazione antimilitarista. Alceste De Ambris, a lui fedelissimo, viene incaricato dagli altri suoi compagni di lotta sindacale di recarsi in carcere e di comunicargli come abbiano intenzione di scendere in campo, nelle strade e nelle piazze, a fianco del composito fronte interventista per portare la loro voce a favore della Grande Guerra, intesa quale lavacro purificatore per realizzare la dignità e la giustizia del lavoro, rendere il proletariato parte integrante della Nazione. Egli è titubante. Cosà dirà il compagno e l’amico, che si trova ristretto proprio per aver combattuto ogni uniforme con cui lo Stato e il suo apparato repressivo si reggono con le armi? Corridoni gli si fa incontro, sorride, lo abbraccia – ‘so tutto, sono con voi, appena fuori dal carcere, daremo battaglia…’.
   Questo entusiasmo è il medesimo che ha segnato tutto il breve percorso, intenso, della sua esistenza: egli vede il lavoratore e il soldato frutto della medesima battaglia (si respira l’atmosfera nuova del nuovo secolo come farà Ernst Juenger con il breve scritto La mobilitazione totale e, successivamente, con il ponderoso L‘operaio) perché ‘la realtà tragica ed impreveduta ha spazzato via i rosei sogni e le splendide illusioni, ed ha imposto a tutti un più accurato e profondo esame di coscienza… Pane, sì, ma anche idee, anche educazione. Bisogni fisiologici, sì, ma anche spirituali, culturali. Il proletariato non è classe finchè non ha una coscienza di classe; e questa non si acquista finchè l’organizzazione non si allargherà ad altre battaglie oltre quella del salario e dell’orario. Si mangia per vivere e non si vive per mangiare. E noi vogliamo, dall’alto di questa libera tribuna, illuminare le nuove vie della marcia proletaria’.
   Proprio nell’ultima sua detenzione, aprile 1915, Corridoni scrive Sindacalismo e Rivoluzione, che sarà edito solo nel 1921, che può ben considerarsi testamento spirituale e politico – solo sei mesi lo separano dalle trincee sotto monte San Michele. Una lucida sintetica analisi, un ragionamento robusto, una visione ampia e articolata del problema rivoluzionario alla vigilia del conflitto. Certo non si può pretendere ad un giovane degli anni ’10 di travalicare l’orizzonte del proprio tempo (solo visionari, folli e disperati, quali Nietzsche lo hanno saputo voluto fare e pagato di persona), soprattutto con lo scenario tragico e dirompente, il rovinio tellurico dell’Europa, quale confine. E’, altresì, vero che egli comprese che era tempo di saldare le masse con la nazione e renderle un popolo, di superare la condizione di un’Italia debole nella sua borghesia, vile e taccagna, incapace di pensare ‘in grande’… Quell’Italia ‘proletaria e fascista’ di cui l’amico Mussolini si fece interprete, pur con tanti tentennamenti e troppi compromessi.
   Ben altro e di più sarebbe e si dovrebbe scrivere, ma questo è un breve sincero, poco articolato e forse con qualche incertezza, verso Filippo Corridoni a cento anni dalla sua morte, di un uomo che seppe scrivere alla donna cara: ‘Ho amato le mie idee più di una madre, più di qualsiasi amante cara, più della vita. Le ho servite sempre ardentemente, devotamente, poveramente. Chè anche la povertà ho amato, come San Francesco d’Assisi e frà Jacopone, convinto che il disprezzo delle ricchezze sia il migliore ed il più temprato degli usberghi per un rivoluzionario’ (dal Campo, 12 settembre 1915).
   Una lezione di vita, uno stile che vale la pena tenere a mente, soprattutto oggi in tempi mali, di abbandono e disincanto. Dirigendosi verso le postazioni austriache di monte San Michele, se si abbandona il percorso asfaltato e ci si inoltra per un viottolo fangoso, superato il cippo, di modesta fattura, della divisione Sassari, e ,proseguendo per una ripida tutta sassi, si arriva alla stele dedicata a Corridoni, eretta nel 1923, alta oltre i venti metri con fregi raffiguranti la mano destra aperta in segno di saluto, l’aquila che si volge ad est, il fascio littorio e i simboli del lavoro quali la ruota e l’aratro. Alla base la scritta incisa nella pietra: ‘Qui eroico combattente cadde Filippo Corridoni fecondando col sacrificio della vita la gloria della patria e l’avvenire del lavoro’. (Ho trovato di grande onestà intellettuale e di rigoroso rispetto questo epitaffio che non cerca di tirare perla giacchetta un morto e arruolarlo d’ufficio).
    Infine, rievocandone la figura l’apostolato la morte, avvenuta due anni prima, Benito Mussolini scriveva, fra l’altro, su Il Popolo d’Italia ‘Egli era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, combattendo e prodigandosi, senza chiedere nulla’. Chi non vorrebbe ascoltare un simile richiamo rivolto a se stesso? Gli dei nascono e muoiono per risorgere, così la pensava Drieu la Rochelle, concludendo il suo romanzo Gilles. E, se ciò vale per il divino, perché non dovrebbe valere per le sue manifestazioni, quali gli arcangeli, l’Arcangelo della trincea delle Frasche?

mercoledì 14 ottobre 2015

Ius Soli passa alla camera: vergogna nazionale!

da Azione Tradizionale

E’ ufficialmente cominciata la nuova ondata di attacchi a tutto ciò che è Identità. Il “passo in avanti” che ci chiedeva tutto l’Occidente è arrivato, con l’approvazione della Camera alla legge sulla cittadinanza, che introduce lo Ius Soli al posto dello Ius Sanguinis.
E oggi in parlamento si discute delle unioni civili…
(www.repubblica.it)- Sì dell’Aula della Camera alla nuova legge sulla cittadinanza. Il testo, approvato con 310 sì, 66 no e 83 astenuti, passa al Senato. I deputati della Lega hanno urlato “Vergogna!”. Quelli del Pd hanno applaudito. Al voto finale si sono astenuti i deputati M5S, mentre contro il testo hanno votato quelli di Lega, Fdi e Fi. Forza Italia non ha votato compatto. 
Addio quindi allo ius sanguinis, via libera allo ius soli temperato e allo ius culturae: sono queste le nuove fattispecie per l’acquisto della cittadinanza italiana da parte dei minori stranieri, introdotti dalla proposta di legge approvata oggi dalla Camera.
Ius soli temperato. Acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Per ottenere la cittadinanza c’è bisogno di una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età. Se il genitore non ha reso tale dichiarazione, l’interessato può fare richiesta di acquisto della cittadinanza entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Quanto allo ius soli previsto dalle norme attuali, relative allo straniero nato e residente in italia legalmente senza interruzioni fino a 18 anni, il termine per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza viene aumentato da uno a due anni dal raggiungimento della maggiore età.
Niente ius soli per i cittadini europei. La nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza per nascita non sarà applicabile ai cittadini europei, in quanto possono essere titolari di permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo solo i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea.
Dubbi sul permesso di soggiorno Ue. Tale permesso è rilasciato allo straniero cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea in possesso da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità; reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; disponibilità di alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. Non hanno diritto al permesso gli stranieri che: soggiornano per motivi di studio o formazione professionale; soggiornano a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari; hanno chiesto la protezione internazionale e sono in attesa di una decisione definitiva circa tale richiesta; sono titolari di un permesso di soggiorno di breve durata; godono di uno status giuridico particolare previsto dalle convenzioni internazionali sulle relazioni diplomatiche.
Ius culturae. Può ottenere la cittadinanza il minore straniero, che sia nato in Italia o sia entrato nel nostro Paese entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è necessaria la conclusione positiva di tale corso. La richiesta va fatta dal genitore, cui è richiesta la residenza legale, oppure dall’interessato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
Norma transitoria. Le nuove norme si applicheranno anche ai 127mila stranieri in possesso dei nuovi requisiti ma che abbiano superato, al momento di approvazione della legge, il limite di età dei 20 anni per farne richiesta. Il ministero dell’Interno avrà sei mesi di tempo per rilasciare il nulla osta.

lunedì 5 ottobre 2015

35 anni fa l’addio a Nanni De Angelis: per lui giustizia non è mai stata fatta...


di Antonio Panullo (Secolo d'Italia)

Sono passati 35 anni dalla morte di Nanni De Angelis, uno dei leader di Terza Posizione, movimento politico attivo a Roma e in Italia nella seconda metà degli anni Settanta. Nanni era molto noto a Roma, era apprezzato e benvoluto da tutti, anche da coloro che non ne condividevano le idee. La sua storia è troppo nota perché la si debba qui raccontare nuovamente per esteso, pertanto ci limiteremo a ricordare brevemente cosa accadde quei giorni, sottolineando che la sua morte in carcere colpì e segnò profondamente tutta una generazione di militanti che sino ad allora aveva dovuto sopportare ogni tipo di persecuzione, dal sistema e dall’estrema sinistra, per la quale uccidere un fascista non era reato. Nanni era nato il 31 luglio 1958 a Campotosto, in provincia dell’Aquila, di dove è originaria la sua famiglia. Dopo aver frequentato brevemente insieme con il fratello Marcello la sezione del Msi dei Parioli, in viale Rossini, i due preferirono prendere altre strade, formando in seguito Terza Posizione insieme con altri attivisti. Nanni era un vero artista, oltre che uno sportivo: per anni in piazzale delle Muse è rimasto ben visibile un mural da lui (e da altri) realizzato nel 1976 per ricordare i venti anni dell’invasione sovietica dell’Ungheria: vi si vede un ragazzo che lancia una molotov contro un carro armato comunista. Terza Posizione e i militanti del Fronte della Gioventù avevano un buon successo nel quartiere Trieste di Roma, dove De Angelis era responsabile di TP. Nanni e gli altri ragazzi del gruppo si alternarono con i ragazzi missini nelle veglie per Francesco Cecchin, un’altra giovanissima vittima di quegli anni, a piazza Vescovio. Le cose precipitarono il 23 settembre 1980, quando furono emessi centinaia di mandati di arresto in seguito alla strage di Bologna, molti dei quali mandati riguardavano attivisti di estrema destra tra cui anche Nanni e il fratello. Va ricordato e sottolineato che tutti ragazzi arrestati in quella circostanza risultarono naturalmente del tutto estranei ai fatti, ma molti di loro rimasero ingiustamente in carcere diversi mesi. Per Nanni, innocente, non ci fu altra scelta che la latitanza, ma il 3 ottobre fu arrestato in via Sistina a Roma insieme con Luigi Ciavardini. I due avevano appuntamento con qualcuno che avrebbe dovuto fornire loro documenti falsi. Ma gli inquirenti ascoltavano le telefonate. Nel corso della movimentata cattura, De Angelis è più volte colpito duramente con i calci delle pistole. Secondo i giornali, in seguito si apprese che in questura fu fatto passare tra due file di poliziotti e massacrato di botte, perché scambiato per errore per uno dei partecipanti al commando che aveva ucciso il poliziotto Evangelista davanti al Giulio Cesare.

Nanni De Angelis fu trovato morto il 5 ottobre pomeriggio

Il giorno successivo, il 5 ottobre, Nanni viene trovato morto in cella di isolamento a Rebibbia e le autorità forniscono immediatamente una versione di “suicidio”. La famiglia viene per ore tenuta all’oscuro della morte, appresa poi dal telegiornale. All’arrivo in questura De Angelis sta abbastanza bene, pur con una botta in testa, ma poi il giovane, aggravatosi, viene ricoverato al craniolesi del San Giovanni perché accusa forti dolori alla testa, colpita dal calcio della pistola di un poliziotto. Ma anziché rimanere nell’ospedale, poco dopo De Angelis viene trasferito a Rebibbia, dove neanche c’è il medico. Il trasferimento avviene in barella poiché il giovane non è in condizioni di camminare. Secondo la cronaca di allora del Tempo, il giovane aveva lo sguardo fisso nel vuoto e guardava il fotografo del quotidiano romano senza però vederlo, immerso in uno stato di stordimento. Alle 18 viene trovato morto, impiccato con una corda ricavata dai lenzuoli, senza che nessuno abbia visto o sentito niente. Il Msi senza mezzi termini in interrogazioni parlamentari (firmate da Almirante, Romualdi, Caradonna, Rauti, Miceli e Greggi) sostiene che il giovane sia stato colpito in questura e rianimato addirittura con l’intervento di un medico, e che la sua morte non sia dovuta a suicidio ma ad altre cause. Marchio nella sua interrogazione chiede poi se corrisponda al vero che i giovani appena arrivati in questura siano stati aggrediti da agenti perché qualcuno aveva detto che erano responsabili della morte di un loro collega. Michele Marchio in un’altra interrogazione – stavolta al Senato – sostiene anche che la Digos fece fotografare solo Ciavardini e non De Angelis dopo l’ingresso in questura e chiede chi abbia autorizzato il trasferimento di De Angelis dal San Giovanni al carcere. A questo si aggiunge la inspiegabile crudeltà nei confronti della famiglia, mai avvisata né dell’arresto e del trasferimento del giovane né della sua misteriosissima morte.

L’autopsia dimostrò che Nanni De Angelis fu duramente picchiato

Successivamente si apprende che il direttore del craniolesi Interligi aveva dato con riluttanza l’autorizzazione al trasferimento, purché fosse ospitato all’infermeria e subisse un controllo neurologico, e che a Rebibbia il giovane non fu accompagnato da alcuna cartella medica né altra documentazione sanitaria. Tutta la stampa nazionale, una volta tanto, espresse gli stessi dubbi del Msi, addirittura il quotidiano di Torino la Stampa si chiese come abbia potuto il giovane legare le lenzuola a un’inferriata… che non c’è. I giornali in particolare criticarono il fatto che la tv fu informata prima dei genitori del decesso e insistono sul pestaggio in questura e sul perché il giovane sia stato sbattuto in cella anziché ricoverato nell’infermeria del carcere. Si apprese in quei giorni dai giornali che De Angelis arrivò al San Giovanni già con una medicazione affrettata effettuata in questura, segno che, come sosteneva il senatore Marchio, De Angelis era già stato visitato da un medico il quale aveva il compito di “renderlo presentabile” dopo le percosse ricevute. Quello che sosteneva la famiglia e il Msi fu confermato dagli esiti dell’autopsia, che smentirono totalmente quanto dichiarato dai medici del carcere in un primo momento. L’8 ottobre Nanni viene sepolto a Poggio Cancelli, in provincia dell’Aquila, nella tomba di famiglia alla presenza dei familiari e dei suoi camerati. Ogni anno viene ricordato da chi gli voleva bene.