di Antonio Panullo (Secolo d'Italia)
Sono passati 35 anni dalla morte di Nanni De Angelis, uno dei leader di Terza Posizione, movimento politico attivo a Roma e in Italia nella seconda metà degli anni Settanta. Nanni era molto noto a Roma, era apprezzato e benvoluto da tutti, anche da coloro che non ne condividevano le idee. La sua storia è troppo nota perché la si debba qui raccontare nuovamente per esteso, pertanto ci limiteremo a ricordare brevemente cosa accadde quei giorni, sottolineando che la sua morte in carcere colpì e segnò profondamente tutta una generazione di militanti che sino ad allora aveva dovuto sopportare ogni tipo di persecuzione, dal sistema e dall’estrema sinistra, per la quale uccidere un fascista non era reato. Nanni era nato il 31 luglio 1958 a Campotosto, in provincia dell’Aquila, di dove è originaria la sua famiglia. Dopo aver frequentato brevemente insieme con il fratello Marcello la sezione del Msi dei Parioli, in viale Rossini, i due preferirono prendere altre strade, formando in seguito Terza Posizione insieme con altri attivisti. Nanni era un vero artista, oltre che uno sportivo: per anni in piazzale delle Muse è rimasto ben visibile un mural da lui (e da altri) realizzato nel 1976 per ricordare i venti anni dell’invasione sovietica dell’Ungheria: vi si vede un ragazzo che lancia una molotov contro un carro armato comunista. Terza Posizione e i militanti del Fronte della Gioventù avevano un buon successo nel quartiere Trieste di Roma, dove De Angelis era responsabile di TP. Nanni e gli altri ragazzi del gruppo si alternarono con i ragazzi missini nelle veglie per Francesco Cecchin, un’altra giovanissima vittima di quegli anni, a piazza Vescovio. Le cose precipitarono il 23 settembre 1980, quando furono emessi centinaia di mandati di arresto in seguito alla strage di Bologna, molti dei quali mandati riguardavano attivisti di estrema destra tra cui anche Nanni e il fratello. Va ricordato e sottolineato che tutti ragazzi arrestati in quella circostanza risultarono naturalmente del tutto estranei ai fatti, ma molti di loro rimasero ingiustamente in carcere diversi mesi. Per Nanni, innocente, non ci fu altra scelta che la latitanza, ma il 3 ottobre fu arrestato in via Sistina a Roma insieme con Luigi Ciavardini. I due avevano appuntamento con qualcuno che avrebbe dovuto fornire loro documenti falsi. Ma gli inquirenti ascoltavano le telefonate. Nel corso della movimentata cattura, De Angelis è più volte colpito duramente con i calci delle pistole. Secondo i giornali, in seguito si apprese che in questura fu fatto passare tra due file di poliziotti e massacrato di botte, perché scambiato per errore per uno dei partecipanti al commando che aveva ucciso il poliziotto Evangelista davanti al Giulio Cesare.
Nanni De Angelis fu trovato morto il 5 ottobre pomeriggio
Il giorno successivo, il 5 ottobre, Nanni viene trovato morto in cella di isolamento a Rebibbia e le autorità forniscono immediatamente una versione di “suicidio”. La famiglia viene per ore tenuta all’oscuro della morte, appresa poi dal telegiornale. All’arrivo in questura De Angelis sta abbastanza bene, pur con una botta in testa, ma poi il giovane, aggravatosi, viene ricoverato al craniolesi del San Giovanni perché accusa forti dolori alla testa, colpita dal calcio della pistola di un poliziotto. Ma anziché rimanere nell’ospedale, poco dopo De Angelis viene trasferito a Rebibbia, dove neanche c’è il medico. Il trasferimento avviene in barella poiché il giovane non è in condizioni di camminare. Secondo la cronaca di allora del Tempo, il giovane aveva lo sguardo fisso nel vuoto e guardava il fotografo del quotidiano romano senza però vederlo, immerso in uno stato di stordimento. Alle 18 viene trovato morto, impiccato con una corda ricavata dai lenzuoli, senza che nessuno abbia visto o sentito niente. Il Msi senza mezzi termini in interrogazioni parlamentari (firmate da Almirante, Romualdi, Caradonna, Rauti, Miceli e Greggi) sostiene che il giovane sia stato colpito in questura e rianimato addirittura con l’intervento di un medico, e che la sua morte non sia dovuta a suicidio ma ad altre cause. Marchio nella sua interrogazione chiede poi se corrisponda al vero che i giovani appena arrivati in questura siano stati aggrediti da agenti perché qualcuno aveva detto che erano responsabili della morte di un loro collega. Michele Marchio in un’altra interrogazione – stavolta al Senato – sostiene anche che la Digos fece fotografare solo Ciavardini e non De Angelis dopo l’ingresso in questura e chiede chi abbia autorizzato il trasferimento di De Angelis dal San Giovanni al carcere. A questo si aggiunge la inspiegabile crudeltà nei confronti della famiglia, mai avvisata né dell’arresto e del trasferimento del giovane né della sua misteriosissima morte.
L’autopsia dimostrò che Nanni De Angelis fu duramente picchiato
Successivamente si apprende che il direttore del craniolesi Interligi aveva dato con riluttanza l’autorizzazione al trasferimento, purché fosse ospitato all’infermeria e subisse un controllo neurologico, e che a Rebibbia il giovane non fu accompagnato da alcuna cartella medica né altra documentazione sanitaria. Tutta la stampa nazionale, una volta tanto, espresse gli stessi dubbi del Msi, addirittura il quotidiano di Torino la Stampa si chiese come abbia potuto il giovane legare le lenzuola a un’inferriata… che non c’è. I giornali in particolare criticarono il fatto che la tv fu informata prima dei genitori del decesso e insistono sul pestaggio in questura e sul perché il giovane sia stato sbattuto in cella anziché ricoverato nell’infermeria del carcere. Si apprese in quei giorni dai giornali che De Angelis arrivò al San Giovanni già con una medicazione affrettata effettuata in questura, segno che, come sosteneva il senatore Marchio, De Angelis era già stato visitato da un medico il quale aveva il compito di “renderlo presentabile” dopo le percosse ricevute. Quello che sosteneva la famiglia e il Msi fu confermato dagli esiti dell’autopsia, che smentirono totalmente quanto dichiarato dai medici del carcere in un primo momento. L’8 ottobre Nanni viene sepolto a Poggio Cancelli, in provincia dell’Aquila, nella tomba di famiglia alla presenza dei familiari e dei suoi camerati. Ogni anno viene ricordato da chi gli voleva bene.
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