mercoledì 11 giugno 2014

Indicazioni per una nuova cultura di Destra...


di Adriano Romualdi

Quali problemi si pongono a coloro che vogliono affrontare il problema della cultura di Destra? Innanzitutto, si rende necessaria una corretta impostazione del problema. E il primo contributo a questa impostazione è la definizione dei rapporti che corrono tra Destra e cultura. Bisogna mettere in chiaro che, per l’uomo di destra, i valori culturali non occupano quel rango eccelso cui li innalzano gli scrittori di formazione razionalistica. Per il vero uomo di destra, prima della cultura vengono i genuini valori dello spirito che trovano espressione nello stile di vita delle vere aristocrazie, nelle organizzazioni militari, nelle tradizioni religiose ancora vive e operanti. Prima sta un certo modo di essere, una certa tensione verso alcune realtà, poi l’eco di questa tensione sotto forma di filosofia, arte,letteratura.

In una civiltà tradizionale, in un mondo di destra, prima viene lo spirito vivente e poi la parola scritta. Solo la civilizzazione borghese, scaturita dallo scetticismo illuministico, poteva pensare di sostituire allo spirito eroico ed ascetico il mito della cultura, la dittatura dei philosophes. Il democratico ha il culto della problematica, della dialettica, della discussione e trasformerebbe volentieri la vita in un caffé o in un parlamento. Per l’uomo di destra, al contrario, la ricerca intellettuale e l’espressione artistica acquistano un senso soltanto come comunicazione con la sfera dell’essere, con un qualcosa che — comunque concepito — non appartiene più al regno della discussione ma a quello della verità. Il vero uomo di destra è istintivamente homo religiosusnon nel senso meramente fideistico-devozionale del termine, ma perché misura i suoi valori non col metro del progresso ma con quello della verità.
«Essere conservatori — ha scritto Moeller van den Bruck — non significa dipender dall’immediato passato, ma vivere dei valori eterni».
La cultura e l’arte di destra non possono pretendere di essere loro stesse il tempio, ma solo il vestibolo del tempio. La verità vivente è oltre. Di qui una certa diffidenza del genuino uomo di destra nei confronti della cultura moderna, un disprezzo impersonale per il volgo dei letterati, degli esteti, dei giornalisti. Si ricordino le parole di Nietzsche: «Una volta il pensiero era Dio, poi divenne uomo, ora si è fatto plebe. Ancora un secolo di lettori e lo spirito imputridirà, puzzerà».
Di qui l’ostilità del Fascismo e del Nazismo al tipo dell’intellettuale deraciné. In essa non c’è solo la rozza diffidenza dello squadrista e del lanzichinecco per le raffinatezze della cultura ma anche l’aspirazione ad una spiritualità fatta di eroismo, fedeltà, disciplina, sacrificio. José Antonio raccomandava ai suoi falangisti il «sentimento ascetico e militare della vita».

Fatta questa premessa, consideriamo più da vicino il compito di animare una cultura di destra. Il fine, lo abbiamo detto, è la costruzione di una visione del mondo che si ispiri a valori diversi da quelli oggi dominanti. Non teoria o filosofia, ma « visione del mondo ». Questo lascia un largo margine di libertà alle impostazioni particolari. Si può lavorare a creare una visione del mondo di destra sia da parte cattolica che da parte «neo-pagana», sia proiettando il mito novalisiano dell’Europa-Cristianità che sostenendo l’identità Europa-Arianità.

Un esempio modesto, ma interessante, di questa concordia discors ci è offerto dalle riviste giovanili del primo neofascismo. Cantieree Carattere da parte cattolica, Imperium eOrdine Nuovo da parte evoliana hanno contribuito non poco a un processo di revisione di certi miti borghesi e patriottardi caratteristici della vecchia Destra. Queste riviste, ed altre che non abbiamo nominato (Il Ghibellino, Barbarossa, Tradizione etc.) contribuirono — pur con dei grossi limiti — ad avviare un certo discorso. Esse dovettero tutto o quasi tutto a colui che si può ben definire il maestro della gioventù neofascista: Julius Evola.

Senza libri come "Gli uomini e le rovine" e "Cavalcare la Tigre" non sarebbe stato possibile mantenere libero a destra uno spazio culturale. Ma Evola è un grande isolato, e la sua opera giace ormai alle sue spalle. Occorrono nuove forze creatrici, o almeno un’opera di diffusione intelligente. Vanno coltivati i domimi particolari della storia, della filosofia, della saggistica. Va tentato qualcosa sul piano dell’arte. Non per nulla Evola ha paragonato la tradizione ad una vena che ha bisogno di innumerevoli capillari per portare il sangue in tutto il corpo.

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