di Renato de Robertis (barbadillo.it)
I romanzi della
fine di un’epoca sono l’esperienza letteraria più vera. Sono un bilancio
storico-artistico per mettere ordine alla nostra idea di letteratura.
E’ il momento di rileggere quelle opere che raccontano la fine di una
civiltà, per ricordarsi anche del ‘romanzo dei vinti’. Qui il problema
critico è interpretare diversamente i sentimenti dei vinti o la loro
vita divenuta letteratura. Per tutto ciò è tempo di ripartire dal
binomio arte/vita, per riposizionare la letteratura oltre la fiction
narrativa di moda.
Carlo Mazzantini
(1925/ 2006) dedica ai ragazzi della fine del fascismo il romanzo A
cercar la bella morte (1995). E non si tratta oggi di un argomento da
fascistume, in quanto, con le vicende dei giovani repubblichini di
Mazzantini, si insegue un’idea di arte letteraria; si alimenta il
bisogno di rileggere i romanzi di ambientazione storica;si rabbrividisce
ancora una volta per le fucilazioni pazzesche; e, nello stesso momento,
si riscopre il dolore per i corpi dei fascisti e dei comunisti
crivellati. In questo romanzo dimenticato – tutto “brutale poesia” come
scrisse Giordano Bruno Guerri – si esprime una vivente letteratura
storica, quasi segnata da cenni di scrittura espressionistica. Oggi
saremmo tentati di chiamarlaletteratura cannibale – e Aldo Nove non sarà
d’accordo. Ma nell’opera di Mazzantini, così vera, si respira l’odore
del sangue, “Era incredibile che quell’ammasso di carni sanguinolenti
avesse tanta forza per soffrire e urlare in quel modo. Erano riusciti a
legargli i tronconi delle gambe coi cinturioni e sull’asfalto c’erano
brandelli di tela bruciata e di carne.”(pag. 232)
Questo non è solo
il romanzo dei fascisti della guerra civile. Questo è il romanzo della
morte o di una specie di esistenzialismo non di sinistra. La morte come
avventura o come ‘presunzione ideologica’, “Siamo sempre quelli! i mai
morti! i sempre pronti!” (pag. 158) Ma, per questa idea, la retorica del
morire per la patria non prevale sempre. Nel romanzo la morte qualche
volta è anche un evento semplice, “…ti apposto dietro un albero e
tratratrà: steso… Uno di meno: fai una tacca sul calcio e te ne vai.
Tutto quello che ci spettava.”(pag. 166)
Sicuramente è una
morte che non fa paura ai ragazzi, alla gioventù illusa dalla dittatura e
dai miti romantici, ai ragazzi che non hanno più nulla e conoscono solo
il ‘tempo della fine’. Cioè la fine di un’epoca: la morte di
un’Italia..,“L’Italia?.. Sotto quei monti, il vento che infuriava fuori,
la catasta dei faciloni, l’odio, la disperazione, la sconfitta, quelle
nostre uniformi sdrucite, tutta quella miseria… L’Italia?” (pag. 125)
Professori, siate
coraggiosi! Leggete in classe tale romanzo! Sarebbe una scossa elettrica
nelle teste dei ragazzi dellagenerazione Facebook. Fatelo leggere per
dimostrare che i giovani, di ieri e di oggi, sono i veri ingannati dalla
storia. Come i giovani garibaldini che, nell’Ottocento, vanno a
braccetto con la morte, mentre gli anziani notabili già siedono in
Parlamento senza ricordarsi dei diritti dei giovani patrioti con le
‘camicie rosse’. Nel disordine della storia, tutti sono contro tutti. E
tutti sono sconfitti, “Ecco, tutti divenuti più piccoli, vulnerabili: un
senso di miseria, di essere più niente, alla mercé di ciò che succede,
senza poter più opporre un gesto, un parola un nulla.” (pag. 17)
I giovani
repubblichini de ‘la bella morte’ creano un racconto epico. Entrano
nella perenne sciagura della storia, con gli adulti che svendono e
distruggono un paese e con i giovani che invece si ammazzano nelle
strade. Perciò i giovani fascisti di questo romanzo pretendono l’ultima
parola. E non si battono contro gli americani, ma contro tutte le
autorità,“I grandi non esistono più!” proclamavano. “La disfatta li ha
aboliti. Siamo tutti eguali! Che non ci vengano a rompere i coglioni!”
(pag. 38)
Qualcuno ha detto
che i repubblichini sono come i rivoluzionari del ’68, questi ultimi
vittime dell’ideologia, della società bloccata e gerarchizzata. Vittime
che vivono con le loro parate o con i loro cortei. E tutti uniti,
purtroppo, da una triste illusione: la rivoluzione, “Questa è la
rivoluzione, volete capirlo? Le rivoluzioni non si fanno con i guanti
bianchi. No! Stavolta non si ripetono gli errori del ’21! Stavolta si fa
piazza pulita! Pietà l’è morta!” (pag. 129)
Le frasi del
romanzo di Mazzantini scattano come molle tese. Consegnano, al lettore,
una visione infiammata di quei ventenni del 1945, di quei ragazzi che
sbagliano e sono travolti dagli eventi della guerra civile. Con il
passare degli anni, tuttavia, l’opera si mostra artisticamente completa.
La mirata assenza di piani temporali narrativi; il realismo acuto; le
pagine che sembrano sussurrare: Stai attento, sta per accadere qualcosa
nella pagina seguente!Il che genera il bisogno di leggere subito un
romanzo storico con questi caratteri.
E per il dibattito
sul cosiddetto romanzo neo-storico contemporaneo, la rilettura critica
di ‘A cercar la bella morte’assume un preciso significato. Cioè, si
provi a riattualizzare questo passato italiano per collegarlo idealmente
alla sconfitta delle giovani generazioni, a tutte le generazioni che
perdono l’innocenza, “Già noi non eravamo più innocenti. No, certo non
lo eravamo più! Avevamo ucciso, violentato… Ma quanti lo erano allora?”
(pag. 313) Allora, con le naturali differenze tematiche e creative, è il
momento di auspicare opere narrative utili ad un riesame della
relazione passato/presente, perché no… ripartendo anche da un romanzo
sui fascisti degli anni settanta o sui miti tragici delle gioventù.
Ora, dopo anni
dalla sua pubblicazione, l’opera narrativa di Mazzantini indica una
‘rotta’ per uscire dal mare della letteratura di plastica; indica che è
possibile ritrovare il gusto della ricerca storica e le ragioni per
narrare, rimanendo distanti dalla dimensione letteraria odierna fatta di
entertainment diffuso.