mercoledì 21 maggio 2014

Colonia Italia...


Le principali aziende italiane stanno finendo sotto controllo estero

di Giuliano Augusto (Rinascita)

I recenti rialzi dei listini della Borsa italiana sono l'effetto del ruolo predominante esercitato dai fondi di investimento esteri, in particolare quelli americani e arabi che, grazie alle enormi risorse finanziarie a disposizione, possono ormai farla da padroni. Una colonizzazione strisciante della nostra economia che si sta attuando nella più totale indifferenza della classe politica italiana che appare in tutt'altre faccende affaccendata. Politici che, a differenza di quelli della Prima Repubblica, non riescono a comprendere che la colonizzazione, perché di questo si tratta, delle principali aziende nazionali, rappresenta un altro colpo mortale alla nostra sovranità nazionale e alla possibilità di impostare un minimo di politica estera autonoma. Ormai i soci stranieri sono in maggioranza rispetto a quelli italiani nelle prime banche italiane, Unicredit e Intesa-San Paolo. Comandano in colossi industriali ex pubblici come Eni, Telecom e Finmeccanica e hanno gettato le premesse per comandare nel gruppo che da sempre rappresenta il fiore all'occhiello del capitalismo italiano, ossia le Assicurazioni Generali. La metodologia è stata quella classica. Prima è stata comprata una quota minima di tali società, giusto per tastare il terreno e partecipare alle assemblee ordinarie e straordinarie. Poi, visto che, a differenza di altri Paesi, i governi non davano l'idea di guardare con sospetto la novità, anzi dimostravano di apprezzare, il loro appetito è cresciuto e i soldi investiti sono aumentati. In linea teorica si dovrebbe essere soddisfatti all'idea che un gruppo estero decida di partecipare alle sorti di una azienda nazionale e di aspettarsi di ricavarne dei profitti sotto l'aspetto della distribuzione dei dividendi. E' quello che si chiama principio di reciprocità. In fondo, alcuni anni fa, un'azienda italiana del gruppo Luxottica di Del Vecchio, ha acquistato un marchio famoso dell'abbigliamento Usa come Brooks Brothers che si trovava in crisi e che grazie all'impronta italiana si è rimesso rapidamente in sesto. Ma le aziende italiane che si trovano ormai sotto controllo estero sono aziende strategiche, aziende presenti con successo nel loro settore specifico e che per decenni hanno permesso all'Italia di ritagliarsi una bella fetta di politica estera autonoma. Il caso più eclatante è quello dell'Eni voluto da Enrico Mattei per assicurare una politica energetica autonoma all'Italia e slegarla dall'influsso delle Sette Sorelle che condizionavano la politica italiana attraverso le proprie forniture di gas e di greggio. I rapporti preferenziali creati negli ultimi ani dall'Eni con la russa Gazprom sono lì a testimoniare della continuità di una politica estera “continentale” che ha visto convergenti, nonostante tutto, le visioni di un Porodi e di un Berlusconi. Di Monti, sicuramente no, visto la sua impostazione “atlantica” e il suo essere stato un consulente di gruppi come Moody's e Goldman Sachs che, a diverso titolo hanno operato per la privatizzazione delle aziende pubbliche, sia speculando in borsa sia diffondendo valutazioni sulla necessità che il Tesoro vendesse le sue partecipazioni. La devastante crisi economica ha fatto il resto. Di soldi italiani in giro ce ne sono infatti pochi e i rari grandi imprenditori italiani sono ormai più finanzieri che industriali. Non amano il rischio e non hanno la voglia e i mezzi per investire in attività produttive, limitandosi a fare gli azionisti cercare di sopravvivere mentre il mondo intorno a loro è cambiato completamente. Siamo assistendo anche al definitivo collasso del capitalismo dei “salotti buoni”, quello che fino alla fine degli anni ottanta era raccolto intorno a Mediobanca. Un capitalismo senza capitali all'interno del quale le relazioni contavano più dei soldi investiti e dove le azioni si pesavano e non si contavano. Mediobanca, diretta dal non compianto Enrico Cuccia, grazie all'ingegneria finanziaria, ha permesso alle grandi famiglie italiane (vedi gli Agnelli con la Fiat) di comandare nelle proprie aziende tirando fuori il minimo di quattrini ed arrivando, con una faccia tosta incredibile, a presentare questo fatto come espressione del Mercato. Poi, con l'arrivo del Mercato, quello vero, quello dove i numeri contano, per tutti costoro è stata notte fonda. Un Libero Mercato che, dopo il crollo dell'Urss, ha allungato le sue mani pure sulle aziende pubbliche che la politica aveva fino ad allora utilizzato per contrastare il peso dei grandi gruppi stranieri e italiani. Già, la politica. Una politica che oggi è totalmente assente e che, essendo il terminale degli interessi “atlantici”, in particolare il PD, sta offendo tutto il proprio sostegno allo sfascio che si sta attuando sotto i nostri occhi.   


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