martedì 13 maggio 2014

"Dietro le linee”. Hiroo Onoda e l’eterna vittoria della volontà dell’ultimo samurai...

di Mario De Fazio (Barbadillo.it)
“Rimasi nascosto nella foresta, in attesa che il tempo passasse”. L’incipit di “Dietro le linee. Io, solo, per trent’anni in guerra”, il testo scritto da Hiroo Onoda per tramandare la sua battaglia andata avanti per ventinove anni dalla fine della seconda guerra mondiale, è già una promessa. Una lama, inattuale, che fende la contemporaneità. Il tempo è passato, la foresta è sempre intorno a noi. Ma l’ultimo discendente della casta dei samurai è uscito dal verde di Lubang per salire le impervie vette dell’eternità.
“Dietro le linee” è un libro scomodo. Non a caso è stato edito dalle edizioni di Ar: l’edizione, come sempre quando si tratta della casa editrice padovana, è curata nei minimi dettagli. Le venti righe sul risvolto di copertina siglate da Franco Freda, da sole, illuminano più di intere biblioteche, quando spiegano che il libro è “il racconto della passione virile della volontà, di un portamento ascetico “fuori linea”, di un dispositivo esistenziale eccentrico – perché eroico – rispetto al sistema dell’umanismo contemporaneo”.
Ventinove anni. Passati a combattere una guerra che il Giappone aveva già perso nel ferreo convincimento che la sconfitta non fosse possibile. Prima con pochi camerati, Akatsu, Shimada e Kozuka. Poi, con il passare degli anni, la diserzione del primo e l’uccisione degli altri due, da solo. A sfidare sorte e ragione, chiedendo aiuto alla natura e potendo contare solo sul proprio spirito, forgiato come la lama di una katana dallo sforzo quotidiano di essere fedeli a se stessi. Cesellando, con pazienza, il progetto di una volontà che vuole diventare forma.
“In qualità di ufficiale dell’esercito imperiale avevo ricevuto una consegna. Sarebbe stato vergognoso per me non essere all’altezza di rispettarla”, scrive Onoda. Quando entra nell’esercito, è un ragazzo normale. Beve, fuma, passa le notti dedicandole al gioco, gli piace ballare. Ma coltiva la passione per il kendo e, quando dovrà partire per le Filippine, porterà con sé una spada da samurai, eredità della famiglia della madre. “Si trovava in un fodero bianco e, nel porgermela, mia madre mi disse in tono grave: Se ti fanno prigioniero, usala per ucciderti”. Poi arriva l’addestramento nelle “squadre di pacificazione”, uomini pronti a infiltrarsi nelle linee nemiche e alla guerriglia. Impara che “nella guerra segreta c’è integrità”. “Con integrità – scrive il tenente – intendo anche sincerità, lealtà, dedizione al dovere, dirittura morale. Con l’integrità è possibile sopportare tutte le avversità e alla fine farne strumenti di vittoria”. Infine la guerra, come catarsi. E la decisione di dedicare la propria vita a un’idea, all’Impero del Sol Levante, elevando il dovere a disciplina quotidiana dello spirito e del corpo.
Onoda è un uomo, non solo un esempio. E il libro restituisce non solo la dimensione eroica della sua esistenza ma anche una purezza che, agli occhi moderni, può sembrare persino elegante ingenuità. Non crede mai ai messaggi diffusi sull’isola dagli altoparlanti, o a giornali e messaggi che le squadre di ricerca lasceranno nella giungla, nei ventinove anni di guerriglia, per convincerlo ad arrendersi. “Come potevamo pensare che le città del Giappone erano state rase al suolo, che quasi tutte le navi giapponesi erano state affondate, e che un Giappone ridotto in ginocchio si era veramente arreso?”. Non contempla la sconfitta perché ha giurato di dare la vita per la vittoria del Sol Levante.“Quando nel 1994 giunsi nelle Filippine, la guerra stava andando male per il Giappone e nella nostra patria la fraseichioku gyokusai, cento milioni di anime stanno morendo per l’onore, era sulle labbra di tutti. Questo significa letteralmente che la popolazione del Giappone avrebbe combattuto fino alla morte dell’ultimo uomo piuttosto di arrendersi. Io presi questa frase alla lettera, e sono certo che molti altri giapponesi della mia età fecero la stessa cosa”.
Curioso – ed emblematico – che il tenente, chiuso nella giungla di Lubang senza contatti con il mondo esterno, consideri possibile un’alleanza nippo-cinese contro americani e inglesi. “Presumevo che la lega asiatica, sotto la leadership nipponica, fosse ancora impegnata in un accanito conflitto economico e militare con l’America”. Sa che in Cina c’è la rivoluzione di Mao ma è convinto che i due Paesi lavorino con gli stessi obiettivi. Intuisce, con lungimiranza da monaco-guerriero, che il vero demone da combattere è il mercante a stelle e strisce. “Avevamo giurato che avremmo resistito ai demoni americani e inglesi fino alla morte dell’ultimo di noi”.
Lo stile è asciutto, netto. Ma anche capace di lirismi centellinati, in cui il paesaggio selvaggio della giungla filippina sa svelare squarci inediti dell’animo del tenente giapponese. Al chiaro di luna, sulla lapide del camerata Kozuka, si abbandona la canto di una antica canzone militare: “Fedele ai Cinque insegnamenti, sul campo di battaglia il prode muore. Una cosa soltanto trova certa: anche se neppure un capello di lui resta, nessuno può dolersi di essere morto per l’onore”. Il cameratismo emerge nel suo significato più profondo nel rapporto con Shimada e soprattutto Kozuka, con cui si instaura un legame etico che travalica avversità e individualità. Onore, fedeltà, sacrificio, volontà sono la calce che plasma questo legame. Quando torna a Tokyo, nel marzo del 1974, risponde così alla domanda di un giornalista che gli chiedeva delle difficoltà della vita nella giungla. “La cosa più dura è stata l’aver perso i miei camerati”.
Guerrigliero e ufficiale dell’esercito, rivoluzionario e conservatore, Onoda rappresenta la spiritualità che diviene carne in ogni gesto che conferma una scelta. È il carattere quotidiano di chi combatte la propria rivoluzione ogni giorno. Riconoscendo, nei legami che ci si dà e mai nelle costrizioni esterne della morale suggerita, l’unica, vera libertà del ribelle. Quando, il 9 marzo del 1974, il maggiore Taniguchi gli legge l’ordine di cessare le ostilità, il suo mondo crolla. “Improvvisamente vidi tutto nero. Una tempesta si scatenò nel mio animo (…) A poco a poco la tempesta si placò, e per la prima volta capii senz’ombra di dubbio: i miei trent’anni di guerrigliero dell’esercito giapponese si erano conclusi di colpo. Era la fine”.
La copertina del libro delle Edizioni di Ar
La copertina del libro delle Edizioni di Ar
La vicenda umana e spirituale del tenente Onoda svetta nel sole del mito. È eterna, perché racconta l’universale lotta dello spirito su ogni forma di utilitarismo, moralismo e ragionevolezza. È l’ultimo esempio, concreto e fattuale, della dottrina di lotta e di vittoria. È la “grande guerra santa”, che ciascuno di noi deve provare a vincere. O almeno tentare di combattere per diventare ciò che si è, investendo i propri sforzi nel progetto della forma da dare a se stessi. La giungla di Lubang è intorno a noi, ogni giorno. E la spada di Hiroo Onoda riflette il sole tra gli alberi, illuminando la strada verso la battaglia.
Hiroo Onoda, “Dietro le linee. Io, solo, per trent’anni in guerra”. Edizioni di Ar, 2014, Euro 25,00.

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