di Francesca Penza
Sono trascorsi duecento anni dalla formazione del Primer Gobierno Patrio, il primo governo indipendente della storia dell’Argentina, seguito alla Revolución de Mayo – la Rivoluzione di Maggio – guidata dal creolo Manuel Belgrano. Duecento anni in cui si sono succeduti presidenti, dittatori e giunte militari, così come sono cambiate, negli anni, le forme di governo e la stessa nomenclatura dell’attuale Nazione Argentina.
E l’Argentina sceglie un simbolo per festeggiare la sua indipendenza. Un personaggio, una donna amata e contestata: Evita Perón.
Maria Eva Duarte de Perón nacque il 7 maggio del 1919. Figlia illegittima di Juan Duarte, piccolo proprietario terriero, conobbe già da bambina stenti e miseria che superò soltanto quando con la famiglia – sua madre ed altri quattro fratelli – si trasferì a Junin, in seguito alla morte di Duarte. La relativa serenità economica non le impedì di sviluppare una personalità curiosa ed intraprendente che la portò, quindicenne, a trasferirsi a Buenos Aires, dove conobbe Agustín Magaldi, il cantante di tango che la aiutò a divenire attrice per la radio e per il cinema. Proprio mentre registrava una telenovela radiofonica conobbe il futuro presidente, il generale Juan Domingo Perón. Le nozze si celebrarono nel 1945. Quello stesso anno Evita guidò una manifestazione per la liberazione di Perón, arrestato in ottobre per le sue attività contrapposte agli interessi militari. Fu la consacrazione politica di Evita. Per i successivi sette anni il Presidente poté fare affidamento sul suo carisma e le sue capacità. Nel 1957, dopo aver lottato a lungo con un cancro al collo dell’utero, Eva morì.
Non è difficile comprendere come mai si parli ancora di lei.
È facile paragonare la sua vita a quella dell’eroina di un romanzo d’appendice: origini illegittime e modeste che la portarono ad affrontare i pregiudizi dell’alta borghesia argentina, ma anche a schierarsi con le classi meno abbienti; una carriera nel mondo dello spettacolo con un contorno di relazioni più o meno torbide, testimonianza del suo innegabile fascino; l’aver sposato un uomo e una causa, dando fondo a tutte le sue risorse per sostenerli; l’essere morta prematuramente, sconfitta da un male moderno e “democratico”.
I descamisados – termine che vuol dire scamiciati e che viene usato per indicare i lavoratori che manifestarono davanti al palazzo presidenziale per il rientro di Perón dal confino – videro in Evita una paladina, un personaggio vicino alla politica che finalmente si mostrava interessata alle vicende del popolo.
La classe politica vedeva in Evita l’incarnazione del giustizialismo peronista.
Nonostante la vita coniugale subisse alti e bassi, Evita non mancò mai di collaborare allo sviluppo del programma di governo del Presidente e non perse mai di vista i temi sociali: creò la Fondazione che porta tutt’ora il suo nome, attraverso la quale si fece carico di diffondere istruzione e salute.
Il ramo femminile del Partido Justicialista – Partito Giustizialista (parola derivata dalla fusione di “giustizia” e “socialismo”) fondato dallo stesso Perón nel 1947 – riscosse con Evita il suo più grande successo ottenendo il suffragio universale: ai lavoratori che già nel 1946 avevano appoggiato Perón, nel 1951 si aggiunsero le donne.
Tuttavia non possiamo ignorare come gran parte degli impegni politici e sociali di Evita siano nati da impeti personali e da un orgoglio fuori dal comune.
La stessa Fondazione Eva Perón nacque perché le dame dell’Organizzazione di Beneficenza Argentina rifiutarono a Evita il ruolo di presidentessa, da sempre assegnato alla First Lady.
Anche dopo aver investito milioni di dollari della Fondazione in opere destinate a migliorare le condizioni sociali, sanitarie e culturali del popolo argentino Evita non guadagnò le simpatie dei molti esponenti dell’alta società argentina, per lo più contrari alla politica peronista, che la ritenevano un’arrivista, poco più di una prostituta, impegnata soltanto nell’affabulare il popolo.
Nemmeno dopo la sua morte ebbe pace: la sua salma fu più volte traslata e sepolta in diversi luoghi – anche in Italia – con un nome fittizio.
Da Joan Baez a Madonna, il cinema e la musica l’hanno ricordata e omaggiata. Spesso la si sente nominare insieme a Margaret Thatcher e Indira Gandhi e sempre quando si tratta di ricordare donne che hanno “portato i pantaloni”, amate per questo e contestate per lo stesso motivo.
Ma che significato ha, nell’Argentina moderna, la scelta di Evita Perón come simbolo dell’indipendenza? Per rispondere a questa domanda è necessario considerare una molteplicità di fattori economici, politici e sociali.
I circa quaranta milioni di abitanti, distribuiti sui quasi tre milioni di chilometri quadrati che costituiscono il territorio argentino, hanno alle spalle non solo il retaggio coloniale tipico dei paesi del Sud America, ma anche una situazione economica altalenante e spesso disastrosa: difficile dimenticare il tasso di inflazione nel 1983 pari al 3000% o il grande tracollo finanziario del 2001. Tutto questo nonostante la quantità di petrolio estratto – che rende l’Argentina indipendente sotto il profilo energetico – e le ingenti esportazioni di prodotti agricoli e alimentari evidenzino la grande ricchezza di risorse del paese.
La situazione politica argentina è sempre stata complessa e soggetta all’ingerenza delle forze militari, responsabili dell’epurazione di centinaia di oppositori del regime instaurato dal generale Jorge Raphael Videla nel 1976: il buio capitolo dei desaparecidos, che si concluse solo nel 1983, quando oltre 30mila dissidenti, di cui si era persa ogni traccia, furono dichiarati morti. Sempre nel 1983 il neo presidente Raúl Alfonsin, dell’Unión Civica Radical – Unione Civica Radicale, partito di centro-sinistra – annunciò l’inizio dei procedimenti giudiziari a carico dei militari responsabili della violazione dei diritti umani durante gli anni della dittatura.
Se consideriamo la storia dell’Argentina dal 1862, anno in cui diviene Nazione Argentina, possiamo contare trentadue governi provvisori e dodici dittature militari su un totale di cinquantuno legislature, dato sufficiente a comprendere la natura fragile dei governi costituiti.
Il 1983 è l’inizio di una serie di governi di sinistra che guideranno il paese sotto la bandiera del giustizialismo.
Questo successo del populismo peronista, che deve molto all’impegno e al carisma della stessa Evita, è da ricercarsi prevalentemente nei rapporti tra il peronismo e la classe operaia dovuti alla nascita di una nuova fascia sociale che affondava le proprie radici nella cultura rurale priva di ideali politici forti tali da impedire a questi “nuovi operai” di essere affascinati dalla figura piuttosto paternalistica di Perón, che per certi versi ricalcava il modello sociale mussoliniano, che lo stesso Presidente e sua moglie dichiararono in più occasioni di apprezzare.
Il populismo di Perón sembra quindi derivare dallo sfaldarsi dei normali flussi di commercio e dalla crisi del comparto agro-alimentare. Da questo la crescita del proletariato urbano che vede nella moglie del Presidente uno spirito affine, quel proletariato che ha fatto di Perón l’antesignano del populismo più moderno e spicciolo.
È una scelta colma di significati quella di riversare su Evita Perón un enorme carico simbolico. Alla luce degli sviluppi interni all’Argentina, l’immagine di Evita offre un esempio di abnegazione ai ruoli istituzionali e di attenzione verso tutti gli strati sociali che erano stati il cuore pulsante del giustizialismo.
Evita, simbolo e voce dell’indipendenza argentina: una chiara rivendicazione dell’equità del giustizialismo; una figura moderna soprattutto perché donna; un’immagine in cui forse gran parte dell’Argentina vorrebbe tornare a specchiarsi.
*Francesca Penza, dottoressa in Scienze della comunicazione, collabora con “Eurasia”
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