venerdì 23 gennaio 2015

Mishima sublime scrittore con le ali nel nostro presente senza incanto...


di Renato de Robertis (Barbadillo.it)

Novanta anni fa Kimitake Hiraoka, cioè Yukio Mishima. Nasceva una vita straordinaria, in un remoto gennaio, a Tokio. Oggi, questo intellettuale unico avrebbe avuto novanta anni e avrebbe parlato ancora al suo Giappone e al risveglio della Tradizione. Reduce di un’ esistenza mai placata, egli forse avrebbe avuto parole miti, dopo la sua storia di poeta-soldato. Ma Yukio decise di non parlare più, perché portava dentro di sé un desiderio: bruciare; perché all’uomo spetta un destino, ossia “appartenere al cielo” e continuare ad innalzarsi, “in alto, sempre più in alto, e senza tregua… / verso altezze remote dell’umano” - dal suo “Icaro”(1968) – e sino a bruciare.
Sulle soglie di una guerra di religione e sull’asfalto arroventato di una crisi epocale, attualmente, sappiamo rileggere il vitalismo di Mishima? Noi, i disincantati e tanto realisti, possiamo continuare a recitare i suoi abbaglianti versi, “Niente mi può appagare…” Piace rammentare la sua passione novecentesca tutta raccolta nell’opera-eredità “Sole e Acciaio”. E attrae tuttora il suo racconto contro-rivoluzionario; tuttavia, non sembra essere questo il momento per scrivere del poeta che cercava prove seducenti del coraggio nel dolore e nella morte. Invece, le nostre sensibilità post-romantiche hanno voglia di leggere un Mishima minore, meno assorbito dal mercato editoriale, naturalmente meno completo rispetto alle “Confessioni di una maschera” (1958).
In questi nostri giorni dubbiosi, è il narratore di “Ali” (1951) o de “Il pino della Hama Rikyu”(1951) o di “Cruciverba” (1952) che ci rende più sensibili. Queste opere di un giovane scrittore, raccontante ansie, disegnano una sofferente delicatezza. In particolare “Ali” riferisce la storia di una sopravvivenza dentro una narrazione trasparente, molto simbolica; e qui il simbolismo è raffigurato dalla comparsa delle ali sul corpo di un adolescente. Ecco Mishima, lo scrittore delle ali… quelle ali mai scoperte sulle nostre schiene… quelle ali che, per realistica miopia o per disincanto utilitaristico, non riusciamo a ritrovare poiché abbandonate come i sogni, come le ali che “… non venivano mai spazzolate, le penne diventavano sporche e grigiastre come le piume di un uccello imbalsamato. Sugio non riusciva a capire il senso di muoverle su e giù.”
 Le ali di Mishima, ovvero una metafora, per ritornare al sogno, per non dimenticare progetti o SCOMMESSE. E’ vero, “Le ali non sono adatte  per camminare sulla terra” ma senza le ali siamo spinti verso conclusioni infelici, verso un presente che non sa custodire la voglia di vivere. Come accade a Yoko, personaggio del racconto, travolta dalla violenza,“Yoko non aveva più la testa. La ragazza senza capo, inginocchiata in terra non cadde, come sostenuta da  forza inesplicabile: solo, battè ripetutamente  entrambe le braccia bianche su e giù con violenza, come ali…”
Il poeta con vivide visioni per il Giappone imperiale; l’intellettuale innamorato del pensiero che si rinnova in azione; il cultore del corpo-strumento che si trasforma perennemente; Mishima, il ‘Che Guevara della Destra’, come lo definiva Marcello Veneziani in un lontano articolo del 1995 – a novanta anni dalla sua nascita – può ritornare a noi, più che mai, con un racconto breve e favolistico. L’opera “Ali” raffigura allegoricamente un avvertimento, vale a dire: abbiamo disimparato a scoprir le ali; esse stanno lì dietro, sulla nostra schiena curva, e forse ne sentiamo pure il peso come il personaggio del racconto, “Infatti, le rigide ali invisibili si posano sulle sue spalle come un falco e guardano il suo profilo con grande solennità. Sugio non sa che ostacolano in silenzio la sua carriera. Non c’è nessuno che insegni come liberarsi di queste ali?” oppure aggiungiamo metaforicamente: C’è qualcuno che ci insegni come usarle, le ali?  E c’è qualcuno… per ritornare a volare, a sperare?

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