Ci sono scrittori che con la propria vita e con le proprie opere rappresentano un’intera epoca. Pierre Drieu La Rochelle
è certamente uno di questi, se è vero che “è fra gli scrittori francesi
che hanno avvertito più tragicamente e intensamente la crisi dell’uomo
occidentale.” (1). Il tema della decadenza, del declino dell’uomo e
della civiltà è da lui profondamente sentito e vissuto, diviene il filo
conduttore della sua narrativa e della sua saggistica. Se nei romanzi e
nei racconti “personaggi e romanziere si sono identificati agli occhi
dei lettori sino a perdere ogni distinzione”, tanto da poter considerare
tutta la sua narrativa come “un lungo monologo autobiografico in cui
fantasia e confessione si intrecciano inestricabilmente” (2), nei suoi
saggi, parimenti, le idee, i fatti, le considerazioni storico-politiche
si amalgamano sovente ai dati personali ed esistenziali. “Ci tempriamo
nella confessione come il metallo nell’acqua” (3) scrisse Drieu. E in
“Socialismo fascista”,
uno dei più bei saggi politici del Novecento, scritto nel 1934, c’è un
intero capitolo intitolato “Itinerario” in cui lo scrittore ripercorre
le ragioni esistenziali e psicologiche della sua adesione al Fascismo.
Drieu ama giocare a carte scoperte. Come molti intellettuali del
Novecento si impegna politicamente, scende in campo, imbraccia il
fucile. Non ha paura di stupire o di attirarsi rancori ed odi. “Volevo
essere un uomo completo, non solo un topo di biblioteca, ma anche un
uomo di spada, che assume le sue responsabilità, che riceve e colpi e ne
restituisce.” (4).
La decadenza, magistralmente descritta in romanzi quali
Drôle de voyage, Fuoco fatuo, Gilles, e in racconti quali
La voce, Vietato uscire, Diario di un uomo tradito
è, però, solo un aspetto della sua personalità. Nella decadenza Drieu
non si crogiolava come tanti. Ne avvertiva tutto il peso,
drammaticamente: “è orribile camminare per le strade ed incontrare tanto
decadimento, tanta laidezza, tanta imperfezione” (5). Di fronte alla
decadenza Drieu provava istintivamente un bisogno di rivolta. “La
consapevolezza della decadenza non era per lui un alibi, una
giustificazione per accomodarsi nella poltrona di un nichilismo senza
speranza. In lui era viva l’esigenza di una rivolta per modificare una
situazione personale e sociale che giudicava negativa.” (6)
Lo scrittore francese teneva ben presente l’ammonizione di Nietzsche “Il deserto cresce. Guai a chi cela deserti dentro di sé”
(7). Le radici profonde della sua scelta politica ed esistenziale sono
racchiuse in poche parole scritte verso la fine della sua vita a mo’ di
bilancio e che suonano come una disperata professione di fede: «Sono
diventato fascista, perché ho misurato i progressi della decadenza. Ho
visto nel fascismo il solo mezzo per frenare e arrestare questa
decadenza». (8). Da questa volontà di rivolta, di non arrendersi ad un
destino che appariva ormai segnato nasce la sua meditata adesione al
fascismo, che però non significa mai in lui acquiescenza o mancanza di
spirito critico: “io, l’intellettuale, ho forse rinunciato alla mia
libertà? Il fascismo come tendenza è una cosa; le forme particolari e
inevitabilmente volgari che il fascismo assume nei diversi paesi sono
un’altra cosa. Io lavoro forse alla costituzione di un regime fascista
in Francia, ma resterò sempre libero e indipendente nei suoi confronti”
(9).
Ma, potremmo chiederci, dove coglieva Drieu questa decadenza?
Certamente, nella bruttezza della nostra civiltà con le sue case, le
sue fabbriche, il suo grigiore, la sua disumanità, la sua entropia. Di
contro, nelle architetture, negli affreschi, nelle sculture e nelle
miniature medioevali Drieu scorgeva le tracce d’una società organica,
spirituale, vitale, in comunione con la natura e la divinità, che
garantiva il difficile equilibrio fra corpo ed anima. Si trova, per
inciso, in questo raffronto tra due civiltà la radice dell’ecologismo di
Drieu, che ce lo rende così attuale e familiare. Già nel suo primo
saggio politico del 1922, “Misura della Francia”, con amarezza e
lucidità, Drieu aveva fatto una diagnosi e una profezia sulla condizione
dell’uomo d’oggi, che può considerarsi esemplare: “Oggi ci sono i
moderni, cioè gente che vive o di profitti o di salari, che pensa solo a
ciò e che discute solo di questo argomento… Tutti passeggiano
soddisfatti nell’incredibile inferno, nell’enorme illusione,
nell’universo di spazzatura che è il mondo moderno e in cui molto presto
non penetrerà nemmeno più un raggio di luce spirituale” (10).
Ecologista ante litteram, riassume così la sua
visione: “Oggi l’uomo ha bisogno di ben altro che di inventare macchine.
Ha bisogno di danzare, di meditare, di una discesa nel profondo, di una
grande danza meditata.” (11). Diviso fra una vita disordinata e la
ricerca di un ordine personale e sociale, “perennemente in bilico tra il
sogno e l’azione” (12), tra letteratura ed impegno, tra la meditazione
religiosa e la politica, lo sentiamo come un compagno di viaggio, come
un nostro fratello maggiore, che ci ha preceduto sui sentieri impervi e
difficili del nichilismo montante alla ricerca d’una via d’uscita.
Si è osservato che non aveva torto Drieu La Rochelle a scrivere,
prima di morire, che le generazioni future si sarebbero chinate
incuriosite sui suoi libri per cogliere un suono diverso da quello
solito: “nessuno dei problemi posti da Drieu è stato risolto… l’Europa
non esiste ancora… il meccanismo della produzione non è stato né
limitato né regolato, anzi ha moltiplicato i suoi ingranaggi senza
ordine, senza alcuna cura per la persona umana. Molti intellettuali
stanno scoprendo oggi questa alienazione spirituale della civiltà
moderna, di cui aveva parlato lo scrittore francese; i giovani più
avvertiti vivono in uno stato di insoddisfazione spesso inconsapevole,
rifiutano l’inserimento, oppure si perdono in ribellioni velleitarie
incapaci di liberarli. Drieu parla a tutti costoro; la sua
interrogazione appassionata, colma di dolore e di speranza, di
generosità e di virilità, risuona estremamente attuale.
È un grido simile a quelli di Bernanos, di Saint-Exupéry, di Céline,
uomini provenienti da schieramenti politici diversi, ma accomunati da
una sola e fondamentale preoccupazione: rendere all’uomo una dimensione
umana.” (13).
Va poi rilevato che negli ultimi anni lo scrittore francese si stava allontanando sempre di più dalla politica,
dalla cronaca quotidiana, verso una prospettiva metafisica, che si
nutriva della lettura dei Vangeli e dei testi sacri orientali. Solo di
recente, dopo un lungo periodo di ostracismo, è stata finalmente resa
giustizia a Drieu, che è entrato a pieno titolo nella letteratura del
Novecento con l’inserimento nella Pléiade, la più prestigiosa collana
editoriale francese. Ad un insieme di brevi testi, scritti dopo i due
tentativi di suicidio dell’agosto del 1944 e pubblicati sotto il titolo
di “Racconto segreto”, Drieu aveva affidato il suo testamento
politico-esistenziale, riassumendo con tratti di efficace lirismo la sua
arte, il suo pensiero, la sua sensibilità: “La funzione degli
intellettuali, o almeno di un certo tipo di intellettuali, è di andare
al di là dell’avvenimento, di tentare cammini rischiosi, di percorrere
tutte le strade possibili della storia. Niente di grave se sbagliano.
Hanno compiuto una missione necessaria… Una nazione non è una voce
unica, è un concerto. E’ necessario che vi sia una minoranza; noi siamo
stati appunto quella: abbiamo perduto, siamo stati dichiarati traditori:
è più che giusto. Se voi foste stati sconfitti, sareste diventati
automaticamente i traditori… Sono fiero di essere stato un intellettuale
della minoranza… Non ho voluto essere un intellettuale che misura
prudentemente le sue parole. Avrei potuto scrivere nella clandestinità,
in zona libera, all’estero. No, bisogna assumere le proprie
responsabilità, entrare in gruppi impuri, ubbidire alle leggi della
politica che consiste nell’accettare alleati spregevoli o odiosi. Non mi
sono sporcato le mani, solo i piedi… Siate fedeli all’orgoglio della
Resistenza, come io sono fedele a quello della Collaborazione… Ma
abbiamo giocato e io ho perduto. Esigo la morte.” (14)
(1) Alfredo Cattabiani, Drieu la Rochelle, poeta della decadenza, in
prefazione a Pierre Drieu La Rochelle di Pol Vandromme, Borla, Torino
1965, pp. 7-10
(2) Alfredo Cattabiani, ib.
(3) Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo fascista, E.G.E. 1973 p. 121
(4) Pierre Drieu La Rochelle, Diario 1939-1945, Il Mulino 1995 p. 454
(5) Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo fascista, p. 124
(6) Alfredo Cattabiani, ib.
(7) Federico Nietzsche, Così parlò Zaratustra
(8) Pierre Drieu La Rochelle, Bilancio, in Socialismo, Fascismo, Europa.
Scritti politici scelti e presentati da Jean Mabire, Volpe, Roma 1964
(9) Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo fascista, p. 218
(10) Pierre Drieu La Rochelle, op. cit,. p. 118
(11) Pierre Drieu La Rochelle, Misura della Francia, in Socialismo,
Fascismo, Europa. Scritti politici scelti e presentati da Jean Mabire,
Volpe, Roma 1964
(12) Moreno Marchi, Drieu La Rochelle, una bibliovita, Settimo Sigillo 1993
(13) Alfredo Cattabiani, Drieu La Rochelle e la generazione del
dopoguerra, in prefazione a Socialismo, Fascismo, Europa. Scritti
politici scelti e presentati da Jean Mabire, Volpe, Roma 1964 op. cit.
(14) Pierre Drieu La Rochelle, in Racconto segreto, Perorazione, edizioni SE
A cura di Sandro Marano