di Giuseppe Maneggio (Il Primato Nazionale)
“Abbiamo veduto il Giappone del dopoguerra rinnegare, per
l’ossessione della prosperità economica, i suoi stessi fondamenti,
perdere lo spirito nazionale, correre verso il nuovo senza volgersi alla
tradizione, piombare in una utilitaristica ipocrisia, sprofondare la
sua anima in una condizione di vuoto. Siamo stati costretti, stringendo i
denti, ad assistere allo spettacolo della politica totalmente perduta
in vischiose contraddizioni, nella difesa di interessi personali,
nell’ambizione, nella sete di potere, nell’ipocrisia; abbiamo visto i
grandi compiti dello stato delegati a un paese straniero, abbiamo visto
l’ingiuria della disfatta subita nell’ultima guerra non vendicata, ma
semplicemente insabbiata, abbiamo visto la storia e la tradizione del
Giappone profanate dal suo stesso popolo. Abbiamo sognato che il vero
Giappone, i veri giapponesi, il vero spirito dei samurai dimorassero
almeno nell’Esercito di difesa nazionale”. Così lo scrittore Yukio Mishima
– pochi attimi prima di commettere il suicidio rituale giapponese
(seppuku) - si era rivolto ai militari della base Ichigaya, il quartier
generale di Tokyo del Comando Orientale delle Forze Giapponesi di
Auto-Difesa, mentre i suoi seguaci del Tatenokai o ‘Società dello
Scudo’, tenevano in ostaggio il Comandante del campo. Mishima incoraggiò
i soldati a lanciare un colpo di stato militare ed a restaurare i
poteri tradizionali dell’Imperatore, ma non fu ascoltato.
Oggi il Giappone del 2013, quello a guida Shinzo Abe
– il primo ministro nazional-conservatore in carica dal 26 gennaio
dello scorso anno – ricomincia a far tremare chi pensava che dopo una
guerra persa e due bombe atomiche pensava di aver eviscerato per sempre
lo spirito nazionale e tipicamente indomito dal corpo sociale dei
giapponesi. Abe è il più giovane primo ministro nipponico della storia e
il primo ad essere nato dopo la Seconda guerra mondiale. Un dato che
dovrebbe far riflettere su come certi processi di denazionalizzazione ed
esautoramento della sovranità da parte degli Stati Uniti e del
successivo mondialismo siano miseramente falliti sotto la luce del paese
del Sol Levante.
A riprova di ciò l’ennesima sfida e dimostrazione di menefreghismo verso la comunità internazionale mostrata da Shinzo Abe che ha visitato quest’oggi, forse proprio per festeggiare il primo anno dal suo incarico,
il Yasukuni Shrine, il santuario della pace nazionale dedicato alle
anime di soldati e altre persone che morirono combattendo al servizio
dell’Imperatore. Cina, Corea del Sud e Stati Uniti, che già si
erano espressi contrariati per questa visita annunciata, hanno espresso
la loro ferma opposizione.
Il santuario scintoista situato nel cuore della capitale Tokyo onora
le anime di 2,5 milioni di soldati morti per il Giappone. La sua cattiva
reputazione deriva dal fatto che furono registrati nel 1978 anche i
nomi di 14 “criminali” di guerra condannati nell’elenco dei caduti
celebrati. E tra questi figura anche il nome del generale Hideki Tojo, primo ministro giapponese durante l’attacco a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941.
La visita di Abe è “assolutamente inaccettabile per il popolo cinese”
e il Giappone dovrà “sopportarne le conseguenze”, ha detto il Direttore
generale degli Affari asiatici del ministero cinese degli Esteri, Luo
Zhaohui. Anche un portavoce del governo sud coreano ha espresso
“rammarico e rabbia” per la decisione del premier giapponese che viene
definita “anacronistica”. E anche gli Usa si distanziano: “Il Giappone è
un alleato e un amico, tuttavia gli Stati Uniti sono delusi dal fatto
che il governo giapponese abbia preso questa iniziativa, che esacerba le
tensioni con i paesi limitrofi al Giappone”, ha fatto sapere
l’ambasciata americana a Tokyo.
“E che ne è della restituzione di Okinawa? E della responsabilità di
difendere il suolo della patria? È palese che l’America non desidera che
il Giappone sia protetto da un autentico e autonomo esercito
giapponese. Se entro due anni l’Esercito di difesa non riconquisterà la
sua autonomia, rimarrà per sempre una congrega di mercenari al soldo
dell’America”. Così concludeva nel suo proclama Yukio Mishima prima di
togliersi la vita. Sono passati 43 anni, ma il suo fantasma aleggia
ancora nel paese del Sol Levante.
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