di Antonio Rapisarda (barbadillo.it)
I Forconi hanno invaso le piazze d’Italia. Torino, Genova, Treviso,
Palermo, Catania, Napoli, Ferrara, Benevento, Roma, Milano, Bari, Arezzo
ma anche piccoli centri e snodi autostradali: da Sud (dov’è nata nel
2012) al Nord la protesta generalizzata contro il governo, le tasse e il
carovita è letteralmente esplosa. Tricolori, cartelli in mano e
megafono: così l’Italia profonda è scesa in piazza in un inedito schema
che è “uscito dagli schemi” a cui siamo stati abituati negli ultimi
anni.
Pochi i (temuti e vietati) blocchi stradali, molti rallentamenti nelle
città e, da parte dei manifestanti, idee chiare su quali siano le
istituzioni su cui riversare la protesta: le sedi di Equitalia su tutte.
Nonostante l’allarmismo, però, le manifestazioni si sono svolte in
maniera pacifica. Solo a Torino si sono registrati scontri tra polizia e
manifestanti davanti il palazzo della Regione mentre a Genova sono
stati occupati i binari della stazione. In generale, però, la situazione
è rimasta sotto controllo proprio come gli organizzatori avevano
promesso. Una protesta – questa del nove dicembre – annunciata più sui
siti indipendenti e i sui social che sui grandi media che hanno
minimizzato in questi giorni la portata di un evento che si è alimentato
con il passaparola. Il risultato è stato sorprendente in termini di
partecipazione e interessante in ragione dell’eterogeneità delle
categorie e delle peculiarità sociali scese in piazza.
“Forconi” oggi sono stati praticamente tutti: dai piccoli imprenditori
ai disoccupati, dai commercianti agli studenti, dagli allevatori agli
autotrasportatori. Il collante che ha tenuto insieme questa protesta
interclassista è – come si legge in tanti striscioni – la richiesta di
una minore oppressione fiscale, di una difesa del made in Italy a tutti i
livelli, ma soprattutto la volontà di recuperare la sovranità politica
ed economica dell’Italia. La scelta del tricolore come unico simbolo
ammesso nei cortei sta a dimostrare proprio la rabbia popolare contro il
«far west della globalizzazione» e «contro l’Europa costruita a
Bruxelles».
Insomma, al grido di «riprendiamoci l’Italia» e «non suicidarti,
ribellati» quello che è andato in scena oggi si può chiamare un
movimento impersonale e sinceramente nazionalpopolare. Un movimento non
sindacalizzato, non politicizzato e senza “sponsor” cercati nelle
proteste liberal. Forse per questo rispetto ai comitati spontanei da
parte di una certa stampa e dei politici affezionati alle larghe intese è
stato alimentato in questi giorni l’allarme legato a infiltrazioni
politiche: perché disabituati ad accettare che possa emergere un
malcontento trasversale e slegato alle normali camere di compensazione
sociale come i sindacati.
Da questo punto di vista esemplificativo lo sfogo di Mariano Ferro,
leader dei Forconi siciliani: «Siamo in uno stato di polizia, non è
possibile scioperare come possono fare invece i sindacati». Ferro ha
detto ciò replicando al ministro Maurizio Lupi: «Dice che la nostra
protesta non è legittima, ma lui, dopo la sentenza della Consulta sul
porcellum, si è chiesto se è legittimato?». Proprio il governo, allora,
sembra essere il prossimo obiettivo del movimento: l’appuntamento della
protesta ad oltranza è fissato per mercoledì quando si voterà la fiducia
a Letta: «Se sarà votata la fiducia al governo – promette Danilo
Calvani, altro rappresentante dei Forconi – ed i politici non andranno
via, tutti convergeranno su Roma per un’invasione pacifica».
Nessun commento:
Posta un commento