di Federica Forte (L'intellettuale Dissidente)
La scuola pubblica italiana è- per struttura organizzativa e finalità- sempre più simile ad un'azienda privata che ad un servizio di pubblica utilità. Di una grande azienda, condivide la divisione in funzioni : commerciale, amministrazione, marketing. E come qualsiasi azienda, forma i suoi dipendenti a seconda delle esigenze. Non si sfornano menti brillanti, ma menti mediocri, facilmente asservibili, entusiaste, a favore dell'innovazione, che seguono la moda. Questo è ciò che forma la scuola di mercato: futuri consumatori.
Il 3 settembre scorso, sul sito Passodopopasso.Italia.it, il premier Matteo Renzi ha presentato ufficialmente la sua proposta di riforma della scuola italiana, un programma chiamato “La buona scuola”. “ Non una semplice riforma della scuola- ha affermato il premier- Ma un patto educativo”. Lotta alla precarietà e carriera degli insegnati fondata sul merito, potenziamento dell’insegnamento delle lingue straniere e dell’informatica, scuola digitale sono sono alcuni dei punti di un programma ambizioso, quasi visionario, che si pone come obiettivo quello di allineare la qualità dell’offerta formativa italiana agli standard europei. Per ridare il passo ad un’Italia che non riesce ad offrire servizi di qualità Renzi ha messo a punto questa riforma ambiziosa (la quarta in poco meno di dieci anni). A suon di digitalizzazione e lingue straniere, si pensa di colmare il gap rispetto ai sistemi educativi del resto d’Europa e se l’obiettivo dichiarato è migliorare le condizioni lavorative degli insegnanti ed offrire un’istruzione degna di questo nome, si tratta invece del contrario. I dodici punti renziani sono l’apoteosi, forse la conclusione, di un percorso di convergenza della scuola pubblica italiana da scuola di Stato a scuola di mercato, AZIENDA funzionale alle esigenze delle imprese e del mercato.
Questo obiettivo è abilmente celato nell’ultimo punto titolato La scuola per tutti, tutti per la scuola in cui si legge : “(…) Attrarre risorse private (singoli cittadini, fondazioni, imprese), attraverso incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche”.[1] Lasciato per ultimo, come le cose meno importanti e formulato in termini alquanto vaghi, sembra non meritare più attenzione dei precedenti. Di fatto però, è in questa breve frase che si definisce la nuova scuola, la buona scuola. Grande area fieristica, salone delle esposizioni, dove brand grandi e piccoli potranno farsi pubblicità. Sponsor nella scuola come se questa fosse una partita di calcio, locandine e manifesti come se si trattasse dei muri della stazione ferroviaria.
Niente di cui sorprendersi, si tratta di un cammino progressivo, iniziato anni fa, è la deriva moderna del continente scuola dalla sua funzione originaria a una scuola di mercato. La scuola pubblica italiana è- per struttura organizzativa e finalità- sempre più simile ad un’azienda privata che ad un servizio di pubblica utilità. Di una grande azienda, condivide la divisione in funzioni : commerciale, amministrazione, marketing. Da anni siamo abituati a note scuole private che fanno pubblicità massiccia sui mezzi di comunicazione- e recentemente anche le università pubbliche – per attrarre studenti paganti. In taluni casi, attraverso la manipolazione di dati ed informazioni sulle future opportunità di impiego e di inserimento si sono configurate vere e proprie violazione del codice del consumo, trattandosi in sostanza di pratiche commerciali scorrette idonee a falsare il comportamento economico del consumatore [2]. Come le imprese, le università hanno incominciato a mentire sui loro prodotti- i corsi di laurea- per vendere .
Ma se nella fattispecie il target sono studenti già adulti e si spera in qualche modo preparati ad un mondo dove regna l’opportunismo, non sempre onesto, non sempre giusto cosa diversa è se il mercato ed i suoi mali si insinuano nelle scuole elementari, nelle prime classi delle scuole superiori e forse- speriamo il contrario- negli asili nido. Il consumismo entra nella scuola, viola l’infanzia ed i suoi diritti sacrosanti, insozza l’istruzione, manipola in maniera ancora più pervasiva le menti. Se la pubblicità si siede tra i banchi di scuola e si insinua tra i libri di testo è l’inizio della fine.
Un’offerta formativa sempre più dettata dalle esigenze del mercato e sempre meno di qualità, un’istruzione sempre meno formativa si profilano all’orizzonte. Le imprese che finanzieranno le scuole non lo faranno per un eccesso di filantropia o un sincero interesse per il benessere della comunità, ma per farsi pubblicità ed avere un ritorno d’immagine. Non dobbiamo attenderci che restino in disparte attendendo meramente il futuro. Invece, vorranno avere voce in capitolo, la loro presenza sarà ingombrante. Una scuola in cui ai professori, ai supplenti e ai presidi si affiancheranno Ad e marketing manager di brand più o meno noti, che vorranno partecipare, dire la loro e che faranno di tutto per sfruttare al massimo lo spazio acquistato, che siano i banchi di scuola o la facciata del palazzo.
Le istituzioni mutano con il mutare delle condizioni socio-economiche e se la scuola è divenuta un’azienda, essa forma le proprie risorse umane a seconda delle proprie necessità. L’intelligenza purtroppo non si insegna e non la troveremo mai in nessun manuale, questo è vero. Ma la capacità di analizzare criticamente, l’introspezione, la riflessione possono essere apprese e dovrebbero essere apprese a scuola. La buona scuola dovrebbe spronare gli studenti a porsi domande, rifiutare l’apprendimento mnemonico e favorire la comprensione, stimolare la curiosità e il dibattito.
L’obiettivo della scuola di mercato, invece, è formare persone mediamente preparate per il lavoro che affronteranno. Se mai sarà quello per cui hanno studiato. In ogni caso, che sappiano leggere e scrivere e che abbiano una cultura media tale da sapersi comportare civilmente in gruppo. Ma soprattutto, che comprino quello che viene offerto dal mercato. Non si sfornano menti brillanti, ma menti mediocri, facilmente asservibili, entusiaste, a favore dell’innovazione, che seguono la moda. Questo è ciò che forma la scuola di mercato: futuri consumatori.
La prova più evidente è che ciò che veramente conta e che si dovrebbe imparare non viene minimamente insegnato. Le materie umanistiche sono denigrate al pari di inutili passatempi a favore di un’esaltazione estatica per le materie tecnico-scientifiche dove, comunque, l’insegnamento lascia a desiderare. Presso la facoltà di economia, ad esempio, raramente compaiono nel piano di studi esami dedicati alla moneta o al funzionamento dell’euro e dell’Unione Europea, sulla responsabilità sociale delle imprese, l’innovazione, la globalizzazione sì, a decine.
“Se la gente capisse la natura del nostro sistema monetario e creditizio, avremmo una rivoluzione domani mattina presto” celebre frase attribuita ad Henry Ford, a cui si deve l’applicazione dei principi del taylorismo nelle sue fabbriche ed, in sostanza, una frammentazione sempre più estesa del lavoro e dell’esperienza umana. Parafrasando Ford, potremmo benissimo affermare che se la gente comprendesse la vera natura del sistema economico in cui viviamo, avremmo una rivoluzione domani mattina presto e il sistema tutto collasserebbe. Il segreto, dunque, consiste nell’impedire che la gente ne prenda coscienza attraverso un affossamento sistematico della verità, che passa necessariamente per la bugia e l’inganno, la manipolazione partendo proprio dalla scuola.
[1]Fonte: http://passodopopasso.italia.it/news/la-buona-scuola-in-dodici-punti
[2] Art 20, comma 2 del Codice del Consumo: “Una pratica commerciale e’ scorretta se e’ contraria alla diligenza professionale, ed e’ falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale e’ diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”.
Nessun commento:
Posta un commento