mercoledì 17 settembre 2014

Sociali e nazionali: comunitari...



tratto da EreticaMente.net

Le politiche economiche e sociali di un Paese, ordinato in maniera identitaria e tradizionalista, non possono prescindere da una visione comunitaria, e non globale, della popolazione del proprio stato. E dunque ogni sistema economico mondialista, capitalista, liberale, ma anche banalmente comunista internazionalista e progressista-terzomondista, o ancora social-democratico, si rivelerà un buco nell’acqua: il socialismo va applicato alla propria comunità etnica e ad altre realtà etniche omogenee, non all’ecumene.
Quando parlo di “socialismo” non mi voglio riferire al marxismo, coi suoi deliri relativisti ed egualitaristi di matrice ebraica, ma ad una dottrina economica e sociale anti-individualista e dunque contro ogni degenerazione liberale e libertina che riduca la Nazione, e la sua spina dorsale etnica, ai bassi istinti materialisti e consumistici, che vanno nella direzione opposta dell’auto-determinazione identitaria della propria realtà nazionale. Il capitalismo è la dittatura del soldo, il comunismo del feticcio apolide. Due facce della stessa medaglia anti-europea.
Ecco dunque il comunitarismo, la degna concretizzazione del socialismo nazionale, che, senza arrivare agli estremi della lotta di classe e dell’abolizione della proprietà privata (sebbene il dirigismo e la nazionalizzazione delle principali industrie siano cosa buona e giusta), garantisce la coesione sociale necessaria tra connazionali: la lotta non dev’essere di classe, appunto, ma identitaria.
La sovranità di uno stato, che deve essere espressione genuina di una Nazione e non più la castrazione della stessa, passa anche e soprattutto, in termini politici, per l’auto-affermazione monetaria, economica, industriale, senza la quale si aprono le porte alla globalizzazione e alla schiavitù nei confronti dell’imperialismo americano, e alla sua squallida appendice “europea” targata Bruxelles.
Ogni sistema economico che prescinda dal dato etno-razziale e culturale si rivelerà un moloc stritola-popoli, perché finirà per ergere a idolo un mero schema ideologico confortato dalla propria linea economica sterilmente priva di rimandi identitari: non dobbiamo mica passare dall’occidentalismo liberale a quella mentalità “asiatica” che concepì il bolscevismo.
Si sa, la politica è fondamentalmente economia, ma proprio per questo si rischia di dividere il contesto europeo semplicemente in destra-centro-sinistra o ancora capitalismo-comunismo, liberal-democrazia/social-democrazia e atlantismo-eurasiatismo.
Si capisce, meglio guardare ad Est che all’Ovest americanizzante, ma questo non significa che da un giogo si deve finire sotto ad un altro; la Russia fino agli Urali è europea (e certamente non è più nemmeno URSS), ma le proprie sfere di dominio vanno conservate. Pertanto no certamente alla UE e ad ogni parassitismo degli Americani (dunque globalizzazione), ma no anche ad una servitù incondizionata verso la Russia che rischierebbe di appiattire l’Europa continentale sulla linea di Mosca, che come si sa guarda all’Asia più che all’Occidente europeo.
Naturalmente, queste sono le conseguenze del secondo dopoguerra e della contrapposizione dei due blocchi, ma se si deve rinascere (e lo si deve) si deve ripartire dall’identità europea, non solo da quella russa o euro-siberiana. Tanto più che, come detto sopra, la comunanza è fino agli Urali, non oltre, sebbene rapporti amichevoli con tutte le realtà eurasiatiche indoeuropee siano fondamentali per bloccare ogni iniziativa mondialista dello schieramento statunitense e NATO.
Il comunitarismo garantisce salvaguardia etno-razziale, identitarismo, tradizionalismo, eco-nazionalismo e quel genuino solidarismo tra connazionali ed Europei che scavalca le differenze economiche, sociali, generazionali e direi mentali. L’esaltazione di queste, per converso, conduce al bivio capitalismo-comunismo.
Con il comunitarismo, si preserva la natura etnica e biologica, per così dire, di una collettività nazionale, e inoltre la sua sfera spirituale, dunque culturale, e si possono promuovere politiche sociali ed economiche che passino anche per l’ambientalismo intelligente (quello che non perde per strada la Nazione badando solo ipocritamente a flora e fauna, insomma), lo sviluppo eco- ed etno-sostenibile, la decrescita demografica soprattutto forestiera, e il ruralismo, un prezioso strumento Sangue e Suolo che, mettendo a stretto contatto con la natura incontaminata, garantisce e aiuta a sviluppare quel robusto senso d’appartenenza razziale, culturale e territoriale che solo rapportandosi direttamente con il contado, piuttosto che coi monti e le coste, può sbocciare e svilupparsi nel tempo.
Ma naturalmente le nostre città non vanno abbandonate a sé stesse, all’immigrazione selvaggia, all’inquinamento e alla cementificazione, e alle grinfie dell’affarismo rapace, bensì vanno riprese e ordinate con lo stesso strumento comunitarista, mediante cui le cose vanno rimesse in ordine puntando tutto sul Sangue, sul Suolo e sullo Spirito di quella città, di quella regione, di quella Nazione di cui la città è (o era) espressione.
La Lombardia offre ancora moltissimi spunti  ambientali incontaminati ove cui ritrovare sé stessi e il proprio senso d’appartenenza comunitario, ma questo non vuol dire che una metropoli come Milano vada abbandonata a sé stessa; sarebbe come abdicare al proprio dovere e darla vinta a chi ha ridotto Milano nello stato che tutti conosciamo: industriali senza scrupoli, bianchi e rossi, e preti.
L’immigrazione e la distruzione del territorio fanno comodo ai parassiti, non a chi le subisce per davvero.
Credo dunque che il socialismo nazionale e il comunitarismo, siano la strada da percorrere per poter coniugare le istanze nazionaliste con quelle economiche, senza mandare a quel paese la comunità genuina che anima il Paese (scusate il gioco di parole, ma è così).
I fallimenti del capitalismo sono sotto gli occhi di tutti, ma anche quelli del comunismo, l’esasperazione del pensiero socialista senza il dato etno-razziale e culturale (ma del resto si sa, il bolscevismo fu un prodotto della Russia intrisa di ebraismo e si sa anche quanto fossero legati gli Ebrei ad un pensiero simile, bramando sete di riscatto per le proprie sorti storiche di popolo senza nazione e stato disperso per l’Europa; non è certo un mistero che le politiche ebraiche in Europa siano universaliste mentre in Palestina siano l’esatto contrario, e lo stesso sionismo fu concepito partendo da ideali  egualitaristici).
Il problema di fondo del marxismo è proprio questo, unito al fatto che esso e i suoi successori tennero sempre in non cale il dato essenziale: quello del Sangue. E si ha così anti-identitarismo puro e la sinistraglia che tutti conosciamo.
La soluzione non è l’altra faccia della medaglia, quella che si è rilevata cioè davvero esiziale per l’Europa, ossia il capitalismo, ma il pensiero sociale, nazionale e comunitario che divenga genuino comunitarismo per il bene della Nazione e dell’Europa: lotta identitaria, non classista.
Ave Italia!

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