martedì 3 settembre 2013

“Colle Oppio vigila” di Crivellari: creatività e regole di una scelta controcorrente...

di Alessandro Amorese


Uno stile. Questi ragazzi avevano uno stile. Il romanzo di Fabrizio Crivellari, che raccolta le vicende della sezione romana del Fronte della Gioventù di Colle Oppio (e non solo), questo dimostra. Nel tentativo, a volte disordinato ma sempre appassionato, di uscire dall’angolo del neofascismo c’era sempre una forma da rispettare.


L’inventiva, l’estro e la genialità si inserivano in un contesto di regole tramandate dal passato, mai scritte e sempre osservate. L’agire politico aveva una forma, dunque, che consentiva l’immediata decifrabilità da tutto un popolo.


Non si “strappava”, non si abiurava (e non ci si pensava neppure lontanamente), non si aveva fretta perché c’era un passato troppo glorioso da tutelare e non c’era la ricerca del consenso elettorale. Del resto, c’era da fare la rivoluzione, i tempi dovevano essere rispettati, ma il contesto che si respira nel libro è straordinariamente veloce, dinamico e innovativo, molto più avanti rispetto al periodo (gli anni ottanta) che si stavano vivendo.


In un ambiente di questo tipo, la creatività si poteva fare azione. La politica poteva essere cosa alta, nobile e non malata. La generosità non era un’eccezione ma una costante quotidiana. I rapporti sembravano “per sempre”.


Solo a Colle Oppio? Certamente no. Negli stessi anni, in decine di luoghi, in Italia, si respirava la stessa aria, e migliaia di ragazzi contendevano ogni centimetro della politica giovanile a quei coetanei che nei loro confronti erano ottusamente ostili. Quello di Crivellari è un racconto, per grande parte autobiografico, che si snoda per le strade di Roma, ma che potrebbe, dunque, svolgersi a Milano, a Parma, a Firenze, a Monza, a Palermo, a Bologna o a Varese.


La politica studentesca, i cortei e i volantinaggi, la ricerca dei riferimenti culturali, i tentativi editoriali, gli autonomi e la polizia: nelle pagine di “Colle Oppio vigila”, una classica scritta sui muri di via Merulana, ricchi di aneddoti realmente vissuti dall’autore, si racconta, senza retorica e con spiccata ironia, l’agire di un mondo giovanile che sapeva discutere, confrontarsi e litigare ma che sapeva anche ritrovarsi.

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