di Mario Bozzi Sentieri (Barbadillo.it)
L’ambientalismo, inteso come espressione organizzata della “coscienza ecologica”, è uno di quegli ambiti in cui è possibile sperimentare un “trasversalismo” maturo, in grado cioè di superare concretamente vecchi schematismi ideologici ed usurate visioni “identitarie”, confrontandosi sui problemi concreti, drammaticamente concreti del degrado ambientale.
Con questo spirito riprendiamo e rilanciamo la denuncia di Legambiente, che, con il dossier “Salviamo le coste italiane” (scaricabile dal sito www.legambiente.it) ha analizzato, regione per regione, il consumo delle aree costiere, attraverso un sistematico lavoro di selezione e confronto delle foto satellitari.
Ad uscirne fuori è un quadro devastante, con il 55 per cento delle coste italiane stravolto dall’edificazione selvaggia e dalla speculazione edilizia. Dal 1985 ad oggi 160 chilometri di costa sono stati inghiottiti dal cemento, il tutto in barba ai vincoli imposti dalla legge Galasso, la prima legge che proprio nell’85 provava a valorizzare i paesaggi italiani e mettere un freno all’amore per il cemento.
Il record negativo – perlomeno fra le otto regioni analizzate, Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molise, Sicilia e Veneto – spetta, a pari merito, ad Abruzzo e Lazio con il 63 per cento di coste trasformate: solo un terzo del litorale o poco più resta “al naturale”, mentre i restanti due terzi è ormai occupato da palazzi, ville, alberghi, porti. Male anche l’Emilia-Romagna, con il 58,1 per cento di paesaggi compromessi, la Sicilia (57,7), le Marche (54,4), la Campania (50,3), il Molise (48,6). Meglio, si fa per dire, il Veneto (36) dove l’urbanizzazione ha avuto come freno il delta del Po e il sistema lagunare.
Non si tratta solo di estetica, né di solo amore per l’ambiente. Legato alla speculazione edilizia e alla cementificazione c’è un problema sempre più impellente di sicurezza, dovuto all’aumento esponenziale del rischio idrogeologico. Per questo motivo Legambiente ha depositato in parlamento un disegno di legge sulla bellezza che mira a risanare gli scempi commessi e ad indirizzare il settore dell’edilizia verso la strada della riqualificazione.
Si tratta di un tentativo minimo, ma fondamentale, per iniziare a salvare il salvabile, rispetto ad una realtà già fortemente pregiudicata, un tentativo che ci auguriamo possa aprire una nuova fase di attenzione, di consapevolezza diffusa, di mobilitazione politica rispetto ad un grande patrimonio spirituale oltre che materiale, che rappresenta uno degli elementi costitutivi del nostro essere Nazione. Ben al di là, dunque, di qualsiasi appartenenza di bandiera, ma ponendo chiare distinzioni “di valore”: da una parte chi sente forte il richiamo delle peculiarità spirituali, di cui la natura è parte, dall’altra chi lavora per la cementificazione delle culture; da una parte chi crede nella tutela delle specificità (territoriali, culturali, ambientali) dall’altra chi pensa di tutto livellare; da una parte il ritorno alla bellezza, dall’altra la speculazione brutta ed onnivora.
Con in più, dal nostro punto di vista, una consapevolezza di fondo: non ci è mai sfuggito, in questi anni, l’invito di Alain de Benoist, che, sull’argomento, ha scritto pagine esemplari, allorquando, in opposizione ad un ecologismo di maniera, sollecitava non a salvare una “vecchia natura”, ma a costruire una cultura, in grado di ristabilire un nuovo equilibrio, in cui l’umanità potrà conservare la posizione attraverso cui si è costituita. Si tratta di una “visione” non ideologica del rapporto uomo-ambiente, una visione attraverso la quale è possibile realizzare un reale bilanciamento tra protezionismo e intervento antropico. Importante è capirsi sui discrimini di fondo e di valore, più che di “schieramento”. O di qua o di là. Tertium non datur.
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