di Mario M. Merlino
Dopo mesi d’isolamento, primo giorno al secondo braccio, scendo in
cortile all’ora dell’aria, un cortile delimitato da alte mura, torretta
con secondino, due bagni alla turca con vista panoramica su circa
duecento persone che avanzano si girano tornano indietro si girano
avanzano in uno spazio adatto per cinquanta. Peggio che passeggiare in
via del Corso il sabato pomeriggio. Eppure ci si sfiora appena, si
aggirano i capannelli si saluta secondo logiche per banda o tipo di
reato. A parte stanno, con il codazzo di pochi adulatori (si sa che
arrivano pacchi di roba da mangiare, sigarette, che inducono in
tentazione!), i ‘ricottari’, papponi magnaccia lenoni sfruttatori e
altre denominazioni che tralascio. Mi spiegava un ladro di appartamenti
abile nello scavalco, soprannome Tarzanetto: ‘Noi ce sudamo per
mangiare, loro so’ …. sul sangue delle donne’.
Ho in mano la bacinella da usare dopo aver soggiornato ai servizi
igienici (fare il meno possibile l’uso del bujolo, il vaso in cella che
viene svuotato solo un paio di volte al giorno, anche se mi hanno
insegnato il trucco per evitare la permanenza del cattivo odore). Mi
metto in fila. Ballo traballo mi scuoto avanti e indietro ogni rumore
vicinanza rompe il silenzio la solitudine a cui m’ero abituato. Qualcuno
mi dà una sorta di spallata per mettersi al mio posto, facile, ma
d’istinto gli mollo il bordo della bacinella in piena faccia… Mi
trattengono, una pacca sulla spalla.
‘Bono, daje. Se voleva solo scherzare… tastarti il polso’, poi
rivolgendosi alla guardia allarmata, ‘Ah, superiò, n’è gnente… stamo a
gioca’…’. E ancora verso di me: Eh, bravo, hai superato gli esami…’.
E’ il ben arrivato degli altri detenuti del braccio. Sono curiosi. I
giornali hanno riempito le prime pagine, un giorno, settimane, titoli
cubitali, foto. E chi di loro ha mai visto un ‘politico’ (gli anni del
terrorismo, rossi e neri, le spranghe la P38 gli ammazzamenti sono
prossimi, ma al momento c’è solo il sottoscritto, capelli arruffati,
barbetta ispida, occhiali scuri e montatura pesante, uno stecco). Mi
viene a mente quando mio padre, io ragazzino, mi portò al giardino
zoologico a vedere il nuovo arrivato, l’okapi…
La ‘passeggiata’ la condivido con un ergastolano, l’ultimo della ‘banda
Giuliano’, al tempo un ragazzino, ora un omone con maglietta e pantaloni
neri, in transito per qualche giorno. Mi fa scuola.
‘Con tutti devi essere cortese, disponibile, ma, attento!, ognuno di
loro se potesse ti venderebbe… Qui non ci sono amici… Mi piace la
rivoluzione francese, zac, un colpo solo, la testa nel cesto…’. E,
ancora: ‘Ti offrono il caffè. E’ l’unico bene che abbiamo qui dentro. E
lo fanno perché sei uno che studia, li aiuti a scrivere le lettere, ti
ripagano, quando mai hanno in vita loro conosciuto uno che legge i
libri, che scrive… non puoi dire loro sempre di no (allora non avevo
l’abitudine a berlo, non mi faceva dormire, mi prendeva allo stomaco),
qualcuno se la può prendere a male, magari che hai la puzza sotto il
naso… e ti ritrovi il manico del cucchiaio limato e tagliente come un
rasoio nella schiena (meglio essere nervoso che con due dita di ferro
fra le ossa, mi sono detto)’.
Gira, clandestino e probabilmente tollerato, un giornaletto pornografico
(!). Ricordo che siamo nei primi mesi del 1970. Femminismo erotismo
nudismo e le loro deformazioni, la deriva che li trascinerà, si stanno
per affacciare anch’essi con gli anni di piombo. E’, dunque, una rivista
in bianco e nero, ben castigate le ragazze fotografate in slip e il
seno che si intravede. (Ci si scandalizza se il cinema giapponese
propone il nudo di uomini e donne, i giapponesi si scandalizzano perché,
al contrario, non conosciamo pudore nel disvelare l’intimità
dell’animo). Freud Marcuse Reich, tutti provenienti dal monoteismo
ebraico, dai sensi di colpa, del sesso come perversione, dell’orgasmo
meccanizzato… Una rivista che passa di cella in cella, sgualcita
macchiata dai fogli appiccicosi e da inconfondibile odore di sperma e
sudore. Tant’è. Un detenuto con idee imprenditoriali ha rimediato,
chissà come, un paio di mutandine con pizzo e le affitta per una notte
alla modesta cifra di tre sigarette…
Nella mia cella c’è, per breve periodo, un ‘vecchio’ detenuto. Egli
schifa quel mercato di immagini. Una sera con la punta del manico del
cucchiaio disegna sul muro, a fianco del suo letto, uno sgorbio di donna
nuda. Gli chiedo, indelicato, il senso. Risposta: ‘…e che la mia donna è
una puttana che va con tutti…’
Ecco, quando insisto a parlare e scrivere di ossa sangue e carne, forse
mi capite. Le grandi idee, la metafisica con cui ho giocherellato per
anni ex cathedra, cosa sono di fronte a quel noi stessi che, simile a
lupo nella notte, ulula alla luna? No, nessun disprezzo per esse la
nobiltà della loro sconfitta come dei vinti che hanno lottato amato
ucciso e sono stati uccisi meritano ben più di un banale umano rispetto
ammantato dai buoni sentimenti di un qualsiasi fervorino. Se, da
nichilisti attivi, sappiamo collocarci oltre ogni definizione del bene e
del male, sostituendoli aristocraticamente con nobile e volgare, allora
le scene di ordinaria follia, che ogni tanto mi diletto a proporvi, si
elevano e divengono la cifra della condizione umana…
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