Contro le sette sorte all'ombra di Wall Street (e di chi la occupa), il poeta insegnò che il contrario del mercato non è la democrazia, ma il tempio.
Il più grosso oltraggio che la democrazia ha commesso nei confronti di Ezra Pound non è di averlo rinchiuso nella “gabbia di gorilla”. Né, di per sé, il fatto di averlo cacciato per tredici anni nel “buco d'inferno” del St. Elizabeth's.
La vergogna vera e
sanguinante del caso Pound non è dunque la violenza del potere nemico
del bello e del buono ma la morale.Il peccato originale dell'Occidente
non è la forza, ma l'incapacità di darle il sigillo del sacro, dovendo
così ripiegare sulla più modesta giustificazione morale.
Ecco, ciò che deve
essere stato davvero insopportabile per Pound non è tanto il rumore del
chiavistello che risuona sordo alle spalle ma il sibilo fastidioso
dell'ultimo uomo che tutto giudica e tutto misura sulla propria
piccolezza.
Potevano
rinchiuderlo solamente, Pound. E invece l'hanno anche giudicato. Errore
fatale. L'Omero del Novecento è stato giudicato da tutti: dai suoi
compatrioti per nascita, gli americani, dai suoi compatrioti per
elezione, gli abitanti della repubblica dei letterati. Ognuno,
conformemente a un'etica egualitaria (l'ultimo uomo, appunto...), si è
sentito in dovere di puntare il dito contro il poeta «finito con il culo
per terra» – così sintetizza brutalmente Bukowski – e sferrare un
calcio al vinto. Ogni calcio, un giudizio. E i peggiori, come al solito,
non sono stati i nemici dichiarati, quelli che contro l'autore dei
Cantos conducevano la loro guerra santa, astiosa e irragionevole,
accecati dall'ultimo dei fanatismi, l'antifascismo. Ben peggiore è il
languore dei vermilinguo che sul conto del veggente di Hailey hanno
dovuto sprecare il fiato in innumerevoli «però».
Pound, il grande
poeta, «però...». Però era ossessionato dall'economia. Però era poco
chiaro, decisamente oscuro, forse un po' pazzo. Però era un ingenuo, un
bambinone, un visionario, uno strampalato. Però era un dilettante, un
presuntuoso, un eccentrico.
Uno ad uno, questi
però hanno fatto più male al poeta di ogni gabbia e di ogni tortura. Ne
hanno smontato pezzo dopo pezzo la dignità di uomo e la grandezza
dell'artista. Avrebbero potuto farne un nemico (riducendo tutti i «però»
all'unica vera obiezione: «...però era fascista») e invece hanno voluto
trasformarlo in un buono di serie B. E se le condanne alla fine si
esauriscono – persino quelle mai pronunciate: nessun giudice ha mai
comminato i 13 anni di manicomio che la sua patria gli inflisse – il
giudizio morale rimane sempre lì, a far danni. Tant'è che ancora oggi
c'è chi vorrebbe salvarne la memoria a colpi di carte bollate da chi,
dicono, se ne appropria senza autorizzazione, con l'aggravante della
colpa ideologica. Che poi è sempre una colpa ontologica: non è quel che
si fa, che desta scandalo, ma quel che si è.
E questo essere
colpevole imputato agli autoproclamatisi figli di Ezra è figlio diretto
dell'essere colpevole che fu riscontrato nell'Ezra stesso dai questurini
del pensiero. E quindi, alla fine, è da se stesso che, con foga
intempestiva benché probabilmente onesta, vogliono salvare Ezra Pound.
Salvare Ezra Pound:
quale impudenza. Se non fossimo completamente ubriachi di morale e di
empietà, che poi è lo stesso, giungeremmo all'unica conclusione
possibile. Ovvero che è lui che salverà noi. Noi: l'Italia, l'Europa,
l'Eurasia. Perché no, il mondo, come recita ambizioso il sottotitolo di
questo saggio. E anzi la prova più schiacciante della vacuità di tutte
le altre sette soteriologiche sorte all'ombra di Wall Street e
rimpolpate dai rampolli della borghesia progressista è proprio
l'ignoranza dei Cantos. Hai voglia a occupare, contestare, frignare se
poi si è spiritualmente i gemelli omozigoti delle oligarchie combattute
negli slogan. Se invece avessero letto Pound saprebbero che il contrario
del mercato non è la democrazia, ma il tempio.
The temple is holy
because it is not for sale. Il tempio è sacro perché non è in vendita.
Ecco l'eresia assoluta, ecco la rivolta totale, ecco la rivoluzione
perfetta, quella che non ciancia di diritti ma evoca gli Dèi. Non c'è
soluzione che non transiti per il tempio. Perché la religione è
l'istinto di sopravvivenza dell'uomo. La religiosità è alla base. E,
allo stesso modo, non c'è rivoluzione che non passi da Pound.
Pound strumento di
una demistificazione mai innocente, quindi. Da utilizzarsi soprattutto
contro la regina delle mistificazioni, quel ballo macabro che è lo
scontro di civiltà, organizzato e orchestrato scientemente da chi ha
interesse perché le guerre continuino. C'è un sistema che crea le guerre
in serie, urlava, inascoltato, il poeta ai microfoni di Radio Roma.
Pound potrebbe \
salvare la destra italiana dal suo essere destra e quindi aiutarci a
dimenticare nell'armadio delle irrilevanze della storia quella
costruzione farraginosa che è l'ideologia teo-con. Ideologia religiosa
solo di nome ma in realtà puro pregiudizio moderno, mero prurito
profano. È, questa destra bastarda, una sinistra più efficace, più
risoluta, perché meglio di ogni progressismo sa condurre la sua guerra
mortale al sacro.
In Cabaret Voltaire
scrivevo che la destra non è altro che la sinistra al culmine della sua
fase senile. E lo è proprio perché non ha letto Pound. Lo ha citato
spesso, ma non lo ha letto. Ha continuato a citarlo persino Gianfranco
Fini, copiandola da Roberto Saviano, ovviamente attingendo all'unica
frase totemica, al motto esistenziale fattosi jingle, quello sull'uomo
che deve essere sempre disposto a lottare per le proprie idee, perché
altrimenti o non vale lui o non valgono le sue idee.
Sotto la frase a
effetto, nulla. Ed è stato quasi sempre così, con la notevole eccezione
di quel pezzo di poundiano di ferro che fu Giano Accame, che Scianca
così spesso cita. «Non mi piace – diceva il giornalista – un'Italia che
si rinnovi attraverso i rinnegamenti e una destra che incalza la
sinistra vantandosi: noi abbiamo rinnegato più di voi. Rischiamo di
diventare un popolo di rinnegati». Non rinnegare: il primo comandamento
di un'etica del pensiero forte.
Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo la prefazione di Pietrangelo Buttafuoco a saggio di Adriano Scianca Ezra fa surf, sottotitolo «Come e perché il pensiero di Pound salverà il mondo»
(Zero9, pagg. 320, euro 15) in uscita in libreria. Scritto dal
responsabile nazionale per la Cultura di «CasaPound», il libro dimostra,
anche polemicamente, la straordinaria attualità della visione economico
e sociale del poeta americano.
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