Tratto da barbadillo.it
Brihuega, 16 marzo 1937. Notte.
«“A lungo mi sono coricato di buon’ora…”. Mmh, brutta cosa la vecchiaia!».
«Ma va’ in mona, tu e il tuo Proust: è questa pioggia che m’è entrata nelle ossa!».
«Non è il mio Proust», precisò Giulio, «e sei tu che non hai più il fisico».
«Tutti muscoli…».
«Vabbè che ti sei sempre lamentato del fango… Oh, è inutile che ridi perché è la verità vera!».
«No, è che stavo ripensando a Dado».
«Dado… Incredibile, eh? Ha un concetto ben strano di menefreghismo: dove c’è casino c’è lui!».
«E allora noi?».
«Noi? Perché, mi
hai mai sentito dire che non me ne frega niente di niente? E tu hai mai
detto una cosa del genere? È Dado che ha sempre giurato di fregarsene di
tutto, e invece…».
Marco si tirò su, sedendosi a gambe incrociate sulla coperta:
«Usti, erano quasi vent’anni che non lo vedevo… io sono identico a prima, a parte il pizzo, ma lui…».
Giulio ridacchiò: «Sì, tu e il tuo gemello nascosto sotto la camicia!».
«Ci tengo ai miei addominali, dovrò pure proteggerli in
qualche maniera. Insomma, lui invece è cambiato un bel po’…
la faccia scavata, la barba, i capelli lunghi, eppure…».
«Avevamo vent’anni, amico mio. Vent’anni. Adesso ne abbiamo quasi il doppio».
«Appunto, e ci siamo riconosciuti alla prima occhiata. Non è incredibile?».
Giulio si tastò le
tasche, poi frugò nella borsa di tela del Modello 33 (che tutti usavano
come tascapane dopo aver tolto l’inutile maschera antigas) e pescò un
pacchetto di Giuba in mezzo alle bombe a mano. Accese due sigarette e ne
offrì una a Marco, quindi tirò una lunga boccata. «Se te devo di’ la
mia, per me no, non è incredibile», rispose sbuffando il fumo, «certe
cose restano per sempre».
«Ma stai buonino…
sotto un temporale e nel bel mezzo di una sparatoria? Lui per me era un
nemico, un birillo tra mille altri da buttare giù. E invece ci siamo
squadrati e siamo scoppiati a ridere, mentre tutto intorno era un
bordello del demonio».
«E lui? Lui che ha
detto di preciso?». Giulio sapeva già tutto, ma era l’unica cosa
divertente capitata da quando avevano cominciato a ritirarsi davanti a
Guadalajara, perciò voleva sentirlo di nuovo e sorrise, pregustando il
racconto.
Marco guardò la
sigaretta, accorgendosi solo ora di averla accettata. «Assurdo», ricordò
sorridendo. «Mi ha gridato: “Ma pensa te… non ti è bastata la sberla
che abbiamo preso a
Fiume?”».
Ma pensa te era il
biglietto da visita di Alessandro «Dado» Lazzaroni, un anarchico che con
loro due aveva condiviso l’avventura fiumana al seguito di Gabriele
d’Annunzio, nel ’19. E
adesso se l’erano ritrovato dall’altra parte della barricata.
«Stavo per
rispondergli per le rime», continuò Marco, «ma le pallottole fischiavano
di brutto, così l’ho perso di vista e dopo un po’ ho pensato più a
riportare a casa la buccia che a capire dov’era lui. Comunque ti
sembrerà assurdo, ma sono stato proprio contento di vederlo».
Giulio fece un
anello col fumo della sigaretta e subito dopo ne infilò un altro al
centro del primo (abilità che aveva appreso tanti anni addietro, durante
le lunghe, noiosissime settimane di degenza all’ospedale militare di
Massaua). «Perché dovrebbe sembrarmi assurdo? È un amico, gli vogliamo
bene e tanto basta».
Marco ridacchiò
scuotendo la testa per un altro ricordo di Dado che gli era tornato in
mente. Poi si rivolse di nuovo a Giulio: «Tu quanto tempo era che non
avevi sue notizie?».
«L’ultima volta al
matrimonio di Nello: mi dissero che era tornato a Fiume, che si era
innamorato di una ragazza di là. Pare addirittura che si fosse messo a
lavorare per sposarla».
«Minchia! Nello e Dado sposati… Alla fine siamo invecchiati davvero, altro che storie».
Giulio sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere, tossendo il fumo che gli era andato di traverso.
Marco lo guardò risentito: «Cazzo ridi, scemo!».
«No, è che…», altre
risate e colpi di tosse, «…mi sono ricordato di una battuta identica a
questa in un film americano che ho visto al cinema l’estate scorsa.
C’erano… c’erano tre amici seduti in salotto, vestiti di tweed, la pipa
in una mano e un bicchiere di brandy nell’altra, il camino acceso… uno
diceva “siamo invecchiati davvero, amici miei”. E tu… ahahah! Non ci
posso credere! Tu che mi dici la stessa cosa con la divisa imbrattata di
sangue, seduto su una coperta in mezzo al fango gelato a duemila
chilometri da casa e gli aerei che mitragliano e bombardano tutto
intorno!».
Marco lo guardò per
un istante, poi scoppiò a ridere anche lui. Risero insieme. Risero fino
alle lacrime, poi il bergamasco la chiuse là. «Bon», concluse dopo
essersi calmato, «ma se non fossi invecchiato davvero, bombe o non
bombe, fango o non fango, a quest’ora starei bellamente dormendo
fregandomene di tutto, invece di star qui sveglio a sorbirmi le tue
menate. Quindi come sempre ho ragione io, bigolo!».
Nessun commento:
Posta un commento