di Mario M. Merlino
Un
uomo fuggiva nella jungla inseguito da una tigre. Trovandosi di fronte un
dirupo egli si appese ad una liana e iniziò a scendere mentre la tigre gli
soffiava sull’orlo del baratro. Si accorse, però, che una seconda tigre lo
attendeva, altrettanto famelica, al fondo. E un topolino si mise a rodere la
liana. Si guardò attorno. Un cespuglio di fragole selvatiche attrasse la sua
attenzione. Allungò la mano, ne colse una. Il suo sapore era dolcissimo…
Non
ricordo se ha origini in India o è una parabola dello Zen giapponese. Vi è
forse un’analogia con il cavalcare la tigre, da cui Julius Evola trasse il
titolo di uno dei suoi libri, fra i più inquietanti e forse distorti. Se non ti
è dato sottrarti alle fauci e artigli della tigre, prova a cavalcarla. Essa non
potrà lacerarti la carne e, forse, stanca del tuo peso, abbandonerà al sonno
ogni intento feroce e tu potrai sfuggirgli… Lasciare la presa, dunque, che ti
avvince alla prigione dei desideri e, di conseguenza, al dolore.
In
Occidente furono le scuole post-aristoteliche che invitarono a coltivare
l’assenza delle passioni. Del resto si narra come Pirrone, fondatore della
scuola scettica, avesse seguito Alessandro attraverso l’altopiano persiano e
giungesse fino in India. Qui egli aveva incontrato degli strani sapienti, che
dai greci vennero chiamati ‘gimno-sofisti’ (cultori del corpo, si potrebbe
tradurre). Uno di costoro, a dimostrazione di quanto inconsistente ed effimera
fosse l’esistenza, si diede fuoco davanti a lui.(La filosofia storpiò
prontamente lo scetticismo perché, reputandosi l’unica depositaria del sapere,
non poteva ammettere che, proprio all’interno di se medesima, vi fosse chi
affermasse a priori l’irraggiungibile pretesa di tutto conoscere spiegare
determinare… e che, semmai, il percorso poteva essere simile a quei sentieri
che, disperdendosi nel bosco, non sempre ci conducono alla radura e alla
luminosità oltre l’intrico d’alberi e foglie). Schopenhauer e Nietzsche
ripresero questi temi, separando la loro strada su quale dovesse essere il
comportamento dell’uomo di fronte al dolore – sottrarsi per il primo (il
Nirvana), correre incontro ad esso per il secondo (Amor fati). E definizione e
distinguo qui, ne convengo, alquanto minimali e valevoli per i cultori del
Bignami.
Nietzsche
parla espressamente di ‘prendere la distanza’ (una poesia della raccolta dal
titolo Inattuale, dicembre 1979, si conclude con il verso e con la
consapevolezza di aver conquistato l‘indifferenza per il superfluo’, un grazie
va all’esperienza del carcere dimostratasi il veleno che si volge in farmaco). Eppure
mi sembra che vi sia nell’invito del filosofo anche un aspetto legato alla
ricerca della corretta conoscenza. D’altronde gli stoici fondavano l’etica sulla
capacità di saper cogliere razionalmente le distinzioni di valore.
Prendere
la distanza equivale a collocarsi a distanza, contrariamente a chiedere la
misura
che
si necessita per la vicinanza. Altrimenti detto, se io sono prossimo a qualcuno
o qualcosa, ne colgo appieno ogni particolare anche il più minuto ogni
sfumatura ogni mutevolezza. E, dunque, mi sento appagato e, illuso, certo della
conoscenza acquisita. Un volto, il colore degli occhi, la forma del naso e
della bocca, ad esempio. Se, al contrario, mi colloco a distanza la fisionomia
si sfuma, il tratto si rende indefinito, incerte si fanno le proporzioni… Una
montagna appare una sorta di grigio triangolo piccolo e vago, quando però vi
sono sotto alzo il capo e mi sento oppresso dalla sua ombra imponente. Ciò che
è vicino è superiore a ciò che è lontano, nell’ambito della mente come per le
pulsioni del cuore? Errore!
Il
29 giugno sono stato invitato, più esattamente arruolato manu militari, ad un
convegno sulle prospettive prossime della situazione politica. Dovrei farne a
meno (oltre tutto nello stesso giorno sono al comune di Affile per riproporre
il recente convegno sul Maresciallo Rodolfo Graziani), io, che non leggo i
quotidiani da anni, vedo poco e poco volentieri i telegiornali ascolto la radio
in piena notte con notizie proposte in tre-quattro minuti e mi annoio. Sì,
francamente, mi annoio a sentire le dissertazioni intorno ai massimi sistemi
della politica nazionale e internazionale (che, ormai, sono fra loro
intimamente intrecciate), con i grandi e piccoli vecchi, le ombre di poteri
forti fortissimi e tentacolari, globalizzazione e mondialismo, di cui tutti
sanno parlano e straparlano con le misteriose sigle circoli entità (se sono i
dominatori occulti del mondo, quanto si rendono sfacciatamente visibili alla
nostra vigile coscienza… ma, già, dimenticavo che vi fu già un bambino a
puntare il dito verso il re nudo!).
Nella
solitudine più estrema, nella povertà evidente, nella follia prossima a farne
muto testimone di sé, Nietzsche si propose quale ideatore e annunciò l’avvento della
‘grande politica’…a distanza vengono meno i particolari, va da sé, ma si
possiede la visione ampia dello spazio e il suo collocarsi nel tempo, mentre
essere prossimi consente sì di cogliere l’attimo, il quale è sempre ‘fuggente’
(qui ed ora… volgo lo sguardo e quel qui non è più qui e già ora è il passato!),
una parte ma mai il tutto…
Ne
riparleremo, già, ne parlerò… intanto vi lascio, dopo avervi stancato con
funambolismi pseudo-filosofici, con Ernst Juenger che aveva il dono del
linguaggio adamantino: ‘Il proprio petto: qui sta, come un tempo nella Tebaide,
il centro… qui ognuno conduce da solo e in prima persona la sua lotta, e con la
sua vittoria il mondo cambia’… e avvertirà in sè il sapore dolcissimo della
fragola selvatica.
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