di Alain de Benoist (Diorama Letterario)
La fine del mondo c'è stata, eccome! Non è avvenuta in un giorni
preciso, ma si è spalmata su più decenni. Il mondo che è scomparso era
un mondo in cui la maggior parte dei bambini sapevano leggere e
scrivere. In cui si ammiravano gli eroi invece delle vittime. In cui gli
apparati politici non si erano ancora trasformati in macchine per
stritolare le anime. In cui si avevano a disposizione più modelli che
diritti. Era un mondo nel quale si poteva capire che cosa intendeva dire
Pascal quando sosteneva che il divertimento ci distrae dall'essere
veramente uomini. Era un mondo nel quale le frontiere garantivano a
coloro che vivevano al loro un interno un modo di essere e di vivere che
era di loro specifica pertinenza. Era un mondo che aveva anche i suoi
difetti e che talvolta è stato addirittura orribile, ma dove la vita
quotidiana del maggior numero di persone era quantomeno garantita da
dispositivi di senso capaci di dispensare punti di riferimento.
Attraverso i ricordi, quel mondo rimane familiare a molti. Taluni lo
rimpiangono. Ma non tornerà.
Il nuovo mondo è liquido. Al suo interno, lo spazio e il tempo sono
aboliti. Liberata dalle sue tradizionali mediazioni, la società è
diventata sempre più fluida e sempre più segmentata, il che ne facilita
la mercantilizzazione. Vi si vive secondo il modo dello zapping. Con la
scomparsa di fatto dei grandi progetti collettivi, in altre epoche
portatori di visioni del mondo differenti, la religione dell'io — un io
fondato sul desiderio narcisistico di libertà incondizionata, un io
produttore di sé a partire dal niente — è sfociata in una
"detradizionalizzazione" generalizzata, che va di pari passo con la
liquidazione dei punti di riferimento e dei punti fissi, rendendo
l'individuo più malleabile e più condizionabile, più precario e più
nomade. Da un mezzo secolo, l'«osmosi finanziaria della destra
finanziaria e della sinistra multiculturale», come ha scritto Mathieu
Bock-Coté, si è sforzata, con il pretesto della "modernizzazione"
emancipatrice, di far confluire liberalismo economico e liberalismo
societario, sistema di mercato e cultura marginale, grazie soprattutto
alla strumentalizzazione mercantile dell'ideologia del desiderio,
capitalizzando così sulla decomposizione delle forme sociali
tradizionali. L'obiettivo generale è eliminare le comunità di senso che
non funzionano secondo la logica del mercato. Parallelamente, sono
all'opera vere e proprie trasformazioni antropologiche. Toccano il
rapporto con se stessi, il rapporto con l'altro, il rapporto con il
corpo, il rapporto con la tecniche.
E domani giungeranno sino alla fusione programmatica fra l'elettronico e
il vivente. Quando il desiderio di profitto si impone come unica
motivazione a detrimento di tutte le altre, il suo effetto performativo è
di generalizzare lo spirito mercantile, che decompone la popolazione in
semplici clientele. In questo contesto, il "politicamente corretto" non
è una semplice moda un po' ridicola, ma un mezzo forte per trasformare
il pensiero, per restringere ulteriormente uno spazio comune generatore
di obbligazioni reciproche, per rendere impossibile la riabilitazione di
un universo di senso oggi scomparso.
Stiamo infine assistendo all'istituirsi della governane, una sorta di
cesarismo finanziario che consiste nel governare i popoli tenendoli in
disparte. Lo Stato terapeutico e gestionale, dispensatore di ingegneria
sociale e Grande Sorvegliante, si impegna, dal canto suo, a sopprimere
la barriera esistente tra l'ordine e il caos. Esso basa il proprio
potere sulla costituzione assolutamente volontaria di una situazione
subcaotica, sullo sfondo di una fuga in avanti e di una illimitatezza
generalizzate, creando in tal modo una situazione di guerra civile
fredda. Lo stesso concetto di classe sociale viene congedato da una
sociologia vittimistica che al suo posto colloca la denuncia
dell'"esclusione" e la "lotta contro le discriminazioni", e da una
"scienza" economica che guarda al concetto di popolo come ad una
categoria residuale, nel momento stesso in cui la lotta di classe è più
che mai in auge.
Sotto l'effetto delle politiche di "austerità", l'Europa sta scivolando
nella recessione, quando non nella depressione. La disoccupazione di
massa continua ad estendersi, lo smantellamento dei servizi pubblici
comporta la riduzione dei beni sociali e il potere d'acquisto crolla.
Un quarto della popolazione europea (120 milioni di persone) è sotto la
minaccia della povertà. In passato, si sono fatte rivoluzioni per meno
di questo. Oggi, non accade niente di simile. Delocalizzazioni,
licenziamenti e piani sociali provocano, certo, proteste — ma non
assistiamo a nessuno sciopero di solidarietà, e meno che mai a scioperi
generali: la lotta per il mantenimento del posto di lavoro non ha
prospettive al di là di se stessa. Perché la crisi viene subita così
passivamente? Perché i popoli sono sfiniti, sbalorditi, sgomenti? Perché
hanno interiorizzato l'idea che non esistano alternative? I popoli
vivono sotto l'orizzonte della fatalità. Attendono che questo accada. Ma
non accadrà, perché il capitalismo si scontra oggettivamente con limiti
storici assoluti.
Viviamo una crisi di un'ampiezza assolutamente inedita, che tocca il
sistema capitalista ad un livello di accumulazione e di produttività
ancora mai raggiunto. Le crisi del XIX secolo avevano potuto essere
superate perché la Forma-Capitale non si era ancora impadronita di tutta
la riproduzione sociale.
Quella del 1929 lo è stata grazie al fordismo, alla regolazione
keynesiana e alla guerra. La crisi attuale, che interviene sullo sfondo
della terza rivoluzione industriale, è una crisi strutturale,
contrassegnata dalla completa emancipazione della finanza di mercato
rispetto all'economia reale e dall'indebitamento generalizzato. Uno dei
suoi effetti diretti è consistito nell'affidare il potere politico ai
rappresentanti di Goldman Sachs e di Lehman Brothers. Ma nessuno di loro
risolverà il problema, perché non esiste un meccanismo che consenta di
aver ragione della crisi. Le bolle finanziarie, il credito di Stato e la
macchina che stampa banconote, vale a dire la creazione di
capitale-denaro fittizio, non possono più risolvere il problema della
desostanzializzazione generalizzata del Capitale. Sia che ci si diriga
verso un'inflazione incontrollabile in assenza di qualsiasi reale
valorizzazione — trattando l'attuale crisi di solvibilità come una crisi
di liquidità — sia che si vada verso un generalizzato default nei
pagamenti, tutto ciò non può che finire con un terremoto.
In un'epoca come la nostra, ci sono solo quattro tipi di uomini. Ci sono
coloro che, del tutto consapevolmente, vogliono che ci si infili sempre
più lontano nel caos e nella notte. Ci sono quelli che, volontariamente
o no, sono sempre pronti a subire. Ci sono i diplodochi reazionari, che
vivono la situazione attuale sul registro della deplorazione. Fra
geremiadi e commemorazioni, credono di poter far tornare il vecchio
ordine, ragion per cui non fanno altro che registrare sconfitte. Infine,
ci sono coloro che vogliono un nuovo inizio. Quelli che vivono nella
notte ma non sono della notte, poiché vogliono ritrovare la luce. Quelli
che sanno che al di sopra del reale c'è il possibile. A loro piace
citare George Orwell: «In un'epoca di universale disonestà, dire la
verità è un atto rivoluzionario».
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