Le ragioni per vivere e le ragioni per morire sono spesso le stesse.
Tale fu innegabilmente il caso di Dominique Venner che agì cercando di
conciliare profondamente la sua vita e la sua morte. Scelse di morire
nella maniera che, diceva, costituisse la via d’uscita più degna in
certe circostanze ed in particolare lì dove le parole risultano
impotenti nel descrivere ciò che si prova.
da barbadillo.it
* Stesso stile
per vivere e per morire. Traducendo il discorso che Alain de Benoist ha
pronunciato nella commemorazione parigina per Dominique
Venner,Barbadillo.it prosegue nella diffusione di cultura non
conformista e testimonia una via differente nel mondo delle idee: quella
degli “eroi dell’Iliade” che “non dispensano alcuna lezione morale,
forniscono esempi etici e l’etica non è certo dissociabile da
un’estetica”. Venner aveva scelto di vivere come un cavaliere che
“marcia e marcerà, continuerà sempre a marciare verso il suo destino,
verso il suo dovere, tra la morte e il diavolo”. (michele de feudis)
Il ricordo di Alain de Benoist
Dominique Venner è morto alla fine come aveva vissuto, nella stessa
volontà, nella stessa lucidità, e ciò che colpisce maggiormente tutti
coloro che l’hanno conosciuto è vedere fino a che punto tutta la sua
condotta di vita si pone in una linea sia chiara che diretta, una linea
perfettamente rettilinea, di un’estrema dirittura.
L’onore oltre la vita
Il gesto compiuto da Dominique Venner è evidentemente dettato dal senso
dell’onore, l’onore oltre la vita, e, anche gli stessi che per ragioni
personali o meno, rinnegano il suicidio, gli stessi che al contrario di
me non lo reputano degno, devono rispettare il suo gesto, poiché si deve
rispettare tutto ciò che è fatto per senso dell’onore.
Non vi parlerò di politica. Nel luglio 1967, Dominique Venner aveva
definitivamente rotto con tutti i tipi d’azione politica. Osservava, da
osservatore attento, la vita politica e faceva conoscere, ben inteso, il
suo sentimento. Ma credo che l’essenziale per lui fosse altrove, e
molte cose già dette lo mostrano tutt’oggi fortemente.
Al di sopra di tutto Dominique Venner poneva l’etica e questa prima
considerazione era già sua fin dai tempi in cui era un giovane
attivista. E’ rimasta sua, finché a poco a poco il giovane attivista si è
trasformato in storico, storico meditativo, come si definiva. Se
Dominique Venner s’interessava fortemente ai testi omerici che
riconosceva come testi fondatori della grande tradizione immemoriale
europea, riteneva che l’Iliade e l’Odissea fossero innanzitutto ( l’)
etica: gli eroi dell’Iliade non dispensano alcuna lezione morale,
forniscono esempi etici e l’etica non è certo dissociabile da
un’estetica.
E’ il bello che determina il bene
Dominique Venner non faceva parte di coloro che credono che il bene
determini il bello, era tra coloro che pensano che il bello determini il
bene; credeva nell’etica ed i giudizi che aveva sugli uomini non erano
in funzione delle loro opinioni o idee, ma in funzione della loro più o
meno grande qualità d’essere, in primis, di quella qualità umana per
eccellenza che riassumeva nel termine: compostezza.
La compostezza
La compostezza è un modo di essere, un modo di vivere e di morire. La
compostezza è uno stile di vita di cui aveva ben parlato ne “Il Cuore
ribelle”, il suo libro apparso nel 1994 e sicuramente anche in tutte le
sue opere, penso più in particolare al libro che aveva pubblicato nel
2009 sullo scrittore tedesco Ernst Junger; in questo libro Dominique
diceva molto chiaramente che, se Junger ci offriva, ci offre un grande
esempio, non è solo attraverso i suoi scritti ma anche perché
quest’uomo, che ha avuto una vita così lunga e che è morto a 103 anni,
non ha mai disatteso le esigenze della compostezza.
Dominique Venner era un uomo riservato, attento, esigente e prima di
tutto esigente con sé stesso; aveva interiorizzato in qualche modo tutte
le regole della compostezza: mai lasciarsi andare, mai esporsi, mai
mostrarsi, mai commiserarsi perché la compostezza richiama e si allinea
alla misura. Evidentemente, non appena si evoca tutto ciò, si rischia di
apparire agli occhi di molti come l’abitante di un altro pianeta.
Nell’epoca degli smartphones e dei Virgin Megastores, parlare di
obiettività, di nobiltà di spirito, di altezza dell’anima, di
compostezza, vuol dire utilizzare parole il cui senso stesso sfugge a
molti, ed è senza dubbio la ragione per cui i Beoti e Lillipuziani che
redigono quei bollettini parrocchiani del (ben-pensare), divenuti i
grandi e potenti media, oggi sono stati incapaci in larga parte di
comprendere il senso stesso del suo gesto che hanno cercato di spiegare
con considerazioni mediocri.
Una forma di protesta contro il suicidio dell’Europa
Dominique Venner non era né un estremista, né un nichilista, né
soprattutto un disperato. Le riflessioni sulla storia alle quali aveva
dato sfogo in un così lungo tempo, l’avevano portato, al contrario, a
sviluppare un certo ottimismo. Ciò che pensava della storia è che essa è
imprevedibile, che è sempre aperta, che fa gli uomini e che la volontà
degli uomini la fa ugualmente. Dominique Venner rifiutava il fato e
tutte le forme di disperazione.
Direi paradossalmente, poiché non lo si è sottolineato sufficientemente,
che il suo desiderio di morte era una forma di protesta contro il
suicidio, un modo per protestare contro il suicidio dell’Europa al quale
egli assisteva da tempo.
Un samurai d’Occidente
Dominique Venner non era più un nostalgico, ma era un vero storico che
s’interessava, di certo, al passato in vista del futuro; non faceva
dello studio del passato una consolazione o un rifugio; riteneva
semplicemente che i popoli che dimenticano il proprio passato, che
perdono la coscienza stessa del proprio passato, si privano con essa di
un avvenire. L’uno non sussiste senza l’altro: il passato e il futuro
sono due dimensioni dell’attimo presente ma non importa quali: delle
dimensioni del profondo. Di conseguenza a Dominique Venner giungeva alla
mente una serie di immagini e ricordi. Aveva il ricordo di eroi e di
Dei omerici; aveva il ricordo dei vecchi Romani, di coloro che l’hanno
preceduto sulla via della morte volontaria: Catone, Seneca, Regolo e
tanti altri. Aveva in memoria gli scritti di Plutarco e le storie di
Tacito. Aveva in testa il ricordo dello scrittore giapponese Yukio
Mishima, la cui morte per molti aspetti somiglia profondamente alla sua e
non è certamente un caso che il libro che avrebbe pubblicato, che
sarebbe apparso di lì a qualche settimana e che sarà pubblicato da
Pierre-Guillaume de Roux s’intitoli “Un samurai d’Occidente”: un samurai
d’Occidente! Nelle immagini di copertina di questo libro, si scorge una
figura, un’incisione: “Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo”, di Dürer.
Dominique Venner ha scelto questa incisione volutamente. E’ a questo
personaggio del cavaliere che Jean Cau, da un po’ di tempo, aveva
consacrato un libro ammirevole che portava peraltro questo titolo: “Il
Cavaliere, la Morte e il Diavolo”. In una delle sue ultime cronache,
redatte qualche giorno prima di morire, Dominique Venner ha scritto
precisamente un testo in omaggio a questo cavaliere che, lui dice,
marcia e marcerà, continuerà sempre a marciare verso il suo destino,
verso il suo dovere, tra la morte e il diavolo.
Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo: inciso da Dürer nel 1513
Ecco cosa volevo dirvi in ricordo di Domique Venner che ora è partito in
una grande caccia selvaggia, in un paradiso dove si vedono volare le
oche selvagge. Lo conoscevo da cinquant’anni e coloro che l’hanno
conosciuto dicono senza alcun dubbio che hanno perso un amico; credo che
abbiano torto, credo che debbano sapere che dal 21 maggio 2013 alle ore
14:42 Lui sarà ormai necessariamente sempre là. Sempre là accanto ai
cuori ribelli e spiriti liberi paragonati da sempre all’eterna
coalizione dei Tartuffe, Trissotin e Torquemada.
(traduzione per Barbadillo.it di D.D.M.)
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