di Giacinto Reale (ereticamente.net)
La nascita del fascismo data al 23 marzo 1919, giorno in cui l’assemblea
di un centinaio di lettori del Popolo d’Italia, riunita nei locali
concessi (come da prassi normale) dal Circolo degli interessi
industriali e commerciali, in piazza San Sepolcro, a Milano, in una
“congiura di santi pazzi” delibera la costituzione dei Fasci di
combattimento. In effetti, ciò che sicuramente accomuna tutti i
presenti, aldilà delle diversità di orientamento e provenienza che
esistono fra loro, ciò che crea per tutti un minimo comune denominatore,
è soprattutto l’adesione alle tesi ed alla campagna politica del
quotidiano mussoliniano.
Il ruolo del Popolo d’Italia in questi mesi è rilevantissimo e
molteplice: indica una linea politica, suggerisce obiettivi da
raggiungere, coordina sforzi organizzativi, fa da portavoce propagatore
di istanze diverse e non sempre coerenti fra di loro. Funge anche da
“centro di assistenza” per smobilitati e reduci che in continuazione, e
non sempre con discrezione, vengono a battere cassa al “loro” giornale
che “deve” aiutarli; dieci lire di sussidio non si negano a nessuno,
anche se Arnaldo Mussolini, che è l’amministratore del giornale,
borbotta per le conseguenze disastrose di quella prodigalità
indiscriminata sulle già lacunose risorse economiche di cui dispone.
E’ proprio il Popolo d’Italia che il 2 marzo ha dato l’annuncio della
prossima riunione: “I corrispondenti, collaboratori, lettori, seguaci
del Popolo d’Italia, combattenti, ex combattenti, cittadini e
rappresentanti dei Fasci della “Nuova Italia” e del resto della Nazione,
sono invitati ad intervenire all’adunanza privata, che sarà tenuta a
Milano il prossimo 23 marzo. Gli amici che interverranno personalmente o
in rappresentanza di gruppi sono pregati di avvertire senza indugio. Si
terrà conto anche delle adesioni mandate per lettera. L’adunata sarà
importantissima.” La riunione è preceduta dalla costituzione, il 21 del
Fascio milanese, e, in pratica, si inserisce tra le molte iniziative che
agitano l’ambiente interventista ed antisocialista del capoluogo
lombardo e ne fanno un punto di riferimento obbligato per tutta
l’Italia.
Mussolini, per esempio, il 20 marzo è stato chiamato a Dalmine, tra gli
operai che hanno occupato con il tricolore lo stabilimento Franchi e
Gregorini e si sono impegnati nell’originalissimo “sciopero produttivo”,
proseguendo, cioè nel lavoro: viene accolto da un operaio che indossa
ancora “la completa tenuta da soldato, salvo le stellette”, e loda
l’iniziativa con accenti inequivocabili: “Voi vi siete messi sul terreno
della classe, ma non avete dimenticato la Nazione. Avete parlato di
popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di
metallurgici.…Voi insegnate a certi industriali, a quelli specialmente
che ignorano tutto ciò che in questi ultimi quattro anni è avvenuto nel
mondo, che la figura del vecchio industriale esoso e vampiro deve
sostituirsi con quella del capitano della sua industria, da cui può
chiedere il necessario per sé, non già per imporre la miseria per gli
altri creatori della ricchezza… Per i vostri diritti, che sono equi e
sacrosanti, sono con voi. Distinguerò sempre la massa che lavora dal
Partito che si arroga, non si sa perché, il diritto di volerla
rappresentare.”
In previsione della riunione, il Popolo d’Italia pubblica, spesso però
con i tagli imposti dall’occhiuta censura governativa, messaggi di
simpatizzanti che, impossibilitati ad intervenire di persona, inviano
telegrammi di solidarietà, personali ed a nome di varie associazioni, in
genere però di scarsa consistenza numerica. Alcune adesioni sono
“politiche”, provengono cioè da elementi già interessati da precedenti
esperienze di politica attiva, ma molte sono quelle di uomini e gruppi
fino allora estranei alla politica vera e propria, come alcuni Ufficiali
e soldati del 14^ Reggimento fanteria, che scrivono da Foggia:
“Impossibilitati presenziare all’adunata, mandiamo la nostra adesione.
Abbiamo fatto l’Italia, ne vogliamo ora le redini.” Simile il contributo
di tale Leone Lombardi, di Montevarchi: “…Sono un umile fante
volontario di guerra. Ho creduto sempre e credo anche adesso che i
grigioverde debbano imporsi ai rossi e ai neri. Siamo la parte migliore
del Paese perché abbiamo adempiuto a doveri grandissimi; così ci si
devono riconoscere diritti corrispondenti. Spero che l’adunata del 23
alla quale aderisco sia la prima squilla in tal senso.”
Il giornale mussoliniano, dal canto suo, alimenta con indubbia efficacia
l’aspettativa per l’avvenimento: parla di nascita dell’ “antipartito”
che si contrapporrà contemporaneamente a due pericoli “quello misoneista
di destra e quello distruttivo di sinistra”, chiama a raccolta tutti i
protagonisti delle battaglie interventiste, per la formazione di un
blocco unico che si contrapponga al nemico interno ed eviti il
sabotaggio della pace, che può venire da due parti, dall’imbecillità
governativa come dall’incoscienza tesserata.
Contro tutto questo nascono i Fasci di combattimento, nella sintesi
mussoliniana: “Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e
democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari,
legalisti ed illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo
di ambiente nelle quali siamo costretti a vivere ed agire.” Alla fine,
le adesioni saranno 430: 400 quelle individuali e 30 le collettive; in
effetti, la domenica mattina, nei locali al primo piano del numero 9 di
piazza San Sepolcro, i presenti sono circa un centinaio. E diciamo
circa, perchè sul numero esatto le informazioni sono assai discordi:
l’elenco fornito dal Chiurco è di 112 nominativi; ma, contro la sua
completezza sta, per esempio, la testimonianza di Ernesto Daquanno che
pure è presente (e ci sarà fino a Dongo) e non sarà incluso nell’elenco:
“Mentre gli oratori parlano, il Tenente degli Arditi Renato Barabandi
ha circolato tra gli intervenuti raccogliendone nomi e attributi….Mi
chiede cosa rappresento “Non rappresento nessuno” – dico – “Allora non
ti ci metto” – fa lui – “E tu non mi ci mettere” – replico alzando le
spalle – Così il mio nome non passa nel resoconto pubblicato
all’indomani sul Popolo d’Italia ….Ma io c’ero, ah se c’ero” Cesare
Rossi conferma il dato dell’approssimatività, e si attribuisce la
responsabilità dell’arbitraria inclusione nell’elenco del Senatore Luigi
Mangiagalli, illustre ostetrico di provenienza democratico-radicale; in
effetti, costui, che non si sognerà mai di smentire la sua
partecipazione, è assente, e solo la somiglianza con uno sconosciuto
affacciatosi per caso alla sala durante la riunione ne farà un
“sansepolcrista”.
Si deve pensare, quindi, che l’elenco dei presenti, da passare al
giornale il giorno dopo, sia stato compilato in maniera un po’
superficiale, come spesso accade in queste occasioni; da una scorsa a
tali nomi si nota subito come manchino nell’elenco la gran parte di
quelli che poi saranno, nel periodo successivo, i maggiori esponenti del
movimento e vi siano, viceversa, alcuni che nel quadriennio successivo
si staccheranno dal fascismo per dissapori ideologici, motivi personali o
per varie altre cause di incompatibilità. Molti infine sono e saranno
degli sconosciuti che, nei mesi a venire, passato l’entusiasmo del
primissimo dopoguerra, si defileranno, sottratti all’impegno politico
dai mille problemi della sopravvivenza quotidiana.
Se si guarda alla composizione sociale ed alla provenienza ideologica
dei sansepolcristi, ritroviamo le categorie e i gruppi già visti:
futuristi, Arditi, sindacalisti rivoluzionari, interventisti,
trinceristi e combattenti. Della riunione sappiamo quasi tutto, dal
resoconto che ne fa il giorno dopo il Popolo d’Italia e dal racconto che
ne faranno, negli anni successivi, i maggiori protagonisti.
Tutto si svolge tranquillamente, nonostante alcune larvate minacce
socialiste, che giustificano la presenza di alcuni gruppi di Arditi,
guidati da Edmondo Mazzuccato, di guardia sullo scalone ed ai lati
dell’ingresso del palazzo: sono gli stessi Arditi che qualche settimana
prima, nel dare notizia alla stampa della costituzione della Sezione
milanese della loro Associazione hanno fatto seguire al nome il proprio
indirizzo di casa (spesso situata in quartieri popolari “a rischio”), in
segno di sfida agli avversari. Presiede Ferruccio Vecchi (che alla
riunione dedicherà anche la scultura sopra riprodotta), a riprova della
preminenza “morale”, se non numerica degli Arditi, e vi sono vari
interventi: Marinetti, Vecchi, Carli, Michele Bianchi e molti altri;
l’intervento più importante, come ovvio, è quello di Mussolini, che
propone una dichiarazione in tre punti, approvata dall’assemblea.
Al primo punto c’è il saluto ai caduti, ai combattenti, ai mutilati e la
riaffermazione della disponibilità a sostenere le rivendicazioni dei
reduci; al secondo è inserita un’allocuzione contro ogni imperialismo,
per la Società delle Nazioni e per le rivendicazioni italiane su Fiume e
la Dalmazia; al terzo punto si impegna il neonato movimento a sabotare
le candidature neutraliste in tutti i Partiti alle elezioni. Dopo un
aggiornamento dei lavori per il pranzo, la riunione continua al
pomeriggio, a ranghi più ristretti; se la sono squagliata “gli uomini
d’ordine, i borghesi, i posapiano, i galantuomini per definizione e i
patriottardi per partito preso”. Mussolini interviene di nuovo e
ribadisce i concetti già espressi a Dalmine, per il sindacalismo
nazionale e contro l’ingerenza dello Stato in economia; poi si spinge
più oltre, e si pronuncia per l’abolizione del Senato, per il suffragio
universale esteso anche alle donne e, soprattutto, per la scelta
repubblicana e democratica: “Dalle nuove elezioni uscirà un’Assemblea
nazionale alla quale noi chiederemo che decida sulla forma di governo
dello Stato italiano. Essa dirà: repubblica o monarchia, e noi che siamo
stati sempre tendenzialmente repubblicani, diciamo fin da questo
momento: repubblica !....Noi siamo decisamente contro tutte le forme di
dittatura, da quella della sciabola a quella del tricorno, da quella del
denaro a quella del numero; noi conosciamo soltanto la dittatura della
volontà e dell’intelligenza.”
Il generale consenso dell’assemblea, trascinata anche dalle grandi
capacità oratorie del direttore del Popolo d’Italia, accompagna queste
parole e sancisce la fine della riunione, al termine della quale viene
anche nominato un Comitato centrale, di cui però si ignora la
composizione esatta, anche se certamente ne dovevano fare parte
Mussolini, Vecchi, Marinetti, e Bianchi. L’impegno più importante è,
come logico, quello per lo sviluppo del movimento ed il proselitismo: il
Popolo d’Italia scrive il giorno 24, nel dare il resoconto della
riunione: “Ogni amico e lettore nostro deve farsi iniziatore del Fascio.
Non importa di essere in molti. Oserei dire che è preferibile, se non
necessario, essere in pochi. Cinque, dieci individui bastano per
costituire un Fascio: ora che la strada è segnata, si tratta di
camminare audacemente innanzi. Fra due mesi, un migliaio di Fasci
saranno sorti in tutta Italia.”
E, in effetti, vengono ben presto costituiti i primi Fasci: Torino,
Verona, Bergamo, Treviso, Padova, l’appello mussoliniano trova adesioni e
simpatie; proprio sul tema dell’organizzazione dei Fasci tornerà,
perciò, il giornale qualche giorno dopo: “Non c’è bisogno di ripetere
che la loro vita interna è assolutamente autonoma. Statuti, regolamenti,
etc…Tutto ciò è roba di Partiti. Ogni Fascio munirà i suoi soci di una
tessera per il riconoscimento personale e farà un regolamento con un
solo articolo: il socio che manca tre volte consecutive all’adunata è
automaticamente dimesso.”
Come si vede, il fascismo tende da subito differenziarsi dalle
organizzazioni esistenti: ha intuito, forse più che consapevolmente
individuato, nella mastodonticità del Partito socialista uno dei motivi
della sua burocratizzazione e della sua stessa impotenza; tende, di
conseguenza, a darsi un’organizzazione forse un pò elitaria, ma solida,
di gente seriamente e costantemente impegnata, pena il dimissionamento
automatico. Quella di preferire la qualità alla quantità è una scelta
programmatica, ma è spesso anche un’opzione necessaria; ancora nel
gennaio del ’20, a Pasella che gli rinnova le consuete raccomandazioni,
lo studente pisano Paolo Isola, iniziatore del Fascio nella sua città,
risponde con un po’ di malinconia: “date le condizioni di ambiente, sarà
purtroppo necessario curare più la qualità della quantità”.
Per ora, comunque, le cose procedono bene: Fasci destinati a diventare
molto importanti nascono a Bologna, Napoli, Brescia, Cremona e Firenze;
ciò, nonostante che la riunione del 23 marzo sia stata praticamente
ignorata da tutta la stampa liberale e democratica; gli unici ad
accorgersi di quella che forse voleva essere una “dichiarazione di
guerra” al vecchio mondo, sono i nazionalisti dell’ Idea Nazionale,
diretta da Luigi Federzoni. Il 25 su questo giornale viene infatti
pubblicato un articolo di Orazio Pedrazzi riferito alla riunione; il
tono generale è comunque di critica per le caratteristiche “di sinistra”
del nuovo movimento, che non possono essere evidentemente condivise dai
conservatori nazionalisti.
Si può quindi dire che la riunione di piazza San Sepolcro si colloca tra
due avvenimenti di ben maggiore rilevanza, sia per le immediate
conseguenze politiche e organizzative che determinano, sia per la
risonanza che hanno sulla stampa e nel Paese. Del primo di tali
avvenimenti, la contestazione a Bissolati, si è già detto, il secondo è
la distruzione dell’Avanti, il giornale “sovversivissimo”, il 15 aprile a
Milano.
Nessun commento:
Posta un commento