sabato 24 agosto 2013

Ettore Muti e la tragica fine di un eroe dell’aviazione italiana...




 di Renato de Robertis (Barbadillo.it)
24 agosto 1943. La bufera  aveva avuto inizio. La guerra  e il paese erano un’unica realtà.  La  tragedia trascinava tutti.  Nessuno poteva essere risparmiato. E principalmente  la storia non risparmiava gli uomini-  simbolo;  quelli che avevano offerto il loro coraggio  alla  causa della nazione, una causa pur  sbagliata,  ma  la loro  causa.
Se le guerre  furono false,  le vicende degli uomini furono  un’altra cosa, perché vissute con l’innocenza tragica di chi pensò  di fare il proprio dovere,  di chi aveva questo nome, oggi dimenticato,  Ettore Muti.
Nell’ agosto del 1943, il colonnello Muti, un soldato italiano, fu ammazzato. Resta un enigma di quegli anni tremendi.  Chi comandò  quella fine? Fu un vero  incidente? O fu un’esecuzione badogliana?  Ma  un  ‘pizzino’ ambiguo di Badoglio  voleva  proprio questo esito doloroso.
E’ un  passato lontano. Ora  da ricordare. Per fissare, in un attimo, i doveri  appassionati e dolorosi   degli italiani di  quel tempo.
Ettore Muti era un soldato. Un audace pilota italiano. Sul suo petto luccicava  il medagliere più prestigioso dell’aviazione nazionale. Tante le dimostrazioni della sua storia: Ordine militare Savoia, dieci medaglie d’argento, quattro di bronzo, cinque croci di guerra,  due croci di guerra tedesche,  e due medaglie d’oro.
Quella guerra era pazzesca. Ma lui l’affrontò. Con lo spirito, da lui  già  provato, del  legionario fiumano.  Con il sorriso  italiano strafottente  che voleva dire:  E adesso vi faccio vedere io!
Ettore Muti, una vittima. Perché rappresentava un’ Italia fatta male  ma in cui lui  aveva  creduto.  Perché non avrebbe compreso  l’ armistizio del 8 settembre 1943 per il quale atto si abbandonavano i soldati, le armi e le bandiere. Perché non avrebbe concepito  un sovrano che scappa e non difende la sua capitale.
Quella un’ Italia triste e ingenua. Che, tuttavia, era  la madre di uomini come  Muti stanchi di bombardare – e  ciò  Ettore lo scrisse in una lettera -, uomini  stanchi della corruzione dei gerarchi; ecco che lo vollero segretario del  Pnf   per presentar così un volto italiano pulito e  coraggioso.
Se i fascisti repubblicani non gli avessero dedicato un reparto, forse oggi avremmo qualche caserma dedicata a lui.  Forse avremmo qualche ricordo in più  di un aviatore valoroso, di un uomo  assassinato perché era diventato un simbolo nazionale.
Caduto Mussolini, in un pomeriggio d’estate, Roma era nel caos. I simboli del fascismo venivano distrutti. E una macchina fu bloccata.  Dentro c’era  Ettore Muti che  in quel momento pensò di  essere linciato  da quella folla che gioiva per la caduta del  fascismo. Ma  nessuno pestò il colonnello Muti. In molti lo abbracciarono.  E lo lasciarono passare.
I simboli vanno distrutti.  Non devono essere mica processati… E lo sapeva bene  il bieco antifascismo  badogliano.  Ettore Muti  non poteva mai essere  processato. Lui era solo un soldato leale. Solo un soldato che aveva risposto alla chiamata.
Il suo assassinio oggi dice molto. In lui si colpiva un uomo senza una diretta responsabilità. Si colpiva chi si era solamente schierato nel marasma terribile della storia. Il suo assassinio dice  l’inizio della guerra civile.  Iniziava la guerra fratricida; iniziava quella guerra che non guardava  negli occhi puliti di alcuni soldati;  e  iniziava  con un colpo di  mitra  badogliano  nel mese di agosto del 1943

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