di Luciano Garibaldi (Secolo d'Italia)
Una storia tutta da
scoprire, quella della Sardegna negli anni caldi della guerra civile
1943-45. Lo ha fatto – e continua a farlo con successo – Angelo Abis,
storico di vaglia che, dopo il libro, uscito alcuni anni fa, L’ultima
frontiera dell’onore. I sardi a Salò, ha ora dato alle stampe Il
fascismo clandestino e l’epurazione in Sardegna 1943-46 per i tipi di
Gia Editore (200 pagine, 18 euro). Ma perché una storia tutta da
scoprire? Per il ruolo che la splendida isola ricoprì in quel biennio in
cui si concluse la Seconda guerra mondiale: curioso ruolo che la volle
estranea, per sua fortuna, al conflitto fratricida che insanguinò il
Nord Italia e parte del Centro, ma luogo d’origine di straordinari
personaggi che furono tra i principali protagonisti della Repubblica
Sociale Italiana.
«Colpisce infatti –
come scrive Giuseppe Parlato nella prefazione al libro di Abis – l’alto
numero di sardi coinvolti nella guerra civile da parte fascista:
militari, intellettuali, organizzatori sindacali che scelsero di
combattere per Mussolini. Le motivazioni però furono differenti». Basti
pensare a nomi come Ugo Manunta, uno dei fautori della socializzazione
nella Rsi, Cipriano Efisio Oppo, massimo esponente dell’Accademia
d’Italia a Salò, Stanis Ruinas, che dopo la Rsi tenterà di costruire un
ponto tra fascisti e comunisti.
Tra i sardi le cui
vicende Abis ricostruisce nel suo libro, due soprattutto colpiscono:
Francesco Maria Barracu e Pasca Piredda, la bellissima capo ufficio
stampa della Decima Mas di Junio Valerio Borghese. Barracu,
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (quindi, in pratica,
numero due dopo Mussolini) era nato a Santulussurgiu nel 1885. Valoroso
militare fin dai tempi della guerra di Libia, nel ’37, in Etiopia, viene
gravemente ferito in combattimento, perde un occhio e ottiene la
medaglia d’oro al valor militare. Dopo il 25 luglio e l’arresto di
Mussolini ordinato da re Vittorio Emanuele III, organizza, in unione
d’intenti con gli ex segretari del Pnf Carlo Sforza ed Ettore Muti e con
il principe Valerio Pignatelli, un piano per la liberazione del Duce.
Ma il piano fallisce a seguito dell’assassinio di Ettore Muti, voluto e
ordinato dal nuovo capo del governo Pietro Badoglio.
Alla fondazione
della Rsi è lo stesso Mussolini che lo vuole al suo fianco affidandogli
la vicepresidenza del Consiglio. Contrariamente alle apparenze, Barracu
non è un fascista intransigente e oltranzista. Anzi, milita nell’ampio
schieramento di coloro che si battono per la libertà di stampa e per il
pluralismo politico. Tra questi, la medaglia d’oro e cieco di guerra
Carlo Borsani, e l’ex comandante del battaglione «Giovani fascisti»
Fulvio Balisti. Non per nulla, tra gli intransigenti che fanno capo a
Pavolini si parla apertamente di «congiura delle tre B». Nessuno
riconoscerà a Barracu i suoi meriti. Catturato a Dongo, verrà schierato
sul lungolago e invano, rivendicando la sua medaglia d’oro, chiederà di
essere fucilato al petto. Morirà gridando: «Viva il socialismo!».
E veniamo a Pasca
Piredda, scomparsa quattro anni or sono. Era non soltanto una donna che
aveva fatto la storia, ma anche una autentica e validissima scrittrice
di storia, come dimostra il suo libro «L’Ufficio Stampa e Propaganda
della X Flottiglia Mas», pubblicato nel 2003 dalla Casa editrice Lo
Scarabeo di Bologna. Leggendo il suo libro, tutti capirono finalmente
che cosa fu la Decima del principe Junio Valerio Borghese, quei 30 mila
marò che combatterono contro tutti: contro gli Alleati, contro i
tedeschi, contro i comunisti di Tito. Tutti capirono che era esistita,
che poteva esistere (che potrebbe sempre esistere) un’altra Italia.
Pasca Piredda era
di Nuoro. Sua madre era cugina di Grazia Deledda. Aveva uno zio
procuratore generale a Genova, mentre Sebastiano Satta, poeta,
scrittore nonché antifascista, era di casa dai Piredda. L’ambiente,
dunque, era tutt’altro che fascista e i suoi stessi famigliari erano
vicini ai capi del Partito Sardo d’Azione, Emilio Lussu e Berlinguer
padre. Ma Pasca, testa dura, era fascista. Si laureò appena ventiduenne
in Scienze coloniali e in Scienze politiche, vinse un concorso e andò a
Roma a tenere lezioni di mistica fascista. Conobbe Fernando Mezzasoma
che, nominato ministro della Cultura Popolare a Salò, la chiamò come sua
segretaria particolare. E qui avvenne la grande svolta della sua vita.
Due marò della
Decima (tra cui la medaglia d’oro Mario Arillo), stufi farsi dire no da
Mezzasoma, che rifiutava di mandare in onda alla radio i loro comunicati
di propaganda, la «rapirono» e la portarono in macchina a La Spezia,
dove il principe Borghese si era asserragliato dopo avere rifiutato sia
di salpare per consegnare la sua flotta di Mas e altri mezzi navali agli
Alleati, sia di arrendersi ai tedeschi, con i quali, invece, aveva
stipulato un singolare patto di alleanza: da pari a pari. Il che aveva
entusiasmato la gioventù di mezza Italia che faceva a pugni per
arruolarsi volontaria nella Decima. Che significava: né serva degli
americani, né serva dei tedeschi.
Pasca entrò subito
nel ruolo. Borghese non era fascista, meno che mai filonazista. Gli
intransigenti della RSI lo guardavano storto. E Pasca teneva loro testa
con i suoi articoli sul dirompente giornale della Decima, «La Cambusa»,
da lei fondato e diretto con pochi ma validissimi collaboratori tra cui
Ugo Franzolin. Giornale davvero libero e anticonformista, così come lo
erano le migliaia di manifesti di propaganda che l’ufficio diretto da
Pasca diffondeva a getto continuo, con i bellissimi disegni di
Boccasile.
Pasca Piredda,
inquadrata nella Decima come sottotenente di vascello, non si limitava a
sfornare articoli e manifesti. Partecipava attivamente alle azioni sul
territorio: viaggi verso la Venezia Giulia (dove Borghese, in pieno
accordo con i partigiani monarchici della «Osoppo» e con gli agenti del
Sud, organizzava la resistenza contro il 9° Corpus di Tito), scontri a
fuoco, incontri con gli agenti segreti di De Courten. Per causa di un
incidente d’auto, rimase gravemente ferita e restò in coma per tre
giorni. Catturata dai partigiani dopo il 25 aprile nel suo ufficio di
piazza Fiume a Milano, fu strappata al plotone d’esecuzione per
l’intervento del «capitano Neri», l’uomo che aveva avuto un ruolo
determinante nella fine di Mussolini. «Neri» (al secolo Luigi Canali)
era infatti il capo di Stato Maggiore della 52.a Brigata «Garibaldi»,
che aveva catturato Mussolini e i ministri di Salò, con il loro seguito,
sulla strada del lago di Como, in prossimità di Dongo. Lo stesso «Neri»
aveva deciso di ospitare il Duce e Claretta Petacci nella casa dei
contadini De Maria, a Bonzanigo, nei pressi di Menaggio. Dopodiché aveva
avvertito i «servizi» inglesi, per consentire loro di catturare
Mussolini precedendo così gli americani, con i quali erano in
concorrenza. Ma nessuno poteva sapere che gli agenti britannici avevano
un ordine segreto e terribile: far tacere per sempre Mussolini, che
avrebbe potuto – se catturato dagli americani – svelare gli accordi
segreti intercorsi tra lui e Churchill per spingere Hitler a cessare la
resistenza in Occidente onde rivolgersi tutti contro il pericolo in
avanzata da Oriente, cioè l’Armata Rossa. Per questo Mussolini (e
Claretta, che sapeva tutto) furono uccisi la mattina del 28 aprile 1945.
E per questo sarà soppresso anche «Neri», a titolo di punizione, per
ordine del Pci. Quanto a Pasca, diventata nel frattempo mamma, nonna e
bisnonna, non cambiò mai idea. Della Decima ieri, della Decima sempre.
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