martedì 13 agosto 2013

Una pagina di storia: il fascismo clandestino e i sardi a Salò...

di Luciano Garibaldi (Secolo d'Italia)


Una storia tutta da scoprire, quella della Sardegna negli anni caldi della guerra civile 1943-45. Lo ha fatto – e continua a farlo con successo – Angelo Abis, storico di vaglia che, dopo il libro, uscito alcuni anni fa, L’ultima frontiera dell’onore. I sardi a Salò, ha ora dato alle stampe Il fascismo clandestino e l’epurazione in Sardegna 1943-46 per i tipi di Gia Editore (200 pagine, 18 euro). Ma perché una storia tutta da scoprire? Per il ruolo che la splendida isola ricoprì in quel biennio in cui si concluse la Seconda guerra mondiale: curioso ruolo che la volle estranea, per sua fortuna, al conflitto fratricida che insanguinò il Nord Italia e parte del Centro, ma luogo d’origine di straordinari personaggi che furono tra i principali protagonisti della Repubblica Sociale Italiana.


«Colpisce infatti – come scrive Giuseppe Parlato nella prefazione al libro di Abis – l’alto numero di sardi coinvolti nella guerra civile da parte fascista: militari, intellettuali, organizzatori sindacali che scelsero di combattere per Mussolini. Le motivazioni però furono differenti». Basti pensare a nomi come Ugo Manunta, uno dei fautori della socializzazione nella Rsi, Cipriano Efisio Oppo, massimo esponente dell’Accademia d’Italia a Salò, Stanis Ruinas, che dopo la Rsi tenterà di costruire un ponto tra fascisti e comunisti.


Tra i sardi le cui vicende Abis ricostruisce nel suo libro, due soprattutto colpiscono: Francesco Maria Barracu e Pasca Piredda, la bellissima capo ufficio stampa della Decima Mas di Junio Valerio Borghese. Barracu, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (quindi, in pratica, numero due dopo Mussolini) era nato a Santulussurgiu nel 1885. Valoroso militare fin dai tempi della guerra di Libia, nel ’37, in Etiopia, viene gravemente ferito in combattimento, perde un occhio e ottiene la medaglia d’oro al valor militare. Dopo il 25 luglio e l’arresto di Mussolini ordinato da re Vittorio Emanuele III, organizza, in unione d’intenti con gli ex segretari del Pnf Carlo Sforza ed Ettore Muti e con il principe Valerio Pignatelli, un piano per la liberazione del Duce. Ma il piano fallisce a seguito dell’assassinio di Ettore Muti, voluto e ordinato dal nuovo capo del governo Pietro Badoglio.


Alla fondazione della Rsi è lo stesso Mussolini che lo vuole al suo fianco affidandogli la vicepresidenza del Consiglio. Contrariamente alle apparenze, Barracu non è un fascista intransigente e oltranzista. Anzi, milita nell’ampio schieramento di coloro che si battono per la libertà di stampa e per il pluralismo politico. Tra questi, la medaglia d’oro e cieco di guerra Carlo Borsani, e l’ex comandante del battaglione «Giovani fascisti» Fulvio Balisti. Non per nulla, tra gli intransigenti che fanno capo a Pavolini si parla apertamente di «congiura delle tre B». Nessuno riconoscerà a Barracu i suoi meriti. Catturato a Dongo, verrà schierato sul lungolago e invano, rivendicando la sua medaglia d’oro, chiederà di essere fucilato al petto. Morirà gridando: «Viva il socialismo!».


E veniamo a Pasca Piredda, scomparsa quattro anni or sono. Era non soltanto una donna che aveva fatto la storia, ma anche una autentica e validissima scrittrice di storia, come dimostra il suo libro «L’Ufficio Stampa e Propaganda della X Flottiglia Mas», pubblicato nel 2003 dalla Casa editrice Lo Scarabeo di Bologna. Leggendo il suo libro, tutti capirono finalmente che cosa fu la Decima del principe Junio Valerio Borghese, quei 30 mila marò che combatterono contro tutti: contro gli Alleati, contro i tedeschi, contro i comunisti di Tito. Tutti capirono che era esistita, che poteva esistere (che potrebbe sempre esistere) un’altra Italia.


Pasca Piredda era di Nuoro. Sua madre era cugina di Grazia Deledda. Aveva uno zio procuratore generale a Genova, mentre Sebastiano Satta, poeta, scrittore nonché antifascista, era di casa dai Piredda. L’ambiente, dunque, era tutt’altro che fascista e i suoi stessi famigliari erano vicini ai capi del Partito Sardo d’Azione, Emilio Lussu e Berlinguer padre. Ma Pasca, testa dura, era fascista. Si laureò appena ventiduenne in Scienze coloniali e in Scienze politiche, vinse un concorso e andò a Roma a tenere lezioni di mistica fascista. Conobbe Fernando Mezzasoma che, nominato ministro della Cultura Popolare a Salò, la chiamò come sua segretaria particolare. E qui avvenne la grande svolta della sua vita.


Due marò della Decima (tra cui la medaglia d’oro Mario Arillo), stufi farsi dire no da Mezzasoma, che rifiutava di mandare in onda alla radio i loro comunicati di propaganda, la «rapirono» e la portarono in macchina a La Spezia, dove il principe Borghese si era asserragliato dopo avere rifiutato sia di salpare per consegnare la sua flotta di Mas e altri mezzi navali agli Alleati, sia di arrendersi ai tedeschi, con i quali, invece, aveva stipulato un singolare patto di alleanza: da pari a pari. Il che aveva entusiasmato la gioventù di mezza Italia che faceva a pugni per arruolarsi volontaria nella Decima. Che significava: né serva degli americani, né serva dei tedeschi.


Pasca entrò subito nel ruolo. Borghese non era fascista, meno che mai filonazista. Gli intransigenti della RSI lo guardavano storto. E Pasca teneva loro testa con i suoi articoli sul dirompente giornale della Decima, «La Cambusa», da lei fondato e diretto con pochi ma validissimi collaboratori tra cui Ugo Franzolin. Giornale davvero libero e anticonformista, così come lo erano le migliaia di manifesti di propaganda che l’ufficio diretto da Pasca diffondeva a getto continuo, con i bellissimi disegni di Boccasile.


Pasca Piredda, inquadrata nella Decima come sottotenente di vascello, non si limitava a sfornare articoli e manifesti. Partecipava attivamente alle azioni sul territorio: viaggi verso la Venezia Giulia (dove Borghese, in pieno accordo con i partigiani monarchici della «Osoppo» e con gli agenti del Sud, organizzava la resistenza contro il 9° Corpus di Tito), scontri a fuoco, incontri con gli agenti segreti di De Courten. Per causa di un incidente d’auto, rimase gravemente ferita e restò in coma per tre giorni. Catturata dai partigiani dopo il 25 aprile nel suo ufficio di piazza Fiume a Milano, fu strappata al plotone d’esecuzione per l’intervento del «capitano Neri», l’uomo che aveva avuto un ruolo determinante nella fine di Mussolini. «Neri» (al secolo Luigi Canali) era infatti il capo di Stato Maggiore della 52.a Brigata «Garibaldi», che aveva catturato Mussolini e i ministri di Salò, con il loro seguito, sulla strada del lago di Como, in prossimità di Dongo. Lo stesso «Neri» aveva deciso di ospitare il Duce e Claretta Petacci nella casa dei contadini De Maria, a Bonzanigo, nei pressi di Menaggio. Dopodiché aveva avvertito i «servizi» inglesi, per consentire loro di catturare Mussolini precedendo così gli americani, con i quali erano in concorrenza. Ma nessuno poteva sapere che gli agenti britannici avevano un ordine segreto e terribile: far tacere per sempre Mussolini, che avrebbe potuto – se catturato dagli americani – svelare gli accordi segreti intercorsi tra lui e Churchill per spingere Hitler a cessare la resistenza in Occidente onde rivolgersi tutti contro il pericolo in avanzata da Oriente, cioè l’Armata Rossa. Per questo Mussolini (e Claretta, che sapeva tutto) furono uccisi la mattina del 28 aprile 1945. E per questo sarà soppresso anche «Neri», a titolo di punizione, per ordine del Pci. Quanto a Pasca, diventata nel frattempo mamma, nonna e bisnonna, non cambiò mai idea. Della Decima ieri, della Decima sempre.

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