di Sofia Giani Devi (Rinascita)
La contrapposizione
fra “rossi” e “neri” che i più avanti con l’età ricorderanno
sicuramente e che è universalmente conosciuta con la dicitura “anni di
piombo” non è servita a nulla. Ha solo mietuto vittime, in molti casi
giovani, e ancora adesso, nel 2013, è presente in conversazioni, sia
reali sia sui social network, che il più delle volte dimostrano scarsa
competenza storica e giudizi affrettati da essa derivati. Insomma, è
tutto un “divide et impera”.
Famosa la frase di
Berto Ricci: “L’antiroma esiste, ma non è Mosca. Contro Roma, città
dell’anima, sta Chicago, città del maiale”. Essa evidenzia dunque il
reale nemico da combattere.
Si potrebbe
definire questa situazione come un concorso di colpa, nel senso che non è
solo colpa di chi ignora i fatti storici, ma anche di chi tradisce i
proprio programmi e scompagina le carte nella mente della persona che
vuole vederci chiaro. Due esempi su tutti: l’abrogazione della legge
sulla Socializzazione e il fenomeno chiamato “neofascismo”.
La prima fu
effettuata il 25 aprile 1945 nientemeno che da Mario Berlinguer, padre
del più famoso Enrico: essendo un super proprietario terriero, curò i
propri interessi che sarebbero stati intaccati dalla Legge sulla
Socializzazione, allora approfittando della “mancanza di sensibilità
politica e nazionale delle maestranze e della loro ignoranza”, in nome
della democrazia e della libertà ha riconsegnato i lavoratori
all’arbitrio del capitale.
Già Dostojevskij
diceva che l’uomo ottiene dignità solo tramite il lavoro; ebbene, è
opportuno un sistema economico che metta alla pari il capitale e il
lavoro suddetto. Esso si chiama appunto “socializzazione dell’economia”.
Come manifesto
illustrativo della socializzazione fu usato quello in cui si vedono un
avambraccio muscoloso e un pugno con al polso il ceppo con scritto
“Capitalismo”, ma le catene vengono rotte dalla parola “Socializzazione”
scritta in rosso.
Il secondo errore è
stato il cosiddetto “neofascismo”. Il dopoguerra spinse molti che si
consideravano fascisti nell’anticomunismo più becero, con la scusa che
“i comunisti avevano assassinato i camerati”, ignorando, fra le altre
cose, che il fenomeno chiamato “resistenza” era composto da partigiani
di varia estrazione politica, altrimenti non sarebbe mai potuto
succedere un fatto come Porzus, ad esempio.
Come confessò
Caradonna, l’espediente che era stato utilizzato era proprio quello,
ossia farli scontrare con i “rossi”, secondo il ragionamento del “più si
picchiavano e più si spingevano a destra”. Eppure la stessa RSI diceva:
“la Patria al di sopra delle fazioni”. Dire quindi che la sua è stata
una mossa intelligente e soprattutto fedele alla linea tracciata è a dir
poco una bestemmia.
Nella Storia ci
sono stati esempi di come i “rossi” e i “neri” sono andati d’accordo.
Nell’ordine: Bombacci e il suo periodico “La Verità” (aprile 1936), la
“benedizione” di Tullio Cianetti del patto Molotov-Von Ribbentrop (23
Agosto 1939), la presenza di “rossobruni” nella futura DDR (26 febbraio e
22 marzo 1948), il reclutamento di alcune SS tedesche da parte di Fidel
Castro (29 ottobre 1962) e l’invito del Presidente della Corea del Nord
a studiare il “Mein Kampf” (giugno 2013).
Nell’aprile 1933
uscì il primo numero de “La verità” (parola che è, ironia della sorte,
traduzione italiana di “Pravda”, il famoso quotidiano sovietico) in
25.000 copie. Sergio Panunzio scrisse che si poteva ormai intravedere la
sintesi equilibratrice di Roma e Mosca, punti d’irradiazione “delle due
grandi forze e delle due grandi rivoluzioni moderne: il Comunismo ed il
Fascismo”. Espulso nel 1927 dal PCd’I, del quale era stato tra i
fondatori, Nicola Bombacci non aveva mai interrotto completamente i
propri rapporti con l’Ambasciata dell’URSS e in particolare con
l’addetto commerciale; nella sua qualità di intermediario d’affari della
Delegazione Commerciale sovietica, nel 1930 aveva agevolato l’acquisto
di grano russo da parte dell’Italia.
Nel 1931, in ogni
caso, sembra aver avuto termine “ogni rapporto, anche di natura
tecnico-commerciale, tra Bombacci e l’Ambasciata sovietica a Roma, dove
aveva trovato nel frattempo lavoro anche il figlio Raoul, rientrato nel
1925 dalla Russia per assolvere gli obblighi di leva. Una volta in
Italia, Raoul Bombacci – che a Mosca era entrato in rapporti con
l’ambasciatore italiano Manzoni – aveva collaborato col padre
all’interno della Società ‘L’Italo-Russa’”, una società anonima per gli
scambi commerciali con l’URSS. Tale società aveva ottenuto dalle
autorità fasciste il permesso di pubblicare una rivista sovvenzionata da
Mosca, la quale si proponeva di “illustrare le ricchezze dell’URSS e le
sue audaci innovazioni politiche, economiche e culturali per dimostrare
agli italiani che l’Italia risolverà i suoi problemi e la sua dura
crisi economica solo quando avrà compresa la necessità di un’unione
solida e fraterna con la Russia soviettista”.
Forse non è
necessario ipotizzare che Bombacci, col discorso tenuto alla Camera il
30 novembre 1923, abbia avuto un peso determinante sull’evento del 7
febbraio 1924, allorché l’Italia, prima tra le nazioni europee, riprese
le normali relazioni diplomatiche con l’URSS, perseguendo – come
rivendicherà Mussolini dieci anni più tardi – “una aperta e leale
politica di intensificazione degli scambi con la Repubblica dei
sovieti”; né è obbligatorio attribuire a Bombacci il merito del trattato
di amicizia e non aggressione siglato tra Italia e URSS il 2 settembre
1933, “sbocco e coronamento” del precedente riconoscimento; neppure è
indispensabile individuare in lui il tramite del successivo incontro di
Litvinov con Mussolini. Fatto sta che “la conoscenza di personaggi e di
retroscena sovietici che egli poteva vantare poteva rivelarsi utile per
gli scopi di uno dei settori portanti della politica estera
mussoliniana” .
Né va trascurato il
fatto che nella prima metà degli anni Trenta Bombacci lavorò presso
l’Istituto Internazionale di Cinematografia Educativa e che nel quadro
di tale attività mantenne i rapporti con l’Associazione sovietica per i
rapporti culturali con l’estero. In quegli stessi anni furono proiettate
alla Mostra di Venezia parecchie pellicole sovietiche, tra le quali un
apprezzatissimo “Gli eroi dell’Artico”, che si concludeva con questa
frase di Stalin: “Non ci sono fortezze che non possiamo conquistare”.
Che Bombacci abbia svolto un ruolo in tutto ciò, nessuno è stato finora
in grado di accertarlo. Tornando a “La Verità”, la linea seguita dalla
rivista era “una linea socialnazionale in critica aperta col bolscevismo
sovietico e favorevole all’alleanza nazista” , ma tale indirizzo cambiò
allorché il Reich germanico e l’URSS firmarono il Patto di non
aggressione.
Come specificato,
esso ebbe la “benedizione” di Tullio Cianetti, il ministro delle
Corporazioni, considerato “il più rosso dei neri”, o il “comunista del
Littorio”; lo accolse infatti dicendo che considerava “il sovietismo, il
nazionalsocialismo ed il fascismo molto più vicini e simili di quanto
non lo fossero nei confronti delle grandi democrazie plutocratiche”.
Cambiando Paese, se
si pensa ai Nazional-socialisti nel secondo dopoguerra non passa
inosservato il caso di Wernher Von Braun, le cui conoscenze in campo
missilistico furono usate dagli Stati Uniti. In realtà, se si
approfondisce, si scopre che il 26 febbraio del 1948, le autorità
sovietiche avevano dichiarato ufficialmente terminata la
“denazificazione” e chiusi tutti i procedimenti contro persone non
colpevoli di concreti crimini di guerra o contro l’umanità. Addirittura
lo stesso Stalin avrebbe contemporaneamente dichiarato che bisognava
“rimuovere la linea di separazione tra ex-nazisti e non nazisti”. Il 22
marzo del 1948, i sovietici autorizzarono anche un quotidiano rivolto a
questa area “nazionale” del pubblico – la National-Zeitung, che sarebbe
uscito ogni giorno fino alla fine della DDR.
In uno dei suoi
primi numeri, il nuovo quotidiano scrisse: “Mentre in altre parti della
Germania si gioca ancora con pesante determinazione alla
denazificazione, nella Zona Est gli occhi possono vedere più chiaro,
oggi un semplice ‘Pg.’ [Parteigenosse, membro del partito
nazionalsocialista] non deve più guardarsi attorno intimidito,
sentendosi come un paria” (National-Zeitung del 25.3.1948, p. 1). Il 25
maggio del 1948, i sovietici autorizzarono l’NDPD, un “gruppo di
tedeschi che amano la patria“: lo stesso SED dichiarò che lo scopo del
nuovo partito era di evitare che queste persone “dalle idee
politicamente confuse” finissero per votare per i democristiani o i
liberali.
Durante tutto il
periodo della DDR, l’NDPD – che alla fine degli anni Ottanta aveva oltre
100.000 membri – poteva contare su un numero prestabilito di 52
deputati in parlamento. Il fondatore del NDPD fu un ex-comunista, ma il
suo successore, rimasto a dirigere il partito fino alla fine, fu un
ex-membro dell’NSDAP ed ex-ufficiale dell’esercito, catturato dai
sovietici a Stalingrado e subito incorporato nella Nationalkomitee
Freies Deutschland, che nei propri stendardi adottava i vecchi colori,
nero, bianco e rosso, della Germania imperiale, al posto del nero,
rosso, oro della repubblica di Weimar.
Nella DDR… nel
1952, il governo lanciò una vasta campagna contro la sudditanza della
Germania dell’Ovest alla NATO e alle potenze occidentali. L’NDPD
contribuì a questa campagna con un “appello alla generazione tedesca che
era stata al fronte durante la seconda guerra mondiale”: i 119
firmatari dell’appello scrissero, accanto al proprio nome e cognome,
anche il proprio rango nella Wehrmacht, nelle SS, nella Hitler Jugend e
altre organizzazioni dell’epoca.
E a proposito di
SS, documenti del Bnd (servizi segreti tedeschi) finora inediti rivelano
che Fidel Castro chiamò allora a Cuba almeno due ex SS naziste come
addestratori militari. Parola del quotidiano Die Welt. All’apice della
tensione internazionale, il 26 ottobre del 1962, racconta il quotidiano,
il Bnd scrive in un rapporto di aver appreso che Castro aveva fatto
assoldare ex membri delle SS naziste come ”istruttori per i militari
cubani”. Alla data del rapporto il Bnd era riuscito a raccogliere prove
della presenza sull’isola di almeno due ex SS dei quattro che avevano
risposto all’invito di Cuba. Restando in tema hitleriano, è di giugno
2013 la notizia secondo cui il leader della Corea del Nord ha regalato
alle sue persone di fiducia il “Mein Kampf”, stampato in tiratura
limitata di 100 copie.
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