di Annamaria Gravinò (Secolo d'Italia)
La prima reazione è
di sorpresa: davvero non c’è nessuno che vuole fare un museo del Pci? A
raccontare la storia di Mauro Roda, custode di memoria e memorabilia
del defunto partito comunista, è Repubblica di oggi. Il bolognese Roda,
che oggi ha un piccolo ufficio nella sede cittadina del Pd, presiede la
“Fondazione 2000″, una delle fondazioni a cui, quando nacque il Pd,
furono conferiti i beni del vecchio partito. Beni materiali, ai quali si
aggiunsero i beni della memoria quando le sedi furono messe in
dismissione e Roda e altri come lui si preoccuparono di metterne in
salvo il contenuto. Manifesti, documenti, bandiere, fotografie,
volantini, poster, giornali, lettere che raccontano la storia, come
quelle di Togliatti o di don Dossetti. C’è perfino, in questo enorme e
multiforme archivio, il torchio con cui durante il fascismo veniva
stampato clandestinamentel’Unità. «Ho bussato a molte porte. Molte.
Nessuna risposta», ha raccontato a Repubblica Roda, spiegando che i no
sono stati motivati con un «non è ancora il momento», ma senza indicare
esattamente chi ha declinato l’offerta. È il quotidiano diretto da Ezio
Mauro a fare delle ipotesi: «Grandi cooperative, associazioni di
sinistra».
Sorpresa, si
diceva, perché finora siamo stati tartassati da messaggi per cui se una
storia non si poteva raccontare era quella della destra. Messaggi
proposti proprio da quella sinistra che ora applica la stessa logica
anche a se stessa.
Cosa accade,
dunque? In realtà, a rifletterci appena un attimo, nulla di
sorprendente. Perché, a rifletterci appena un attimo, tutto torna: ormai
non è più questione di parte, ormai ci troviamo di fronte a una
politica che, seppure con gradazioni diverse, ha paura della storia tout
court. Gli indicatori di questa situazione sono molti e l’ultimo,
macroscopico, è quanto accaduto intorno alla morte di Erich Priebke, dai
funerali alla legge sul negazionismo che proprio per un deciso
intervento degli storici non è andata in porto. Ma di esempi se ne
potrebbero fare a decine, a partire da quelli tutto sommato di piccolo
calibro come le contese sulla toponomastica per arrivare al fatto che la
legge del 2007 che pone 30 anni come limite ai segreti di Stato resta
sostanzialmente disattesa.
La vicenda del
museo del Pci non fa che confermare, dunque, che il nostro Paese ha una
sua intrinseca difficoltà a storicizzare, di cui molto si è già discusso
e si continuerà a discutere. Ma mentre questo dibattito può (forse)
avere un senso quando si parla di rivelare fatti che hanno a che vedere
con la ragion di Stato e la sicurezza, molto meno sembra averlo quando
si traduce nella volontà di negare una storia come quella dei partiti
che è stata sotto gli occhi di tutti e che, nel bene e nel male, è stata
anche storia di popolo e storia del Paese a pienissimo titolo. In
questo caso si finisce in quella forma di censura col torcicollo che,
negli anni, la sinistra ha esercitato con tale convinzione da farla
diventare in fine anche autocensura.
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