di Tommaso della Longa (barbadillo.it)
Alzi la mano chi considera il Nord Irlanda pacificato. Alzi la mano chi
conosce il significato storico della parola “troubles”. E ancora, alzi
la mano chi invece pensa che le Sei Contee irlandesi del nord vivano
ancora un periodo di violenza.
Ecco, se si facesse una prova del genere in mezzo a gente comune, la
grande maggioranza si chiederebbe, “perché cosa succede da quelle
parti?”. Qualcuno forse si ricorderebbe degli scontri tra filo-irlandesi
cattolici e filo-inglesi protestanti negli anni ’70-’80. In molti
assocerebbero l’Irlanda alla famosa birra nera “Guinness”.
Eppure la situazione è tutt’altro che pacificata. Sì è vero, ci sono
stati agli accordi di pace nel 1998 ed è partita la smilitarizzazione
dei gruppi armati, Irish Repubblican Army (IRA) per la parte
irlandese-repubblicana e Ulster Volunteer Force (UVF) per parte
inglese-unionista. Ed è anche vero che la vita quotidiana odierna a
Belfast e Derry non è lontanamente paragonabile a quello che si viveva
vent’anni fa. Però, le promesse che erano state fatte dopo gli accordi,
ovvero pace, prosperità, crescita e sviluppo, ancora non sono diventate
realtà per tutta la popolazione.
In Nord Irlanda ancora esistono decine di muri che separano fisicamente
le comunità. Ancora esistono ghetti che non dialogano tra di loro, dove
basta attraversare una strada per cambiare mondo: visivamente lo si
capisce solo perché dal tricolore irlandese si passa a una Union Jack
britannica. La percentuale di disoccupazione è ancora alta, le scuole
biconfessionali si contano sulle punta delle dita, le due comunità fanno
ancora vita a sé e l’essere cattolici ancora preclude molte posizioni
di comando. Per non parlare della percentuale di suicidi nella
generazione post-conflitto che fa a dir poco paura.
Quello che più stupisce è la grande operazione di comunicazione fatta,
Belfast città del futuro, città degli MTV awards europei, città in
movimento, che ha praticamente cancellato il racconto delle violenze,
degli scontri che si moltiplicano, del ritorno alle armi, delle bombe
disinnescate, degli attacchi settari. La notte tra il 13 e il 14
ottobre, tre uomini armati con il volto coperto dai passamontagna hanno
fatto irruzione in un pub Belfast, nella zona nord, leggendo un
comunicato dove l’IRA ammette di aver giustiziato il capo di
un’organizzazione di spacciatori di droga e avverte alcuni suoi
“complici” di lasciare al più presto la città. L’IRA si sa non ammette
l’uso e lo spaccio di droga. Per due notti consecutive, negli ultimi
giorni, ci sono stati scontri tra unionisti e polizia per difendere una
bandiera. A Belfast Ovest sono stati ritrovati due ordigni disinnescati
dalle forze dell’ordine.
Sono solo esempi legati all’attualità degli ultimi giorni, ma che
rendono chiara l’idea. In Nord Irlanda, grazie anche alla crisi, le
giovani generazioni stanno tornando verso la lotta armata: la
percentuale non è paragonabile agli anni dei troubles, ma è in crescita
costante e preoccupante. Nelle carceri nordirlandesi esistono ancora
repubblicani incarcerati solo per reati di opinione, i cosiddetti
prigionieri politici: evidentemente la causa irlandese fa ancora paura
agli inglesi. Strutture dove si moltiplicano le denunce delle
organizzazioni dei famigliari dei prigionieri per le condizioni inumane
in cui sono costretti a vivere.
Ecco, di tutto questo bisognerebbe ricominciare a parlarne in maniera
più approfondita, ricordandosi che in Nord Irlanda c’è qualcosa di
importante da raccontare: il nuovo che c’è in questo angolo di mondo, ma
anche il ritorno al passato e alla contrapposizione tra chi si sente
irlandese e chi è legato a Sua Maestà. Una “questione irlandese” ancora
insoluta e che non può e non deve essere dimenticata da tutti noi.
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