di Girolamo Fragalà (Secolo d'Italia)
«Criminale di
guerra». Ma stavolta non si tratta di un ex nazista. I riflettori sono
puntati su Béla Biszku, uno dei principali responsabili della sanguinosa
repressione dei patrioti di Budapest che, nell’ottobre del 1956, si
ribellarono al regime comunista. Durante la rivolta – è bene ricordarlo –
morirono quasi tremila ungheresi, furono migliaia i feriti e circa
250mila persone lasciarono il proprio Paese per rifugiarsi in
Occidente.
Da quel momento il
sostegno alle idee del comunismo fu ridotto al lumicino. E di sicuro
adesso qualche anima buona della sinistra dirà che l’attuale governo
ungherese è vendicativo e magari anche fascista, perché colpisce Biszku.
E proprio perché si tratta di un ex dirigente comunista, la vicenda
probabilmente passerà in secondo piano e molti giornali le dedicheranno
uno spazio molto ridotto. L’uomo, oggi novantaduenne, era stato
arrestato a settembre dell’anno scorso, dopo che il governo conservatore
di Viktor Orban aveva modificato il quadro legislativo, per perseguire
le persone sospettate di rappresaglie dopo la Rivoluzione ungherese.
Molti deputati di
destra avevano, dunque, denunciato Biszku che, in un’intervista
televisiva, aveva dichiarato di non aver nulla da rimproverarsi. L’uomo è
accusato di crimini di guerra per due fucilazioni, una nella stazione
Ovest di Budapest e un’altra al confine con la Slovacchia, che fecero 51
morti. Deve rispondere anche di “complicità in atti criminali”, per
aver coperto atti di rappresaglia dopo la repressione della rivolta
popolare. Rischia l’ergastolo.
Negli anni Novanta,
dopo la svolta democratica in Ungheria, il primo governo eletto voleva
processare gli ex dirigenti comunisti, ma la Corte costituzionale abrogò
la legge relativa perché a suo giudizio i reati erano caduti in
prescrizione. L’incriminazione attuale parla di “crimini di guerra”, che
non cadono in prescrizione.
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