da barbadillo.it
Licia Cossetto è
deceduta durante un viaggio verso Trieste per commemorare il 70°
anniversario della morte della sorella Norma, la studentessa seviziata e
uccisa nel 1943 dai partigiani jugoslavi in Istria e gettata nella
foiba di Villa Surani di Antignana (attualmente Tinjan in territorio
croato).
Licia Cossetto
vedova del capitano dell’Aeronautica Tarantola, 90 anni, si è spenta
attorno a mezzogiorno di sabato nei bagni dell’autogrill di Calstorta
Sud, al confine tra le province di Venezia e di Treviso, sull’autostrada
A4. L’anziana maestra era partita alle 7,30 dalla sua abitazione di via
Pascoli a Ghemme in compagnia della docente liceale Rossana Mondoni
(biografa di Norma) e del marito Daniele Comero. “Erano diretti a
Trieste – dice la vicina di casa Angela Tosi – per partecipare alla
commemorazione per la morte della sorella Norma che per una tragica
coincidenza era morta infoibata nella notte tra il 4 e 5 ottobre 1943.
Ogni anno in questi giorni si rattristava perché il peso dei ricordi per
quei traumatici eventi si faceva sentire“.
“Non smise mai di
chiedere a gran voce un giusto riconoscimento per tutti gli istriani,
fiumani e dalmati e naturalmente per la sorella Norma, seviziata, uccisa
e infoibata da una banda di titini”: lo ha affermato in una nota
l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. “Ricevette – ha
scritto il presidente Antonio Ballarin – dal Presidente Ciampi la
Medaglia d’oro per Norma, con la motivazione: “Giovane studentessa
istriana… imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata
e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una
foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di Amor patrio”. La figura e
l’esempio della signora Licia, instancabile testimone del martirio
della sorella Norma e del padre Giuseppe, restano e resteranno impressi
indelebilmente nei cuori e nello spirito degli esuli”.
Unanime cordoglio
anche dagli esponenti di tutte le associazioni: “In un anno sono mancati
Ottavio Missoni, Maria Pasquinelli, altri e ora Licia Cossetto,
testimoni di un mondo che il tempo sta dissolvendo ma che non dimentica,
anche grazie al testimone consegnato alle nuove generazioni“, ha
puntualizzato Renzo Codarin.
L’intervista a La Padania
Così Licia Cossetto
raccontò a Barbara Mapelli la persecuzione etica subita dalla sua
famiglia dai partigiani comunisti slavi: ”Noi abitavamo a Santa Domenica
di Visinada, un piccolo paesino dell’Istria. Mio padre, Giuseppe
Cossetto, era stato commissario governativo delle casse rurali per la
Provincia, ufficiale della Milizia e podestà per molti anni. Fino all’8
settembre del 1943 non avevamo mai avuto problemi, tutti ci volevano
bene. Dopo l’8 settembre, i comunisti del paese cominciarono a
ribellarsi, a spaccare e a rubare ogni cosa. Armi in pugno, entrarono in
casa nostra e ci portarono via tutto, tra insulti e minacce. Eravamo
terrorizzate. Mio padre non c’era perché era stato richiamato a Trieste,
quindi ero rimasta sola con mia madre e mia sorella Norma. E proprio
sua sorella divenne preda dei banditi… Sì, nei giorni successivi
cominciarono a tormentarla. Avevano messo gli occhi su di lei, anche
perché era una bella ragazza. Vennero a prenderla due o tre volte, per
poi rilasciarla e rimandarla a casa. Le prime volte no; cercarono di
lusingarla in modo subdolo. Le promisero libertà e mansioni direttive se
avesse accettato di aggregarsi a loro, ma Norma ha sempre risposto che
era italiana e voleva rimanere tale. Vennero a prenderla per l’ultima
volta il 26 settembre del 1943. L’arrestarono e la portarono nella ex
caserma dei carabinieri, successivamente la trasferirono a Parenzo,
nella ex caserma della Guardia di Finanza. Assieme a Norma, catturarono
anche altri miei parenti, conoscenti e amici. Incarcerarono anche me, ma
grazie ad un mio compagno di scuola riuscii ad uscire. Con mio cugino,
Pino Cossetto, andai a Parenzo dov’era incarcerata Norma. La trovai
molto provata, in lacrime. Parlai con uno dei carcerieri dicendogli che
mia mamma era disposta a pagare purché lasciassero libera mia sorella.
Lui mi rispose: “Non si preoccupi, questa sera li liberiamo tutti”.
Invece? Era una bugia. Quella stessa sera portarono i prigionieri ad
Antignana, all’interno di una scuola e fecero fare quella orrenda fine a
mia sorella. Dapprima, la rinchiusero in una stanza da sola, la
legarono ad un tavolo con delle corde o del filo di ferro e la
violentarono. Pensate, abusarono di lei 17 persone! A “divertimento”
finito, la gettarono nella foiba di Villa Surani. Quando recuperarono il
corpo martoriato di Norma, una signora si avvicinò a me e mi disse che
aveva visto ogni cosa dagli spioncini delle finestre. L’aveva sentita piangere, chiedere dell’acqua e chiamare la mamma”.
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