Fiorenza Licitra intervista Alain de Benoist
Fino al X secolo non occorreva un sacerdote per sancire il patto tra
gli sposi; la Chiesa, che ai legami di sangue favoriva la comunità di
fede, non aveva ancora elaborato il predominio giuridico sulla famiglia.
E’ giusto dire che nel tempo il matrimonio si è rivelato uno “strumento
clericale” per fare adepti?
La Chiesa cattolica non si è mai disinteressata del matrimonio, ma di
questo ne ha fatto un sacramento abbastanza tardi, nel XII° secolo.
Controllare il matrimonio era per essa un modo di intervenire nelle
alleanze tra le famiglie e le discendenze. Ma la Chiesa ha anche
ereditato una diffidenza verso il corpo e il sesso, sconfinata, nei
primi secoli della nostra epoca, agli eccessi delle sette encratiste.
San Paolo vedeva nel matrimonio un ripiego, un «rimedio contro la
lussuria»: sposatevi, diceva lui in sostanza, se non siete capaci di
fare altrimenti, cioè di restare vergini. Ciò spiega, nonostante tutto
quello che si possa dire in favore del matrimonio, il modo in cui la
Chiesa ha sempre considerato la verginità uno stato perfetto. Non direi
che il matrimonio è diventato oggi uno “strumento clericale” : la gente
si sposa sempre meno e la pratica religiosa è in crisi. A differenza
dell’Italia, in Francia vi è inoltre un fenomeno particolarmente
accentuato: al momento attuale, un bambino su due nasce fuori dal
matrimonio, proporzione che passa a due bambini su tre nelle grandi
città.
Qual era l’atteggiamento originario della Chiesa rispetto all’aborto?
Nel Medioevo, la Chiesa si rifarà soprattutto all’insegnamento di San
Tommaso D’Aquino, il quale a sua volta aveva adottato il pensiero di
Aristotele rispetto al concepimento e alla gravidanza. Per Aristotele,
il feto non era «animato», cioè realmente dotato di un’anima fin dalla
fecondazione, ma solo dopo qualche settimana. La Chiesa, quindi,
distingueva tra aborto precoce e aborto tardivo, sanzionato molto più
severamente del primo. Quello che la Chiesa ha elaborato sull’anima, non
è che la conseguenza di ciò che l’ha indotta a condannare senza
sfumature tutte le forme d’aborto.
Nonostante la liberalizzazione dei costumi e la disfatta delle
consuetudini, “la medesima origine sociale” resta ancora saldo collante
per la coppia…
Tutti i sociologi sanno che le relazioni che legano due individui non si
basano sull’azzardo. La probabilità di cercare e di trovare un partner
nell’ambiente sociale al quale si appartiene è maggiore che trovarlo
altrove, semplicemente perché non si frequentano altri ambienti. I club
di incontri che si trovano su Internet favoriscono le relazioni sessuali
tra gente di differente appartenenza, ma si tratta di relazioni
difficilmente durevoli. Ben inteso, ci sono sempre le eccezioni. Quando
degli individui di livelli sociali diversi decidono di formare una
coppia, solitamente è l’uomo ad appartenere al ceto superiore:
statisticamente, gli uomini danno meno importanza alla condizione
sociale per la scelta della compagna, perché, prima di tutto, sono
sensibili all’apparenza fisica. Al contrario, tutti i sondaggi rivelano
che lo stato sociale per la donna conta molto, apparendole come una
garanzia di sicurezza. Ma queste osservazioni devono ancora essere
ricollocate in un contesto più esteso. Gli studi generali dei quali si
dispone dimostrano che le coppie più “longeve” sono quelle che si
somigliano maggiormente. E’ l’origine del proverbio: «Chi si assomiglia,
si piglia».
Il Concilio Vaticano II alla procreazione farà prevalere l’unione tra
uomo e donna, quindi il diritto alla felicità. Si può parlare di
“processo di individualizzazione” perseguito dalla Chiesa stessa?
Nel Medioevo, la Chiesa ha favorito una certa individualizzazione dei
comportamenti, nella misura in cui essa ha privilegiato la volontà di
sposare gli individui, in opposizione alle loro rispettive famiglie (un
tempo si chiamava “matrimonio segreto”). Essa ha così ha favorito
un’evoluzione che, a lungo termine, ha portato al “matrimonio d’amore”,
il quale oggi è la principale causa di divorzio: ci si sposa quando si
ama, ci si lascia quando non si ama più. Nell’Antichità, il matrimonio
era prima di tutto un’istituzione riguardante le famiglie. Ecco, la
conseguenza del matrimonio ridotto a contratto tra individui. La Chiesa
ha sempre considerato la procreazione come la finalità profonda del
matrimonio, tuttavia sa bene che certe coppie non possono avere figli,
sia per sterilità, sia a causa dell’età troppo avanzata dei coniugi.
La società (femminile) ha sostituito lo Stato (maschile). Quali sono, a suo avviso, le conseguenze?
Si assiste oggi a un’incontestabile femminilizzazione della società.
Bisogna vedere il risultato di due fattori differenti. In primo luogo
esiste un’evoluzione dei costumi, che tende a stabilire la parità tra
uomo e donna in tutti i domini, restringendo seriamente le antiche
prerogative degli uomini e dei padri in rapporto all’aumento delle
rivendicazioni femministe e al relativo discredito dei valori “virili”.
Inoltre, abbiamo un’evoluzione della stessa struttura sociale, in
particolar modo rispetto alle forme economiche e lavorative. Oggi ci
sono servizi di comunicazione e vario genere (l’aiuto alle persone, le
“attività relazionali”, etc.), che hanno preso sempre più piede nella
struttura economica, contrariamente a una volta in cui il centro di
gravità si ritrovava piuttosto nella sfera industriale. Le qualità
femminili si esplicano meglio nei servizi e nei mestieri della
comunicazione, a differenza delle qualità maschili, dominanti nel mondo
industriale. Le conseguenze di questa femminilizzazione, oltre a un
infiacchimento legale e istituzionale, sono la promozione dei valori
femminili, quali la sensibilità, la cooperazione e il “dialogo”, a
detrimento dei valori maschili, come l’autorità. Questo non è un male in
sé, a condizione che l’equilibrio tra uomo e donna non si rompa e che
la complementarità tra valori maschili e femminili non sia persa di
vista.
Accordare le nozze gay equivale a dire che un domani sarà consentito, a rigor di logica, anche l’adozione di un bambino…
Il matrimonio omosessuale – in Francia “matrimonio per tutti”, locuzione
d’altronde molto abusiva (il matrimonio poligamo e il matrimonio
incestuoso, per citarne un paio, per legge non sono mai stati
autorizzati) – testimonia che il matrimonio ormai non è più percepito
come un’istituzione, ma come semplice contratto tra individui. Innalzare
essenzialmente “l’amore romantico”, e non più la strategia
matrimoniale, significa unire due compagni individuali, anziché
consacrare l’alleanza di due famiglie in seno a un più vasto sistema di
parentela, che assegnava a ciascuno un certo numero di diritti e di
obblighi. In tale ottica, per unirsi, nulla sembra costringere due
individui a essere di sesso differente, visto che la nozione stessa di
sesso (biologicamente) è adesso contestata dall’«ideologia del genere».
Ma lei ha ragione, la stessa rivendicazione di uguaglianza, che ha
portato al matrimonio omosessuale, si estenderà anche all’adozione da
parte degli omosessuali; idem per il riconoscimento delle “madri in
affitto” e per la procreazione assistita. Tali rivendicazioni
d’altronde si esprimano già.
Relativizzare la famiglia comporta anche il relativizzarsi della responsabilità?
Nel principio, lei non ha torto, ma bisogna comprendere che ciò che si
chiama “famiglia” è un concetto notevolmente trasformabile. La famiglia
tradizionale è oggi divenuta un fattore marginale. Le relazioni delle
coppie si sono evolute e le relazioni tra le generazioni sono mutate.
Assistiamo al moltiplicarsi delle “famiglie ricomposte”, cioè di coppie
di genitori che hanno già avuto dei figli da una precedente unione.
Questo fenomeno in Francia tocca più di una famiglia su dieci. Si devono
aggiungere, inoltre, i casi di coabitazione intermittente (o
semi-separazioni) di coppie sposate, cosicché le famiglie monoparentali,
più numerose in Italia, in Francia rappresentano attualmente più del
20% e riguardano tre milioni di bambini. Queste famiglie monoparentali,
nella stragrande maggioranza, sono costituite da donne che vivono sole
con i figli. La famiglia non è più il luogo naturale della
responsabilità; d’altronde, l’autorità del capo famiglia oggi è caduta
in un certo discredito. La responsabilità resta un valore, ma si
esercita nei domini più vari. Piuttosto, sono l’individualismo e
l’egoismo edonistico a rappresentare per essa la principale minaccia.
Cos’è che influenza più la trasformazione della famiglia, la società o la famiglia stessa?
Chi è nato prima, l’uovo o la gallina? Stesso approccio per la famiglia e
la società: esse vanno di pari passo. L’evoluzione della famiglia
riflette l’evoluzione della società, in continuo progresso, e
l’evoluzione della società riflette quella della famiglia. Questa è la
ragione per cui è abbastanza diffusa l’idea secondo la quale una “buona
famiglia” può rappresentare una struttura resistente, un rifugio, un
contrappeso. In rapporto a quello che c’è di più negativo o di più
contestabile nella società attuale, mi sembra però che in parte sia
un’illusione. Quando i bambini raggiungono una certa età, è estremamente
difficile per i genitori opporsi all’influenza del mondo esterno. Ci
sono le eccezioni, ma in generale la famiglia non costituisce che una
linea di resistenza abbastanza minima.
Lei scrive che nelle civiltà indoeuropee la discendenza, l’autorità
del capo di famiglia, il valore dei consanguinei non sono realtà
biologiche, ma entità di ordine spirituale. Al contrario di oggi, che
venendo a mancare tutto questo, la famiglia è inscritta in una
temporalità non più verticale, ma orizzontale?
A questo riguardo, la famiglia non fa eccezione. L’intera società ha
sovvertito la verticalità con l’orizzontalità. Nel dominio dei valori,
il bene e il male non sono più i sinonimi dell’alto e del basso. Nella
vita quotidiana, il «presentismo» consacra il crollo della dimensioni
della profondità, costituente fino a poco tempo fa la chiara coscienza
del modo in cui il passato si congiunge all’avvenire. Più generalmente
ancora, tutto quello che è stato stabile, solido, duraturo tende a
divenire transitorio, passeggero, effimero. Si potrebbe dire,
utilizzando le categorie proposte dal sociologo Zygmunt Baumann, che il
«liquido» ha rimpiazzato il «solido». La logica dei territori, che è una
logica politica e tellurica, ha ceduto il posto a quella del flusso e
del rifiuto, logica commerciale e marittima. Ciò che scompare è prima di
tutto la nozione di durata. La vita familiare ne è direttamente
affetta, giacché la durata media non cessa di abbassarsi. L’instabilità
delle relazioni di coppia si è accentuata parallelamente alla
“flessibilità” delle carriere professionali, come alla volubilità dei
comportamenti elettorali e dei reclutamentipolitici. Nello stesso
momento in cui si entra nell’azienda per «fare carriera», non ci si
sposa più «per la vita». Nelle relazioni sentimentali o sessuali, lo
«zapping» prevale allo stesso modo che nei comportamenti elettorali o
nei modi di fare dei consumatori contemporanei. Siamo di fronte a un
movimento generale, peculiare del momento storico nel quale viviamo.
Come sarà possibile la posterità senza una memoria ancestrale?
In effetti, è bene domandarselo. Io sono di quelli che pensano che il
presente non sia vivibile e, soprattutto, che non può essere dotato di
senso se non alla condizione d’essere sostenuto dalla doppia coscienza
del passato e dell’avvenire. La memoria va di pari passo con la capacità
di sapersi progettare nel futuro. Chi vuole avere passato, si condanna a
non avere futuro.
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