di Mario M. Merlino (ereticamente.net)
Nel 2010, per la casa editrice Vallecchi, esce il libro dal titolo Una
lunga incomprensione con sotto titolo Pasolini fra Destra e Sinistra.
Gli autori sono il giornalista Adalberto Baldoni e Gianni Borgna, che fu
assessore alla cultura del comune di Roma sotto la giunta Veltroni. La
presentazione ufficiale, si alternano al microfono il sindaco Alemanno e
Walter Veltroni, si svolge nella prestigiosa sala con i quadri di
Pietro da Cortona in piazza del Campidoglio. Fra gli autorevoli invitati
– per l’occasione mi sono messo la giacca, ma non la cravatta – il
sottoscritto. Al termine gli autori mi autografano la copia, mentre
Walter Veltroni mi guarda con occhio cupo e malevolo quando Adalberto mi
cita nel suo intervento.
Nell’indice dei nomi compaio ripetutamente – e ne darò spiegazione in
questo mio intervento. Più volte Baldoni mi aveva telefonato e, mi
sembra, sia anche venuto una volta a casa. Ci conosciamo dall’ottobre
del 1960, da quando cioè andai ad iscrivermi a La Giovane Italia in via
Quattro Fontane e lui ne era il responsabile provinciale. Poi, certo, le
strade si sono divise e, in alcuni casi (al congresso di Pescara 1965,
ad esempio), sono entrate in conflitto fra loro, ma mai venendo meno
però la reciproca stima. Anzi, di più, negli anni successivi alla mia
scarcerazione, mentre molti evitavano perfino il saluto o per viltà
congenita o per reiterate e in malafede accuse, fu sempre cortese e mi
inviò un affettuoso e spontaneo biglietto alla morte di mio padre. E
queste sono cose che si ‘devono’ ricordare…
L’incomprensione verso Pasolini è nota: verso la sua omosessualità,
quella che lo porterà alla morte (al di là di suggestive interpretazioni
su possibili moventi per un omicidio programmato), a cui va – mi sembra
– in folle e disperata ricerca, dove la destra si fa interprete, e
prona, dei pregiudizi di una borghesia ammantata dal trinomio ‘dio
patria e famiglia’ che, con l’americanismo, ne conserva le parole
svuotate ormai d’ogni contenuto; la sinistra, bigotta ideologicamente
prigioniera di un marxismo dispregiatore del Lumpenproletariat ( quei
‘ragazzi di vita’ delle borgate che Pasolini eleva a mito altro al mondo
operaio bramoso di consumismo e libero nel gergo dalla lingua dominante
quale prodotto borghese) e in concorrenza con la chiesa da cui media
però la medesima mentalità ‘perbenista’.
D’altronde, quando inizia la collaborazione su Il Corriere della Sera
con gli Scritti corsari manifesterà tutta la sua eresia e con
intuizioni, poetiche astratte forse, ma voce di una genialità tanto che,
secondo gli epigoni della beat generation USA, può essere considerato
fra i massimi poeti del ‘900. E ne aveva già dato molteplici segnali fra
cui quella in cui s’era scagliato contro gli studenti a Valle Giulia, 1
marzo del ’68, accusati d’essere figli della borghesia, di razza
prepotente e cattiva (Adriano Romualdi, su altro fronte, ci definirà i
pulcini partoriti dall’uovo marcio della borghesia). Io rimango convinto
che avessero entrambi torto, ma questa è altra storia…
E’ il 7 gennaio 1973 ed egli inaugura la nuova rubrica sul Corriere con
un articolo dal titolo Contro i capelli lunghi, che si concludeva:
‘Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (anzi, una vera e
propria disperazione): ma ormai migliaia e centinaia di facce di giovani
italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino…’ Bontà sua! E
mia, mi permetto d’aggiungere, che non conosco rimpianti e rancori…
Nel libro raccontavo ad Adalberto – e lui fedelmente, com’è nel suo DNA,
ne riportava il contenuto – di quando s’era deciso di contestarlo,
primi anni ’60, nei pressi della Casa dello studente, dove era stato
invitato a tenere una conferenza, tirandogli contro un secchio di merda.
E di come ci avesse inseguito mentre, rimasti in due o tre, ci si
andava a ficcare a San Lorenzo, quartiere precluso ad ogni nostra
presenza. In quella occasione, di sicuro consapevole della valenza
politica del nostro gesto, egli non ci gridò alle spalle ‘Al fascista!’
ma un reiterato ‘Al ladro! Al ladro!’ che ci salvò da un assicurato
linciaggio. Era l’ombra del fratello Guido, ‘morto giovanetto’, a
spingerlo, non lo saprò mai. Di quel fratello, assassinato nella malga
di Porzùs dai comunisti al servizio degli slavi del IX Korpus, il 7
febbraio del 1945, in quanto partigiano della Divisione Osoppo contraria
all’espansione dei titini oltre la linea del Tagliamento.
Qui, però, voglio ricordare l’ultima sua poesia, scritta in friulano
(1974) l’anno della sua morte, nella raccolta La nuova gioventù.
S’intitola Saluto e augurio ed è rivolta ad ‘un fascista giovane,/ avrà
ventuno, ventidue anni:/ è nato in un paese/ e è andato a scuola in una
città’. E lo esorta: ‘Difendi i paletti di gelso o di ontano,/ in nome
degli Dei, greci o cinesi./ muori d’amore per le vigne./ Per i fichi
negli orti. I ceppi, gli stecchi./ Per il capo tosato dei tuoi
compagni./ Difendi i campi tra il paese/ e la campagna, con le loro
pannocchie/ abbandonate. Difendi ii prato/ tra l’ultima casa del paese e
la roggia./ I casali assomigliano a Chiese:/ godi di questa idea,
tienla nel cuore./ La confidenza col sole e con la pioggia,/ lo sai, è
sapienza santa./ Difendi, conserva, prega!’.
Non si tratta di proporre un Pasolini e di ciò che veramente ha amato.
Si abbandoni lo stupido gioco di mettere agli uni la camicia rossa, ad
altri la camicia nera. Lasciamo a ciascuno di noi ciò in cui abbiamo
creduto, errori e ambiguità comprese. Penso a quella straordinaria
intervista televisiva che egli realizzò ad Ezra Pound, offrendosi
attento rispettoso discepolo, quasi come un figlio con il padre
ritrovato. ‘Abbiamo una linfa e una radice in comune/ stabiliamo un
patto fra noi’… Irrisolta e irrisolvibile risposta di quella notte
quando mi urlò dietro quel ‘al ladro!’… mentre avrebbe atteso la vigilia
della sua morte per aggiungere, rivolgendosi ad uno sconosciuto giovane
fascista, ‘…dì/ di non essere borghese…’ e ancora: ‘Destra (e lo scrive
con la maiuscola) divina/ che è dentro di noi…’.
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