di Marcello Veneziani
Ma ha senso,
nell'epoca fluida e globale, appellarsi alle identità personali e
comunitarie, politiche e culturali? Le identità non sono reperti
arcaici, inerti e retorici o, come rozzamente dice qualcuno, cazzate e
baggianate? L'identità è un principio fondamentale in filosofia: è di
derivazione presocratica ma Aristotele fonderà la logica occidentale sul
principio d'identità.
Quella logica su
cui ancora ci basiamo per capire e distinguere. Ma è anche un concetto
usurato nella pratica se ne consideriamo l'uso e l'abuso per rassicurare
le proprie pigrizie, non confrontarsi col mondo, chiudersi nel proprio
recinto. Personalmente preferisco riferirmi a un principio più fluido e
vitale che è la tradizione, dove la continuità implica il mutamento, il
passaggio generazionale di padre in figlio, e dove il senso della
trasmissione non riguarda solo il passato ma anche il futuro. Diciamo
che l'identità sta alla tradizione come la montagna sta al mare. O, con
una formulazione più filosofica, l'identità attiene all'Essere, la
tradizione è l'essere in divenire. Comunque riconoscere l'identità è
riconoscere in ogni persona e comunità non solo i diritti individuali ma
un volto, un'anima e una storia, rispettando nell'identità la sua
dignità.
Un'epoca labile e
mutante come la nostra, segnata dalla velocità e dalla rapida
deperibilità di tutto, principi, legami e consumi, ha bisogno per
contrappeso di punti fermi, di fedeltà che sfidano la precarietà e il
volgere delle mode. Mai come oggi abbiamo bisogno di riscoprire la gioia
delle cose durevoli. È questo, in fondo, il principio che regge il
pensiero conservatore e che qualcuno lo banalizzi e lo ridicolizzi
mortifica la sua intelligenza e il suo spirito liberale ma non scalfisce
la grandezza e il valore di quei principi. È così difficile accettare
che ci sia un pensiero conservatore imperniato sull'identità così come
c'è un pensiero progressista fondato sull'emancipazione? La Tradizione è
un bisogno fondamentale dell'animo umano, almeno quanto lo è il
movimento. All'uomo si richiede duttilità e costanza, e non può
rinunciare a uno dei due o applicarle all'inverso. Ogni società
necessita di assetti stabili e piani mutevoli.
Su queste premesse
va fondato il discorso sulle identità politiche. Nessuno può
ragionevolmente pensare di imbalsamare destra e sinistra - e magari
anche il liberalismo, che non è un'essenza eterna ma una categoria
storica come le altre. E nessuno può pensare di fondare oggi un'identità
politica sul fascismo o sul comunismo. Sono il passato, fanno parte
della memoria. Destra e sinistra si usano solo per capirsi all'ingrosso
ma sono categorie residuali. La politica che non ha contatti con la
storia e la tradizione, con l'etica e i valori, si riduce a quella cosa
miserabile che è sotto i nostri occhi. Se non è animata da passione
civile e ideale si riduce a servitù e meschinità, corruzione e
affarismo.
La politica ha due
compiti fondamentali. Uno è governare un Paese, guidarlo e
amministrarlo, affrontare i problemi pratici, decidere. Ma c'è pure un
altro compito che non è ridicolo o superato, bensì essenziale: la
politica è il luogo in cui le nostre solitudini, le nostre individualità
convergono in uno spazio pubblico e in scelte condivise. Nella politica
si esprimono e si rappresentano i valori pubblici, le visioni comuni e
si fonda la concittadinanza. Intendiamoci, la politica non è l'unico
spazio pubblico che esprime valori condivisi, ci sono altri ambiti,
altre comunità. E poi, accanto allo spazio pubblico, c'è la sfera
privata che riguarda la nostra intimità e le nostre scelte individuali.
La politica è il luogo di sintesi in cui masse di individui si sentono
popolo, partecipano alla vita pubblica, sentono di appartenere a una
polis, pur senza escludere le differenze. Tutto questo non nasce coi
regimi dispotici o con le ideologie totalitarie, come pensano i cronisti
di corte vedute; nasce con la politica, anzi con il pensiero, nasce con
Platone e Aristotele e poi continua nei secoli. Anzi, di più: quel
mondo comune è l'essenza della politica e la base di ogni civiltà.
In quella chiave
assume significato il richiamo politico alle identità. Identità aperte e
non chiuse, mobili e non fisse, identità che si rispettino nelle loro
differenze e non pretendano d'imporsi una sulle altre. La più grande
rivoluzione, benefica e incruenta del Novecento, fu fatta nel nome
dell'identità, della sovranità e della tradizione: dico quella di
Gandhi. Da cui non scaturì un ritorno al passato ma una modernizzazione
armoniosa dell'India. L'identità francese fu il perno della svolta di De
Gaulle e anche la liberale Thatcher compensò il suo liberismo economico
con la difesa conservatrice della tradizione e dell'identità inglese. E
la riunificazione delle due Germanie non fu fondata sul desiderio di
ricucire la ferita di un'identità divisa forzosamente in due?
Che le identità
siano preziose e non sterili o nocive lo dimostra a contrario la loro
assenza nella nostra politica. Quando non ci sono identità da
confrontare, quando non c'è una cultura civica e una tradizione alle
spalle, quando non c'è una civiltà come terreno condiviso, inclusa la
civiltà delle buone maniere, nasce quello schifo di politica e
antipolitica da cui tutti stiamo fuggendo. Le differenze non sono più
fondate sui contenuti, sulle diverse sensibilità, sulle idee o sui temi
concreti della vita; ma su livori, personalismi, banalità e malaffare.
Preferisco dividermi sullo ius soli piuttosto che su Ruby; preferisco
una politica che si differenzi sui contenuti politici e non sui
contenuti delle intercettazioni telefoniche. E poi non veniteci a
raccontare che la tanto invocata rivoluzione liberale è andata a puttane
in Italia a causa di quattro gatti che dicevano di tenere alle
identità... Suvvia, tornate alla realtà.
Certo, al tema
delle identità un liberale è meno interessato e io lo capisco, lo
rispetto e non pretendo che si adegui a questa visione. Per un liberale
contano di più gli individui, i contratti, i mercati. In politica so
distinguere tra la parte e il tutto, so che ci sono culture, e
soprattutto inculture, diverse, anche nel centro destra. Nessuna
reductio ad unum. Chiedo attenzione alle identità, soprattutto da chi ha
fondato la sua ragione politica e il suo consenso su quei temi, ma non
per questo irrido e disprezzo chi è refrattario alle identità. Segua la
sua strada, che non è la mia, ma non pretenda di ridurre le nostre
diversità al suo modo di pensare, ritenendo che sia l'unico moderno,
universale, indiscutibile. Alla fine, questo differenzia chi rispetta la
libertà da chi dice di essere un liberale.
Nessun commento:
Posta un commento