di Stefano Conti (barbadillo.it)
La vicenda Telecom racchiude in sé il paradigma perfetto della classe
dirigente industriale e politica dell’Italietta. Il management di
Telecom di questi anni si è dimostrato in larga parte quello degli
sprechi, come dimostra la gestione allegra di benefit e premi, erogati
anche a fronte di colossali flop commerciali, per dirigenti e manager,
compresi quelli che, in qualsiasi altra azienda sarebbero stati cacciati
via per manifesta incapacità.
Quello della “finanza creativa”, che gonfiava i numeri degli abbonati e
delle carte prepagate per far centrare gli obiettivi legati ad un lauto
riconoscimento economico, i famigerati MBO (acronimo inglese di
management by objectives), sempre ai soliti dirigenti e manager
rampanti. Quello delle frodi, come dimostrano le oltre 500mila sim false
con il processo a Milano, con accuse varie tra cui l’associazione per
delinquere, la ricettazione di documenti identità e false dichiarazioni
liberatorie sul trattamento dei dati personali.
Quello che svendeva il patrimonio immobiliare, circa seicento edifici,
alla Pirelli-Re Estate per poi riaffittarlo. Immobili che Pirelli
avrebbe poi conferito a fondi immobiliari come Tecla e Berenice, che a
loro volta sarebbero stati ricomprati dalla Pirelli insieme alla banche
americane Lehman Brothers, Goldman Sachs e Morgan Stanley, e nuovamente
conferiti in una newco. Quello, arcinoto, dello scandalo relativo alle
intercettazioni illegali da parte di un gruppo della sicurezza
informatica aziendale durante l’era di Tronchetti Provera.
E all’indomani della presentazione del Piano Industriale 20014/16 da
parte del Cda abbiamo pensato di trovarci di fronte ad una sorta di
deja-vu leggendo della vendita e del riaffitto di ciò che resta
dell’enorme patrimonio immobiliare e delle 12.000 torri di trasmissione
(le cosiddette stazioni radio base), nonché della svendita di Tim
Argentina, puntualmente realizzata dopo qualche giorno.
E sul futuro occupazionale dell’azienda è calata una cortina di
silenzio. I piani di societarizzazione di Telecom in diverse aziende, o
per dirla più chiaramente di spezzettare il colosso telefonico con tante
cessioni di ramo, sono solo il preludio alla perdita di migliaia di
posti di lavoro entro tre anni al massimo. Questo ha rappresentato fino
ad ora la politica di esternalizzazioni messa in campo dall’azienda,
azioni per la quale Telecom è stata ripetutamente condannata dai
tribunali di mezza Italia.
In questa vicenda l’assenza della politica è a dir poco sconcertante. A
rimetterci saranno ancora una volta i lavoratori e i circa 500mila
piccoli azionisti risparmiatori che rappresentano l’85% del capitale,
estromessi dall’emissione del prestito convertendo da 1,3 mld di euro
che è stato offerto solo ai grandi azionisti come il fondo americano
Blackrock (a tal riguardo vi è stata un’ispezione della Guardia di
Finanza ed è stato aperto un fascicolo dalla Procura di Roma) e
soprattutto l’Italia che, probabilmente, perderà l’ennesimo treno per
rilanciare una parte dell’economia e ridurre i costi della P.A.
attraverso gli investimenti nello sviluppo della banda larga nel
“leggendario” progetto dell’Agenda Digitale.
*segretario nazionale Ugl Telecomunicazioni
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