di Gabriele Farro (Secolo d'Italia)
Il regime comunista non riesce a soffocare un altro grido di libertà e
il rifiuto di sventolare la bandiera rossa. Ma questo costa altro
sangue, altra sofferenza in chi cerca disperatamente di rompere il muro
di silenzio e l’indifferenza di chi non vuole sentire il grido di dolore
che arriva dalla popolazione, per interesse politico, e gira lo sguardo
altrove. Nuova autoimmolazione per il Tibet, dal mese di febbraio 2009
sono ormai 123, una vera strage. Tsering Gyal, un giovane monaco di soli
vent’anni, si è dato fuoco a Pema, nella prefettura tibetana autonoma
di Golog. A renderlo noto sono state fonti della diaspora tibetana in
India. Quella di Tsering Gyal è la venticinquesima autoimmolazione
avvenuta dall’inizio di quest’anno. La protesta estrema arriva in un
momento in cui in diverse contee del Sichuan e del Qinghai, province
limitrofe al Tibet, molte comunità tibetane stanno protestando e sono
sotto stretto controllo delle autorità cinesi, per il rifiuto di issare
la bandiera rossa di Pechino. Le condizioni dell’ultimo immolato, monaco
del monastero di Akyong, non sono state rese note, anche perché la
polizia ha spento le fiamme e ha portato il monaco in un vicino
ospedale, dove continua a essere sotto sorveglianza degli agenti.
Secondo alcune testimonianze diffuse sulla rete, Tsering Gyal ha urlato
slogan inneggianti alla liberazione del Tibet dal controllo cinese e al
ritorno del Dalai Lama, mentre veniva avviluppato dalle fiamme. L’ultima
immolazione era avvenuta ad opera di un uomo, padre di due bambini, lo
scorso 28 settembre a Gomang Yutso, nei pressi della sua abitazione,
nella contea di Ngaba, Aba per i cinesi, nella provincia cinese del
Sichuan.
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