di Francesco Marotta (destra.it)
La caduta del muro di Berlino segnò la fine della contrapposizione tra
Est e Ovest. Una data che non può e non deve essere ricordata solo
unicamente per la divisione in due parti della Germania. Il giorno 9
novembre 1989, precipitò fragorosamente un muro e contemporaneamente se
ne edificarono di più pericolosi. Dal primato assoluto dell’alta finanza
e dell’economia speculativa teleguidati da provetti portabandiera,
trasformatisi velocemente in banche (Goldman Sachs e Morgan &
Stanley su tutte) per sfuggire alla mancanza di fiducia dei mercati
europei, non c’e’ piccone, forza e deduzioni, capaci di dissipare una
volta per tutte il divisorio più alto: la disgregazione europea che con
essa comporterebbe la destituzione dell’Unione Europea.
Sono passati più di dieci anni da quando il governo tedesco di Gerhard
Schröder introdusse l’Agenda 2010. In definitiva, un pacchetto di
riforme utili partendo dal comparto lavorativo ed imprenditoriale. Come
non citare la legge Hartz, che stimolò i disoccupati a costituire delle
piccole imprese, accelerando la formazione di una vera e propria rete di
sostegni economici e agevolazioni fiscali, compresa l’accelerazione
delle fasi di contrattazione tra imprese e sindacati; per incoraggiare
gli accordi tra impresa e lavoratori? Nulla da fare, la Germania è la
matrigna d’Europa e la memoria di chi ha governato vent’ anni senza
lasciare traccia di una riforma degna di nota, è rimossa come un hard
disc inutilizzabile. Giustizia è fatta: Schröder era solo un
progressista rosso-verde (vero, ma quello che doveva fare in minima
parte lo ha attuato) e tutto l’insieme dei provvedimenti da lui varati
per stimolare l’economia nazionale, incentivando la formazione e, la
lunga serie di sgravi fiscali?
Peggio che andar di notte e, vista la situazione in declino
dell’economia italiana, pure bendati. Via Schröder, contano solo le
gentil “terga” di Angela Merkel e le onnipresenti pretese da cliché
d’operetta. Meglio le dicotomie facili ed elettoralistiche contrapposte
alle etichette Destra e Sinistra, dell’ex PDL e del PD. Nel mezzo, come
“novità”, c’e’ pure il tempo di tappezzare la Capitale di manifesti
richiamanti un’improbabile Alleanza Nazionale come cura dei mali,
perdendo inesorabilmente le tracce di una perfetta sinergia di Dieci
lustri che concesse agli allievi di Nietzsche l’impossibile: mettere in
ordine un’economia in crisi, dai tassi di crescita in caduta libera,
precipitati dal 4,6 dell’anno 1990 al 2% dei dieci anni seguenti,
tagliando il traguardo negativo della stagnazione irrefrenabile. Pari
all’incapacità seduttrice di proporre soluzioni del governo
Alfano-Letta. Allora meglio perdersi in piccoli capogiri berlinesi e
seguire un’eventualità che pareva irreparabile quasi a termine di un
ciclo involutivo? La pessima media tedesca pervenutaci direttamente dal
primo quinquennio del XXI secolo, confermò il peggioramento poco
teutonico, sottraendo alla vista in realtà, il surriscaldamento della
spia d’allarme perennemente in disuso in Europa, assestandosi attorno
allo 0,75%.
All’epoca colpì indubbiamente una certa impalcatura politico-mediatica,
costruita ad arte sull’unione delle due Germanie; ritrovatesi alla
stessa stregua di due “sorelle separate” in difficoltà a causa
dell’unione ritrovata. Paragonabile a un complemento d’arredo (antico)
privo di tarli e rinvigoritasi da un ambiente pregno dei malevoli
insetti globali che, tutt’ora albergano all’interno della Commissione
Europea che non tardarono nell’implacabile “derattizzazione”: la
Germania venne additata come una dei pochi stati europei poco inclini
alle politiche del rinnovamento finanziario e commerciale
internazionale. I costi ingenti per l’unificazione e i sussidi statali
fatti passare come trasferimenti diretti solo verso Est (3,4% del PIL),
permisero, in buona parte, di compromettere il cammino sulla Via della
Seta, stabilendone contemporaneamente le direttive politiche da
somministrare a grandi dosi alla Bundesbank. E se tutto ruotò in cerchio
a una o più scelte politiche (?) dell’asse portante dell’economia e
dell’alta finanzia, per nulla continentali ma atlantiche, la decisione
della banca tedesca di fissare il tasso di cambio fra il marco
occidentale e orientale, stabilendone la quotazione a 1:1, diede libertà
e il pretesto agli efficienti responsabili del cantiere/sistema denaro,
di additare il percorso naturale e logico dell’unificazione anche
monetaria (repetita iuvant, ri-vedasi le differenze tra moneta e
denaro), come una pressa ingombrante. Simile alla nostra Cassa Depositi e
Prestiti, sorpassata come tipologia politica fiscale, incapace perfino
di risolvere i problemi salariali e dello sviluppo germanico.
Il passo è breve, e spesso, confondere le azioni del primo governo del
cancelliere progressista, imbevute di errori inqualificabili come la
legge sulle scalate del 2001, con la quale venivano messe a punto e
semplificate le acquisizioni delle azioni bancarie da parte di
investitori esteri riconoscendone maggiori garanzie, può trarre in
errore. La dinamicità illusoria di un azionariato esteso anche alle
grandi cordate internazionali, mise in evidenza gli interessi delle
banche sulle imprese, disunite da ogni dimensione territoriale,
strettamente correlate al grande circuito dei mercati finanziari
globali. L’interesse esclusivo all’ampliamento di nuovi investitori,
permise il riassetto dei 16 Länder tedeschi (Regioni) su di un modello
completamente diverso, locale e radicato, da ciò che sempre più andava
somigliando ad una piattaforma del complesso economico-bancario
anglosassone.
Una pagliuzza non fa una trave. Nel caso tedesco e a seconda di come si
voglia invece interpretare l’ultimo periodo della storia politica
europea, è necessario comprendere le dinamiche che hanno portato
all’Europa che oggi tutti conosciamo. In data 13,14 e 15 dicembre 2013,
avrà luogo il Settimo incontro nazionale Polaris. Il tema dell’evento
Che Fare ? (www.centrostudipolaris.org), a confronto operatori economici
e politici nel cuore produttivo del nord-est che più soffre l’attacco,
una realtà propensa allo studio e alla possibile attuazione delle sue
analisi, porterà l’esperienza maturata negli anni e la realizzazione dei
corsi politici operativi a contribuire a imprimere una svolta salutare
che non può essere rimandata. Possibilmente, cominciando ad abbattere
per prima cosa le impalcature e i vecchi muri che opprimono l’Europa.
Sempre che ci sia la volontà di riconoscere la decadenza e le facili
inclinazioni dall’oggettività degli eventi.
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