Irriverenti, va bene. Ma fino a che punto ci si può spingere per cercare
la battuta facile? Un esempio lo ha fornito la puntata di ieri de Le
Iene, durante la quale Teo Mammucari, parlando di calendari, ha detto
che quello di Mussolini è l’unico che si può mettere a testa in giù. Il
riferimento a piazzale Loreto in un contesto cabarettistico ha provocato
una dura reazione sul web e in particolare sulla pagina facebook del
programma e sul profilo twitter di Mammucari. Per avere un’idea di ciò
che si è scatenato basti dire che in poche ore i commenti al post della
puntata sono arrivati quasi a quota 400. Si va dagli insulti all’augurio
per il conduttore di ritrovasi lui a testa in giù, ma si passa anche
per la frequente, amara constatazione sullo «squallore» di quella
battuta. E se c’è chi si complimenta per la trovata, molti sottolineano
il fatto che ci vorrebbe più rispetto per i morti e per la storia
d’Italia. Certo è che la battuta di Mammucari, che poi vuol dire la
battuta degli autori del programma, dimostra se non altro una rara
superficialità, una incapacità di elaborare che forse è peggio e più
preoccupante perfino di certe manifestazioni di quell’antifascismo
militante per cui la morte, se è di un fascista, non solo non merita
rispetto, ma va accolta con favore, possibilmente anche con dileggio.
Non sembra sia questo il caso.
Le Iene non sono un programma militante, sono un programma mainstream,
che come tale ha spesso la tendenza alla banalizzazione o alla facile
provocazione. Ma di facile, nella faccenda di piazzale Loreto, non c’è
proprio nulla. Quell’episodio, non a caso ancora dibattutissimo e
soggetto a interpretazioni e revisioni anche a sinistra, rimanda a temi
complicatissimi: sul piano strettamente italiano, per esempio, dalla
riflessione sulla storia del secolo scorso alle radici della nostra
democrazia; su un piano più universale, dalla sorte che spesso tocca al
corpo del nemico, tanto più se è stato il capo, all’anima bestiale che
muove le folle nel momento della sconfitta di un regime. La sorte dei
corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci è storia di oggi molto più
di quanto si pensi. Intanto perché non è stata storicizzata, è qualcosa
di cui ancora non si sono capiti fino in fondo portata e significato.
Poi perché, ancora oggi, è diffusa l’idea che del corpo del nemico si
possa fare scempio impunemente. Che anzi, forse, si debba fare scempio
come atto liberatorio, come affermazione di forza, come negazione di una
umanità che tanto più va svilita quanto più ha rappresentato il proprio
specchio. Gli italiani che amarono e seguirono Mussolini furono pronti a
sputare sul suo corpo o per lo meno ad accettare che questo avvenisse
né più né meno di quanto gli iracheni, appena ieri, hanno fatto con
Saddam Hussein. Da qualunque prospettiva si voglia guardare – umana,
civile, politica, storica – in questo c’è qualcosa di profondamente
tragico e smisurato, che dovrebbe rendere inaccettabile per chiunque
l’idea di farne battute da share.
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