di Mario M. Merlino
Sono stato più volte ad Ancona – mi era facile trascorrendo diversi mesi
sulla costa romagnola – e sempre, percorrendo la storica via
Pizzecolli, mi sono recato fino alla scalinata su cui si erge,
nell’omonima piazza, la chiesa di San Francesco delle Scale. Con la sua
facciata e il portale in stile gotico di pietra bianca dell’Istria,
opera dell’architetto Orsini di Sebenico nella metà del XV secolo. Sotto
il dominio napoleonico fu adattata a scopi militari, successivamente a
Pinacoteca. Nel 1944 fu colpita durante uno dei bombardamenti alleati
subendo notevoli danni. Solo nei primi anni ’50 fu nuovamente consacrata
alle sue originarie funzioni religiose. Non, però, di storia dell’arte e
di monumenti religiosi è il mio intento. Ho sempre avuto a noia
visitare i musei soffermarmi estasiato davanti ad opere incorniciate e
appese alle pareti volgermi con mal celati gridolini di libidine
estetica e, ancora, girovagare per centri storici ammirare soppesare
uscire con luoghi comuni accompagnati da punti esclamativi e tono della
voce declamatorio e gesti studiati della mano…
Esuli, i fiumani, vi hanno eretto un altare con la dura pietra del Carso
– la medesima che si mostra a monito sul marciapiede, zona Laurentina,
Roma, dove venne edificato il quartiere per i giuliani gli istriani i
dalmati in fuga e che porta il loro nome – e vi hanno esposto un’anfora
con l’acqua della loro città e un cofanetto di terra del cimitero e quel
tricolore che, ultimo, sventolò sull’Olocausta. Una testimonianza che è
eredità di spirito e di sangue, proprio in quella città che li aveva
accolti, al loro arrivo in porto, lanciando pietre ed invettive su
indicazione del partito comunista. Aveva declamato Gabriele D’Annunzio:
‘Si spiritus pro nobis, qui contra nos?’. Nell’età del nichilismo
Nietzsche ci ha educato a pensare alla morte di Dio e allo Spirito
ritiratosi. Lo sappiamo bene noi, folli e disperati, costretti a danzare
ormai al ritmo ossessivo d’una nota sola. Eppure vogliamo restare
fedeli all’onda eterna della poesia che andò ad infrangersi sulle rive
del Carnaro. Ecco perché, sì questa è la ragione, fin da giovane
inquieto ed irriverente ho avvertito una sorta di dovere a visitare
quella chiesa. Non da turista non da credente non da sopravvissuto…
Con lodevole iniziativa Maurizio Murelli ha pubblicato (‘In 500
esemplari nel 150esimo anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio
e a 75 anni dalla morte dello stesso’ come si legge in nota), per i
tipi dell’Aga Editrice, tre volumi che sono la ristampa di due opere di
Mario Carli, Con D’Annunzio a Fiume e Trillirì, e di Tom Antongini Gli
allegri filibustieri di D’Annunzio. Con caratteri che rimandano alla
stagione delle dispense universitarie quando poco si studiava e ci si
bastonava sulle scalinate delle facoltà. Allegramente e con
atteggiamenti pirateschi, mi verrebbe da dire, in omaggio alla scelta di
riannodare i fili della memoria sull’impresa fiumana iniziatasi alle
ore 13,30 dell’undici settembre 1919. In divisa da ufficiale dei lanceri
di Novara il Vate, pur febbricitante, lascia Venezia e raggiunge la
punta di San Giuliano a Mestre, ove l’attende il suo autista con
l’automobile rossa e scoperta.
Ho i tre libri in pila a lato del computer. Del saggio di Mario Carli
sono alle ultime pagine. Mario Carli, ufficiale degli arditi nella
Grande Guerra, disertore per raggiungere D’Annunzio a Fiume, di cui
diverrà fra i più intimi collaboratori. Viene inviato a Milano, per
volontà del poeta, a costituire la redazione de La Testadi Ferro, il
giornale della causa fiumana e forse strumento ulteriore per predisporre
un piano di ampliamento della rivoluzione su tutto il territorio
nazionale. Arrestato con degli anarchici sotto l’accusa di progettare
atti di sabotaggio mentre si sta consumando la tragedia di Fiume, il
Natale di sangue del 1920. Tra Lenin e l‘emergere del fascismo,
intransigente (forse sotto la spinta di Sorel) e sempre là dove vi sono
avanguardie le più radicali che chiedono di andare oltre. Il romanzo
Trillirì è un regalo di Rodolfo per il mio prossimo compleanno. Del
terzo so soltanto che narra, in presa diretta e partecipe, la vicenda
degli Uscocchi che, riprendendo la tradizione della pirateria in
Adriatico al tempo della Serenissima, rifornivano la città colpita
dall’embargo.
Poesia rivoluzione azioni esemplari ed eclatanti la Carta del Carnaro le
donne sesso nudismo yoga e cocaina la musica Alla festa della
rivoluzione, come si intitola il bel libro di Claudia Salaris. Tutto
questo, certamente, e di una modernità gioiosa libertaria irriverente le
immagini che ci giungono e ci fanno amare quella esperienza. Fiume fu,
però, anche laboratorio per una concezione ardita e anticipatrice delle
dottrine sul concetto di proprietà sulla dignità del lavoro sulla
giustizia sociale che, percorrendo il lungo e a volte tortuoso cammino
del fascismo, arriveranno ai 18 Punti di Verona. E anche in ciò sta
l’amore che sentiamo per quella città, italianissima sempre alla nostra
mente e nel nostro cuore, e la sua sfortunata avventura.