di Mario Michele Merlino (ereticamente.net)
Confesso che il mio
primo libro di racconti, Atmosfere in nero, mi ha dato delle
soddisfazioni e di questo lo devo ringraziare. E di questo ‘grazie’ ne
faccio partecipi i lettori di Ereticamente. E’ come se ci si sedesse
intorno al camino in un giorno in cui i vetri tremano per le raffiche
del vento e sottili strati di ghiaccio si formino ai bordi della
finestra. Siccome le giornate si sono rese ormai più che primaverili,
immaginiamoci di stare sulla spiaggia di Mondello (e chi voglia
intendere, vi riconosca una richiesta esplicita di invito!) all’ombra di
una vela a mezzogiorno, mentre spira un’arietta che porta odore di
mare, salsedine e promessa di terre lontane.
(Dicono sia in atto
un fenomeno di alterazione irreversibile del clima del Mediterraneo,
rendendo quest’ultimo simile a luogo tropicale, soggetto a caldo umido e
a repentini e violenti acquazzoni. Del resto ho memoria di quando,
ragazzo, mi inerpicavo per i sentieri dell’entroterra riminese a fine
stagione, tra Carpegna e Pennabilli, in cerca di fossili, tante le
conchiglie e una volta un granchio con un pesciolino tra le chele.
Insomma un tornare ai primordi, quando, ad esempio, come ci narra il
poeta latino Lucrezio, era sufficiente afferrare per i capelli qualche
amabile fanciulla e trascinarla in una caverna, offrendole un corbezzolo
o, al massimo, un frutto. Tempi da trogloditi, l’ammetto, tempi però,
mi si permetta, essere sotto l’ordine naturale delle cose…ahahah…).
Da ragazzo m’ero
dilettato, senza successo alcuno e racchiudendoli nel cassetto, a buttar
giù qualche esile raccontino e, in età di ondate ormonali, al confine
della pornografia. Altrettanto dicasi dall’eremitaggio di Regina Coeli
(ondate ormonali comprese e represse). Poco ancora nei successivi anni,
febbrilmente coinvolto nel ruolo di docente (d)emerito di storia e
filosofia (con relativa prosopopea e arrogante superomismo). Ecco che mi
vien fuori il ghiribizzo di cimentarmi nella narrativa, di cui ero
stato certo solerte lettore ma considerandola figlia di un dio minore.
In questo – e ne faccio testimonianza – sollecitato dalle conversazioni
pacate e intelligenti, in tardi pomeriggi e nei pressi di Fontana di
Trevi, con Ugo Franzolin, già corrispondente di guerra della XMAS,
giornalista de Il Meridiano d’Italia e de Il Secolo, scrittore.
Così raccolgo la
bella storia, tragica, ma io l’avverto tutta d’amore di Mila ed Emilio,
il cui destino è racchiuso in quel fazzoletto sporco di sangue, di cui
il tenente Bernardino Bernardini aveva fatto dono, poco prima d’essere
fucilato nello stadio di Lecco con gli altri quindici ufficiali. E la
vicenda di Alima, giovane etiope, e di Marco nelle terre aspre
dell’Impero alla vigilia e durante la seconda guerra mondiale, con una
appendice nell’oggi, in questo presente così squallido e triste
nonostante - o soprattutto – le luci variopinte del consumismo. Ancora
altre storie tra spezzoni di vite reali, come quella dell’ausiliaria
Gina o del comandante Sannucci, e il ‘flusso ebbro’ che scaturiva nelle
notti trascorse a corrente alternata.
In primo luogo una
sfida con me stesso. Quel dare dignità ad altra forma di linguaggio,
superando le pretese della filosofia e le analisi della storia di esser
loro, tramite il saggio, le uniche a meritare attenzione. Mettersi in
gioco nel reiterato chiedersi: ‘cosa farò da grande?’, perché, sì, mi
rendo conto che non posso più dilazionare quanto l’anagrafe pretende. E
rendersi conto che ci vuole sudor di gomito, scrivere scancellare e
riscrivere, nitore della parola che deve esser tutta ‘tua’ e, al
contempo, ‘di tutti e per tutti’. E oggi, andando dall’editore, sapere
alfine se, ai primi di giugno, potrò dare voce al seguito con Ai confini
del nero, ulteriori cinque racconti.
La storia, le
storie di uomini e donne che ci hanno insegnato, dimostrando di
possedere un animo grande, che valeva la pena di scegliere per non
essere scelti e di scegliere per sempre. Soprattutto essere fra coloro
che possiedono quello ‘spirito anticonformista per eccellenza,
(quell’essere) antiborghesi sempre, irriverenti per vocazione’, come
voleva fossero i giovani fra le due guerre Robert Brasillach. Non poco
direi, anzi tanto e, qualche volta confesso, troppo… Sempre nella
consapevolezza, gioiosa e raramente amara, d’essere ‘i cattivi dalla
parte dei buoni’ (come ho scritto in E venne Valle Giulia), mai ‘dalla
parte sbagliata’ e incuranti se i fessi i malevoli e gli opportunisti ci
definiscono ‘male assoluto’…
Il 18 maggio sono
stato invitato a proporre il libro a Lecco dove venne posta, nello
stadio di via Cantarelli, una lapide a ricordo della fucilazione
(assassinio premeditato e vigliacco) dei sedici ufficiali della Leonessa
e del btg. Perugia, fra cui il padre di Mila. Una lapide riparatrice,
sovente picconata da anonimi-conosciuti amanti del buio, che oggi la
nuova giunta comunale vuole rimuovere e collocare in altro luogo e
riscrivere per dare fondamento di (il)legittimità a quella mattanza.
E, probabilmente,
degno compimento di tante presentazioni, di amici o di sconosciuti
lettori, di coloro che mi hanno accompagnato in questa mia personale
‘avventura’. A tutti costoro va il mio ‘grazie’, soprattutto – e mi
ripeto e lo ripeto per quelli che hanno condiviso e condividono le
nostre idee le nostre battaglie il nostro cammino, magari avendo un
momento di fiato grosso, di stanchezza, di esitazione – a chi ha
ispirato questo libro, facendo sì che le parole fossero ossa carne e
sangue al servizio e ‘per l’Onore!’.
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