di Gloria Sabatini (da Secolo d'Italia)
Quasi una rivincita dopo decenni di “predicazione” inascoltata. Intervistato dal quotidiano on line Lettera43, Alain de Benoist, il politologo francese fondatore della Nouvelle Droite,
fa il punto sulla crisi della politica e delle categorie ideologiche
mettendo al centro della sua prospettiva la decrescita (ma non la chiama
felice) di cui è stato un antesignano convinto. Partendo dalla sfiducia
generalizzata degli europei verso la politica, analizza quella che
Jean-Claude Michéa chiama "l’alternanza unica", cioè l’alternanza senza alternativa in base alla quale la destra e la sinistra fanno "più o meno la stessa politica", e individua una nuova contrapposizione "più reale", quella tra le classi popolari (di destra e di sinistra) a una "nuova classe" totalmente distaccata dal popolo. Popolo, populismo: immancabile la domanda sul fenomeno Grillo che de Benoist giudica il "sintomo rivelatore del discredito in cui è caduta la classe politica".
Il fossato che si è scavato tra la gente e i partiti di governo classici
è ormai tale – dice – che le persone si volgono a torto o a ragione
verso tutto quello che sembra loro non inquadrato e diverso, anche
perché le "élite in carica non sono meno demagogiche dei populisti".
Internet viene, invece, giudicato strategico nel campo
dell’informazione alternativa ma non sostitutivo della vera democrazia
diretta "perché – dice – questa esige un confronto diretto
nello spazio pubblico. Gli internauti possono anche connettersi fra loro
a migliaia, ma restano nella sfera del privato, come facebook dà
l’illusione di avere degli 'amici'".
Crisi politica italiana, crisi europea, dunque. E decrescita per uscire dall’impasse. "Decrescita
non significa arresto di ogni attività economica o la fine della
storia. Bisogna solo abituarsi a moderare il nostro modo di vivere – spiega lo scrittore francese – cioè capire che 'più' non è sempre sinonimo di 'meglio'". Ma anche su questo terreno la risposta della politica è miope quando non addirittura dannosa. "L’austerità
di massa dei governi europei per soddisfare le esigenze delle banche si
traduce in un abbassamento del potere d’acquisto e in un aumento della
disoccupazione, cioè l’impoverimento delle classi medie e di quelle
popolari. Ma ciò non impedisce che i più ricchi si arricchiscano
ulteriormente. Tutto questo non ha nulla a che vedere con la decrescita".
Infine una critica serrata all’Europa di oggi, all’Unione Europea ("si
è effettuata fin dall’inizio contro il buon senso. Si è dapprima
scommesso sul commercio e l’industria anziché sulla politica e la
cultura") che è "perfettamente giacobina, perché è diretta
dall’altro verso il basso, da una commissione di Bruxelles che si
ritiene onnicompetente". La via d’uscita sta in una forma di federalismo delle piccole patrie che recuperi il modello imperiale ("nella misura in cui oppone il principio di una sovranità condivisa al principio della sovranità una e indivisibile"), e nella democrazia partecipativa che possa creare "una nuova forma di vita pubblica, cioè di cittadinanza".
Ultimo consiglio dell’ormai anziano politologo: la “decolonizzazione” dell’immaginario simbolico, "oggi
quasi totalmente assoggettato all’immaginario del mercato. Il bisogno
che l’uomo ha di riferirsi a qualcosa di più alto di lui è secondo me
una costante antropologica. Appartiene alla natura umana". E la nostalgia non c’entra.
Nessun commento:
Posta un commento