di Adriano Scianca (Barbadillo.it)
Tre stelle o due stelle? Il dibattito sulla simbologia relativa al secondo trionfo in campionato della Juve di Conte
infuria tra tifosi e addetti ai lavori. In realtà l’idea di certificare
con una stella il conseguimento di dieci campionati vinti non ha nulla
di ufficiale e nasce da un’idea di Umberto Agnelli risalente al 1958,
anno del decimo campionato di Serie A vinto dalla Juventus.Più
interessante è la storia dello scudetto, ovvero il piccolo scudo
tricolore che fa sfoggio di sé sulla maglia dei campioni d’Italia per
tutto l’anno successivo alla vittoria del campionato. Come ha ricordato
Pierluigi Pardo durante la telecronaca di Juve-Cagliari di sabato
scorso, infatti, l’idea dello scudetto risale addirittura a Gabriele
D’Annunzio. Tutto risale al 7 febbraio 1920, quando a Fiume la
“nazionale” dei legionari sfidò quella cittadina, per rendere più
popolare la causa della “città di vita” fra chi, a Fiume, ci viveva da
normale cittadino. Per ispirazione del Vate, la squadra dei
legionari indossò la maglia azzurra dei nazionalisti con un piccolo
scudo tricolore. Per la cronaca, vinsero i fiumani per 1-0 grazie alla
rete segnata al 30′ da Tomag, così come nella rivincita giocata il 9
maggio 1920 e finita 2-1 per gli autoctoni. Nell’agosto del 1924 la Figc
approvò il distintivo tricolore per la squadra campione d’Italia.
Del resto D’Annunzio non era nuovo a frequentazioni sportive:
il Vate praticava nuoto, equitazione, scherma, boxe, calcio, golf,
ciclismo, canottaggio, volo in aereo, gioco delle bocce. Nel 1922 un
referendum promosso dalla Gazzetta dello Sport lo proclamò atleta
dell’anno. In ambito calcistico doveva essere un osso duro, se è vero
che nel 1887, durante un’azione in una partita, cadde e perse due denti.
Insomma, lo sport in Italia nasce con una pesante impronta “non
conforme”. Chissà, per esempio, se i tanti atleti, professionisti o
dilettanti, che ogni giorno indossano una tuta per praticare qualche
attività sportiva sanno che quell’indumento ha un marchio di fabbrica
futurista. Fu infatti Ernesto Michahelles, in arte Thayaht, artista
italiano amico di Marinetti di origine anglo-svizzera, a progettare un
indumento versatile, poliedrico, ottimo per l’esercizio fisico. Poiché
l’abito era intero, tutto un pezzo dalla testa ai piedi, fu chiamato
“tutta”, poi trasformato nel più eufonico “tuta”.
Va altresì ricordato che il primo romanzo sportivo d’Italia fu “Giro d’Italia” di Alessandro Pavolini,
dedicato alla omonima manifestazioni sportiva. Tra gli intellettuali
non conformi del Novecento va inoltre ricordata la passione di Ezra
Pound per il tennis, che a Rapallo era solito sfidare Giuseppe
Bacigalupo, padre del critico letterario Massimo. Il 5 aprile 1928 il
poeta scriveva a suo padre in America: “Qui l’ultima novità è che
l’altrieri il ragazzino di 15 anni con cui gioco a tennis è andato a
Genova e ha battuto il campione d’Italia”. Era anche un ottimo
schermidore mentre, a giudicare dal suo maestro Ernest Hemingway, nella
boxe aveva qualcosa da migliorare.
Degno di nota anche l’innamoramento di Martin Heidegger per Franz Beckenbauer,
nel cui portamento regale forse poteva intravedere uno stile che reca
l’impronta dell’Essere. Ha scritto, in tal proposito, il figlio (in
realtà figliastro) Hermann: “Da giovane ha praticato molti sport: è
stato un buon atleta, ha praticato ginnastica attrezzistica, ha giocato
al calcio, ha fatto un po’ di canottaggio, ma era appassionato
soprattutto di sci. Diceva che chi non sa far bene uno stemm cristiania
non può far bene nemmeno in filosofia. Amava anche guardare le partite
della nazionale di calcio e quando c’erano incontri importanti li
seguiva da una televisione di un vicino. Tifava molto per Beckenbauer”.
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