di Mauro La Mantia (barbadillo.it)
Era l’estate di due
anni fa ed a Palermo fervevano i preparativi per la tradizionale
fiaccolata del 19 luglio in ricordo di Paolo Borsellino e degli agenti
della scorta, caduti nella strage di Via D’Amelio. Preparativi ancora
una volta contrassegnati da polemiche striscianti tra una parte della
famiglia Borsellino (in particolare i fratelli) e la comunità militante
palermitana, proveniente dal Msi e da An, organizzatrice della
manifestazione. Come se fosse necessaria una “patente” per ricordare
Borsellino.
Sapevo che la
signora Agnese ed i suoi figli non erano contrari alla nostra
manifestazione. Negli anni avevano partecipato manifestando
pubblicamente apprezzamento per la fiaccolata che, con il passare del
tempo, è diventata la più grande manifestazione antimafia a Palermo
capace di aggregare trasversalmente tanti siciliani nel ricordo di
Borsellino. Decisi comunque di contattare Manfredi Borsellino, al quale
mi lega un rapporto di grande affetto, e lui stesso mi invitò a parlare
con sua madre per informarla delle problematiche legate alle iniziative
del 19 luglio.
Fu per me una
grande emozione parlare al telefono con Agnese Borsellino. L’avevo vista
qualche volta alla nostra fiaccolata, senza però riuscire mai a
scambiare qualche parola con lei. La telefonata durò circa venti minuti,
quasi un’eternità per me. Per ovvie ragioni di riservatezza ho sempre
tenuto per me i particolari di quella telefonata. Posso però
testimoniare la sua forte vicinanza ideale, quasi mista a gratitudine,
verso i tanti i ragazzi che ogni anno danno vita alla fiaccolata. Agnese
Borsellino amava la fiaccolata perché quella manifestazione, più delle
altre, rispecchiava la personalità del marito: il silenzio e la
compostezza del corteo per ricordarne la sobrietà, il tricolore a
rappresentare l’unità del popolo italiano contro la mafia, negli
striscioni i simboli che ricordano la sua militanza giovanile. Uno
scenario molto diverso da certe manifestazioni in Via D’Amelio piene di
livore, polemiche e schiamazzo. E poi quei tanti giovani con le fiaccole
in mano che sembrano una conferma alla frase di Paolo Borsellino,
pronunciata alla Festa del Fronte della Gioventù nel 1990 a Siracusa:
“Potrei anche morire da un momento all’altro, ma morirò sereno pensando
che resteranno giovani come voi a difendere le idee”.
In quei giorni
erano forti le polemiche sull’opportunità di permettere alle autorità di
deporre corone di fiori in Via D’Amelio. Mi colpì una frase di Agnese
Borsellino durante la telefonata. Nel ribadire quanto già detto
pubblicamente sulla reale possibilità che uomini dello Stato tradirono
il marito, mi invitò ad avere comunque rispetto per le istituzioni: “Mio
marito si è fatto ammazzare da uomo di Stato, perché morire per le
istituzioni significa morire per la patria. Anche se tradito mio marito
avrebbe sempre rispetto per le istituzioni”. Concetto, condiviso dalla
sua famiglia, confermato dalla scelta di Manfredi Borsellino di entrare
in polizia e continuare a servire quello Stato su cui tante ombre
aleggiano.
Agnese Borsellino
mi chiese di abbracciare tutti i ragazzi per lei. La terribile malattia,
che si era abbattuta sul suo corpo, non le permetteva già quell’anno di
essere in piazza con noi. Volle anche che ringraziassi a nome suo quei
giovani per la determinazione nel ricordare ancora, dopo vent’anni, suo
marito. Mi chiese infine di continuare ad amare la nostra Palermo e la
nostra Italia e batterci per essa, proprio come fece Paolo.
Se gli italiani amassero, senza se e senza ma, la propria terra come Agnese e Paolo la nostra storia sarebbe diversa.
Nessun commento:
Posta un commento