lunedì 6 maggio 2013

Agnese e il legame di Paolo Borsellino con la fiaccola tricolore...

di Mauro La Mantia (barbadillo.it)

Era l’estate di due anni fa ed a Palermo fervevano i preparativi per la tradizionale fiaccolata del 19 luglio in ricordo di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta, caduti nella strage di Via D’Amelio. Preparativi ancora una volta contrassegnati da polemiche striscianti tra una parte della famiglia Borsellino (in particolare i fratelli) e la comunità militante palermitana, proveniente dal Msi e da An, organizzatrice della manifestazione. Come se fosse necessaria una “patente” per ricordare Borsellino.

Sapevo che la signora Agnese ed i suoi figli non erano contrari alla nostra manifestazione. Negli anni avevano partecipato manifestando pubblicamente apprezzamento per la fiaccolata che, con il passare del tempo, è diventata la più grande manifestazione antimafia a Palermo capace di aggregare trasversalmente tanti siciliani nel ricordo di Borsellino. Decisi comunque di contattare Manfredi Borsellino, al quale mi lega un rapporto di grande affetto, e lui stesso mi invitò a parlare con sua madre per informarla delle problematiche legate alle iniziative del 19 luglio.

Fu per me una grande emozione parlare al telefono con Agnese Borsellino. L’avevo vista qualche volta alla nostra fiaccolata, senza però riuscire mai a scambiare qualche parola con lei. La telefonata durò circa venti minuti, quasi un’eternità per me. Per ovvie ragioni di riservatezza ho sempre tenuto per me i particolari di quella telefonata. Posso però testimoniare la sua forte vicinanza ideale, quasi mista a gratitudine, verso i tanti i ragazzi che ogni anno danno vita alla fiaccolata. Agnese Borsellino amava la fiaccolata perché quella manifestazione, più delle altre, rispecchiava la personalità del marito: il silenzio e la compostezza del corteo per ricordarne la sobrietà, il tricolore a rappresentare l’unità del popolo italiano contro la mafia, negli striscioni i simboli che ricordano la sua militanza giovanile. Uno scenario molto diverso da certe manifestazioni in Via D’Amelio piene di livore, polemiche e schiamazzo. E poi quei tanti giovani con le fiaccole in mano che sembrano una conferma alla frase di Paolo Borsellino, pronunciata alla Festa del Fronte della Gioventù nel 1990 a Siracusa: “Potrei anche morire da un momento all’altro, ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee”.

In quei giorni erano forti le polemiche sull’opportunità di permettere alle autorità di deporre corone di fiori in Via D’Amelio. Mi colpì una frase di Agnese Borsellino durante la telefonata. Nel ribadire quanto già detto pubblicamente sulla reale possibilità che uomini dello Stato tradirono il marito, mi invitò ad avere comunque rispetto per le istituzioni: “Mio marito si è fatto ammazzare da uomo di Stato, perché morire per le istituzioni significa morire per la patria. Anche se tradito mio marito avrebbe sempre rispetto per le istituzioni”. Concetto, condiviso dalla sua famiglia, confermato dalla scelta di Manfredi Borsellino di entrare in polizia e continuare a servire quello Stato su cui tante ombre aleggiano.

Agnese Borsellino mi chiese di abbracciare tutti i ragazzi per lei. La terribile malattia, che si era abbattuta sul suo corpo, non le permetteva già quell’anno di essere in piazza con noi. Volle anche che ringraziassi a nome suo quei giovani per la determinazione nel ricordare ancora, dopo vent’anni, suo marito. Mi chiese infine di continuare ad amare la nostra Palermo e la nostra Italia e batterci per essa, proprio come fece Paolo.

Se gli italiani amassero, senza se e senza ma, la propria terra come Agnese e Paolo la nostra storia sarebbe diversa.

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