martedì 14 maggio 2013

Lo “ius soli” tra diritti di cittadinanza (già esistenti) e paradossi

di Domenico Di Tullio (Barbadillo.it)

Occupa grande spazio e genera solita polemica insensata la proposta politica di concedere cittadinanza ai figli di stranieri, nati nel territorio della Repubblica delle Arance e dei Limoni. Ai sensi della legge 91 del 1992, già i nati da cittadini apolidi (ovvero soggetti privi di qualunque cittadinanza, come alcuni tra i rifugiati politici e per motivi umanitari) sono di diritto cittadini italiani, quando nascono nei nostri confini, così come i figli di un solo genitore italiano.

Esiste, ancora, il caso nel quale i genitori siano ignoti o il figlio non segua la cittadinanza dei genitori, secondo la legge dello stato di questi ultimi. Se il tuo stato non ti fila, ti prendiamo noi a scatola chiusa, senza nemmeno farti pagare il ticket. Dopo saranno cavoli tuoi, ma intanto goditela. Ancora altra ipotesi, ma certamente più ridotta, quelle di acquisizione della cittadinanza a richiesta, per essere nati in territori già italiani o appartenenti al disciolto Impero austro-ungarico. Se sei un italiano giuliano o dalmata, fratello di storia e lingua e sangue profondo, abbiamo sì cercato di seppellire il ricordo del tuo abbandono di stato per un cinquantennio, ma se vuoi tornare a pagare le tasse in Italia, accomodati.

L’ipotesi generalizzata, tuttavia, è quella che riguarda tutti i bambini nati in Italia da genitori stranieri e qui residenti ininterrottamente per 18 anni, che abbiamo optato per la cittadinanza italiana entro i 19. Esiste, ancora, la naturalizzazione degli immigrati regolari, che abbiamo trascorso almeno 10 anni nel territorio della Repubblica, in assenza di precedenti penali e con adeguate risorse economiche.

Per una volta, si riconosce il masochismo caparbio e splendido di chi, rinunciando a sovvenzioni caritatevoli, aiuti umanitari, agevolazioni domestiche, benefici di politiche sociali socialmente disutili, cambi di sesso a carico del SSNN, autoesenzione fiscale e previdenziale, pensioni facili, salvezza da multe, interessi e penali, diritti di notifica e altre vessazioni equitaliote, gaudente immunità processuale e sostanziale, abbandoni il bengodi dell’essere straniero in Italia, non avendone per niente approfittato. E poi scelga volontariamente di essere ita-lia-no e portare la croce che ci accomuna: caricarsi di doveri civici borbonici e imposizioni fiscali sabaude, ipotesi di reato creative e relative gogne mediatiche, divieti di sosta casuali, varchi incontrollati, autovelox doviziosi e parchi etilometri, accollandosi pregresse responsabilità di debiti pubblici con vertigine e milioni di gaudenti statali, scontando perfino le vigliaccate di qualche isolato pusillanime, lievitate a onte nazionali.

Benvenuto, nuovo Italiano, sentiamo già di volerti bene. Come se ne vuole a un parente pazzerello – anche un po’ fesso, è vero – ma affettuoso e buono. Entusiasta, soprattutto, come noi non ci sentiamo più di essere. Ridicola, oltreché assolutamente non auspicabile, una acquisizione della cittadinanza per mera nascita, che renderebbe probabile l’immediato e numeroso approdo di plotoni di gestanti, le quali, una volta partorito un nuovo piccolo italiano, vanterebbero di fatto il diritto di residenza, poi automaticamente esteso anche all’altro coniuge genitore: vuoi mica privare il minore italiano delle proverbiali cure parentali. Grazie, perciò, ministro Kyenge, ma uno ius soli in Italia già ce lo abbiamo. La ius “sola”, invece, scusi ma l’abbiamo inventato noi.

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